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Fabio, il primo robot licenziato della storia

L’Intelligenza artificiale viene percepita oggi come il Santo Graal della modernità: riceca e implementazione corrono, l’automazione cresce e gli investimenti ancora di più – Il caso del robot Fabio al supermercato di Edimburgo

Fabio, il primo robot licenziato della storia

La corsa all’automazione appare ormai inarrestabile. Siamo circondati, talora assediati, da innumerevoli dispositivi ogni giorno più intelligenti. I robot, poi, stanno divenendo figure quasi familiari nella nostra quotidianità. Uno dei compiti per i quali questi ultimi vengono utilizzati in maniera crescente è quello dell’accoglienza/assistenza dei clienti/utenti. Attualmente li si può trovare un po’ dappertutto: dagli aeroporti, agli ospedali (persino in Italia), ai supermercati.  

Tali congegni, così ci viene detto, possono aiutarci, assisterci, in una parola semplificare la nostra vita, persino migliorarla. Questi dispositivi oltre ad essere intelligenti sono anche smaccatamente social. La nuova frontiera, infatti, è quella dell’interazione o, come ci viene presentata, della collaborazione tra uomo e macchina. Gli automi, nondimeno, sono sempre più simili a noi e l’interazione con essi, ancor più che con dei dispositivi in generale, è sempre più profonda, più varia, più intima. L’obiettivo è quello di conquistarci. Vuoi per spingerci a fare acquisti, vuoi per ottenere (o peggio carpire) dati, sovente quanti più possibile e della natura più disparata. 

L’intelligenza artificiale viene percepita come il Santo Graal della modernità. Ricerca e implementazione procedono spediti. L’automazione cresce e crescono ancor di più gli investimenti in ricerca e sviluppo di hardware e software. 

Il settore Retail 

Uno dei comparti che ha investito somme ingenti e scommesso temerariamente sulla tecnologia robotica e l’IA in generale è il settore Retail. Uno studio condotto da Jupiner Research stima che nel 2019 la spesa complessiva destinata all’IA nel settore Retail ammonterà a 3,6 miliardi di dollari. Si prevede che nel 2023 questa raggiungerà i 12 miliardi, con un incremento del 230%. La motivazione principale risiede in un tentativo disperato di abbassare i costi. Lo scopo è di sostenere la concorrenza spietata (e secondo alcuni sleale) da parte dei grandi giganti del web (Amazon in testa) e l’e-commerce in genere.  

Il grosso dell’investimento pertanto è indirizzato all’ottimizzazione di varie attività, a cominciare da quelle relative ai magazzini. Nondimeno una quota in costante aumento viene assegnata alle tecnologie robotiche orientate ai servizi in negozio. In ultimo, ma non ultimo, quelli volti a migliorare la customer experience, tanto all’interno dei punti vendita, quanto nella dimensione online. 

Kroger, ad esempio, un retailer “brick and mortar” del settore alimentare, ha stretto una partnership con la britannica Ocado Group, altro attore del comparto, stavolta però online. Il fine è costruire fino a venti magazzini automatizzati di generi alimentari negli Stati Uniti. La stessa Kroger sta sperimentando ad Houston un sistema di consegna ai clienti mediante auto a giuda autonoma. Un altro gigante del settore Retail, Wallmart, sta impiegando dei robot «… per monitorare l’inventario, pulire i pavimenti e scaricare i camion» (nonché rimpiazzare qualche lavoratore). 

Giant Food Stores, una catena di supermercati che opera in Pennsylvania, Maryland, Virginia e West Virginia, ha adottato Marty, un robottone alto di colore grigio. Marty è presente in 172 negozi Giant Food Stores, al pari di 100 negozi, in New England, del gruppo Stop&Shop. Secondo quanto riporta il Washington Post, l’automa perlustra i corridoi dei supermercati alla ricerca di potenziali pericoli e, nel caso, li segnala sia ai clienti che al personale. Marty, al contempo, controlla gli scaffali per identificare eventuali articoli esauriti. Verifica anche che non vi siano discrepanze tra i prezzi in negozio e quelli presenti nel database aziendale. 

L’utilizzo di automi di varia foggia ha lo scopo di arricchire e potenziare la customer experience. Tradotto: coinvolgerci, appassionarci, catturarci. Tuttavia gli scienziati non dispongono ancora della ricetta perfetta. L’interazione con le macchine ha compiuto notevoli passi in avanti, ma molto c’è ancora da fare e molto resta ancora da apprendere. Non sempre, infatti, gli automi si rivelano capaci di instaurare una comunicazione efficace. Talora, si scopre, neanche opportuna o auspicabile. Talvolta detti dispositivi palesano drammaticamente i propri limiti, come nel caso di Fabio, un piccolo robottino assunto da un’azienda del settore Retail in Scozia. 

Fabio 

Fabio vanta un triste primato: è stato il primo robot della storia ad essere licenziato. A voler essere pignoli l’automa è stato rimosso con una settimana di anticipo sulla scadenza del proprio incarico. Perciò, come rileva Lorenzo Fantoni, «… se vogliamo dirla tutta Fabio era anche il primo robot con un lavoro a tempo determinato». In realtà si è trattato di un esperimento che ha visto coinvolti la Heriot-Watt University, la BBC (per la serie BBC’s Six Robots & US) e la (italianissima) catena di supermercati Margiotta Food & Wine. L’obiettivo dell’esperimento era quello di appurare le possibilità di integrazione tra il robot ed i clienti in carne ed ossa. Sebbene non possa essere definito un successo, il test ha fornito indicazioni interessanti riguardo l’interazione tra androidi ed umani. 

Il nome Fabio era stato dato affettuosamente dai dipendenti del supermercato di Edimburgo presso il quale lavorava. Fabio è uno shopbot prodotto dalla giapponese Softbank, un automa della linea Pepper. Come recita il sito del produttore: «Pepper è il primo robot umanoide sociale al mondo in grado di riconoscere i volti e le emozioni umane basilari. Pepper è stato ottimizzato per l’interazione con l’uomo ed è in grado di interagire con le persone attraverso il dialogo ed il proprio touch screen». 

Il rifiuto 

L’impatto iniziale di Fabio sui clienti del supermercato è stato positivo. Il robot li salutava con un cinque e li accoglieva calorosamente con un «Ciao splendore». Tuttavia l’idillio è durato poco. Le risposte dell’androide risultavano spesso vaghe e finivano talvolta per accrescere la confusione degli avventori. A chi chiedeva dove si trovasse una certa birra, la replica dell’automa consisteva in un banale: «È nella sezione alcol», così come i formaggi o il latte erano «In frigo».  

Fabio ha finito con l’irritare i clienti, i quali hanno preso ad ignorarlo. «Pensavamo che un robot fosse un’aggiunta fantastica per mostrare ai clienti che vogliamo fare cose nuove e divertenti». Riferisce Elena Margiotta che gestisce i supermercati dell’omonima catena col padre Franco e la sorella Luisa. «Purtroppo Fabio non ha lavorato come speravamo», ha chiarito Luisa 

La causa può essere una programmazione approssimativa, o l’inadeguatezza del robot a spostarsi ed accompagnare gli acquirenti tra i reparti, o le difficoltà incontrate nel comprendere le domande rivoltegli a causa dei rumori di fondo presenti nel supermercato. Quale che sia la causa Fabio ha fatto flop. 

Nondimeno al robot è stata offerta una seconda opportunità, seppur per certi versi demansionandolo. Fabio è stato relegato in un ambiente, in fondo al negozio, ad offrire agli acquirenti degli assaggi gratuiti di arrosto di maiale. Qui, invero, l’automa ha fatto persino fatto peggio.  

I clienti non si sono limitati ad ignorarlo o schivarlo, ma in alcuni casi hanno addirittura abbandonato il negozio. Tutt’altra è stata, al contempo, la performance dei colleghi umani, verso i quali Fabio ha perso nettamente il confronto: 12-2. In un quarto d’ora, infatti, i primi hanno attratto ben dodici avventori, mentre l’androide si è fermato a due. «Le prestazioni non erano quelle attese, le persone lo evitavano ha spaventato i clienti», il commento dei titolari del supermercato. 

Licenziato in tronco! 

A questo punto Fabio aveva i minuti contati e a Franco Margiotta che gli annunciava il licenziamento ha replicato serafico: «Sei arrabbiato?». Nondimeno Oliver Lemon, direttore del laboratorio di interazione presso la Heriot-Watt University, il papà del droide, ha tenuto a fa una precisazione. Il licenziamento è stata una trovata dei giornali: «È un’invenzione. Fabio è rimasto per una settimana, che è semplicemente il tempo concordato con la BBC per filmare». 

Secondo Lemon Fabio non è stato un totale insuccesso: «In realtà, [lo staff] riteneva che rappresentasse un miglioramento dato che è stato in grado di gestire richieste frequenti e noiose. Tipo quelle dei clienti che chiedevano continuamente dove si trovassero gli articoli, cosa che penso abbiano trovato molto utile». Non proprio dello stesso avviso Luisa Margiotta: «Riteniamo che i nostri clienti amino l’interazione personale e parlare con il nostro staff è una parte importante di tutto ciò». 

Ed è proprio l’interazione l’elemento che ha fatto la differenza. È lì che Fabio ha fallito: «I membri del nostro staff conoscono molto bene i nostri clienti abituali e possono conversarvi quotidianamente, e dubito che i robot sarebbero in grado di soddisfare ciò», ha proseguito scettica la Margiotta. E ha concluso «È possibile, ritengo, che i robot possano aiutare in ruoli come quelli relativi a mansioni di magazzino, ma dubito che elimineranno mai la necessità dell’interazione umana».  

Forse Fabio è arrivato troppo presto ed ha pagato lo scotto di precorrere i tempi. Nondimeno la Margiotta potrebbe presto doversi ricredere. Stando a quanto lascia presagire il progresso digitale, in un (molto) prossimo futuro l’IA di robot e dispositivi vari ci conoscerà molto meglio di quanto possa sperare un intimo amico e persino noi stessi. E l’intelligenza artificiale sarà in grado di utilizzare nella maniera più soddisfacente questo suo prezioso bagaglio di conoscenze. Resta da vedere a vantaggio di chi o che cosa … 

Empatia 

La vicenda di Fabio, tuttavia, così come le sorprese, non era ancora definitivamente conclusa. Allorquando il robot esonerato è stato impacchettato e riconsegnato alla Heriot-Watt University, i suoi colleghi in carne ed ossa hanno accolto con dispiacere la notizia.  

Si è così scoperto che mentre Fabio non era riuscito a catturare la simpatia dei clienti, ingenerando invero fastidio e disinteresse, aveva suscitato invece affetto ed un certo attaccamento nei colleghi umani. «Una delle cose che non ci aspettavamo era che la gente che lavora nel negozio si attaccasse a lui. Quando l’abbiamo preso e rimesso nella scatola, qualcuno si è messo a piangere», rileva Lemon. La cosa è tanto più sorprendente dal momento che ci si attendeva una reazione affatto diversa. Si supponeva, prosegue ancora Lemon, che i dipendenti del supermercato, «si sarebbero sentiti minacciati perché lo avrebbero percepito in competizione con loro». 

Invece sono stati proprio i suoi (estemporanei) colleghi a rammaricarsi per il piccolo robottino (1,20 m) della Softbank. Forse perché loro la competizione l’hanno vinta quantunque, quasi da subito, questa non sia praticamente esistita. Forse, invero, i motivi sono più profondi e vanno ricercati dentro di noi, nella nostra mente, nell’evoluzione che ha plasmato il nostro cervello.  

La discrasia tra la reazione generata da Fabio nei clienti e quella indotta nei colleghi, di segno totalmente opposto, è rivelatrice del funzionamento della nostra psiche e del nostro emotivo più intimo. Pertiene, verosimilmente, alla sfera ancora in parte misteriosa dell’empatia, dell’immedesimazione nell’altro da sé, del rapporto tra l’io ed il mondo esterno. 

Design e contatto umano 

Fabio non è l’unico automa ad aver incontrato problemi nell’interagire con i clienti e nel coinvolgerli. Ubn altro è Tom, un suo collega impiegato in Germania presso una catena di negozi di elettronica. Anch’esso ha subito lo stesso destino, quello di essere evitato dai clienti. Tom, tuttavia, non è stato licenziato, bensì riprogrammato per ballare Gangnam Style, in un tentativo, a dir poco estremo, di catturare i clienti. 

Secondo Rebecca Dare, docente presso la Monash University, gli insuccessi registrati dagli automi nel coinvolgere i clienti hanno una causa. Il “disallineamento” tra il design del robot e la funzione che questi è chiamato a svolgere.  

Cioè: «Un elemento chiave del design è il volto del robot. Esaminando i robot oggi disponibili nei negozi, come “Tom”, “Pepper” e “Paul”, la maggior parte sono stati progettati con delle facce rotonde e amichevoli, ancorché remissive».

Sebbene tali fattezze comunichino gentilezza ed affidabilità, secondo la Dare dei volti maggiormente allungati e dominanti esprimerebbero invero competenza ed intelligenza. Tali sono attributi molto più consoni al compito a cui i robot sono adibiti. La docente australiana ha poi aggiunto un ulteriore elemento. «Oltre alla forma del volto, i robot nei negozi dovrebbero mettere in comunicazione gli acquirenti con l’assistenza umana qualora richiesto, anziché rimuovere il contatto umano dall’esperienza di acquisto». 

Il contatto umano è un altro elemento importante, plausibilmente, nella chimica dell’interazione con le macchine. Diverse indagini hanno dimostrato come la stragrande maggioranza degli utenti nella propria “shopping experiece” preferisca rapportarsi con delle persone piuttosto che con dei droidi. Spesso questi non vengono rifiutati in toto. Una ricerca condotta da Oracle NetSuite, ha evidenziato come ben il 95% dei clienti abbia affermato di non essere interessato ad interagire con robot o chatbot mentre fanno acquisti, sia nei negozi calce e mattoni, che in quelli virtuali online. 

Il fattore culturale 

Nondimeno i casi positivi di interazione con gli automi riuscita e positiva non mancano. Un esempio, sempre nel settore Retail, è costituito da LoweBot, un robot della catena di negozi Lowe. Il bot aiuta i clienti a trovare la merce all’interno del punto vendita e svolge inoltre anche altre funzioni. 

Un altro elemento che ha un suo peso è quello culturale. Una ricerca condotta nel 2016 dall’Università del Wisconsin, ha mostrato come gli studenti avessero delle aspettative particolarmente alte verso l’operato delle macchine e fossero, di conseguenza, estremamente esigenti nei loro confronti. «I ricercatori hanno scoperto che qualora i partecipanti [all’esperimento] ricevevano cattive indicazioni [da una macchina], abbandonavano rapidamente il consulente informatico. Non ne utilizzavano neppure i suggerimenti per le prove successive».  

Di contro, qualora la stessa cosa avveniva da parte di un essere umano gli studenti si mostravano molto più comprensivi ed indulgenti. «È come se le persone “perdonavano” il consulente umano per aver commesso un errore, ma non estendevano lo stesso senso di clemenza al computer». Questo, concludeva Andrew Prahl, uno degli autori della ricerca, presenta in definitiva profonde implicazioni nei confronti del processo di automazione al quale assistiamo quotidianamente:  

«Ciò ha implicazioni molto importanti perché costantemente assistiamo alla sostituzione degli umani con i computer nei luoghi di lavoro … Questa ricerca suggerisce che qualsiasi potenziale guadagno in termini di efficienza che va nella direzione dell’automazione potrebbe avere un contraltare. Tutto tutto ciò che l’automazione deve fare è errare una sola volta, e la gente perderà rapidamente la fiducia e smetterà di utilizzarla. Questo è uno dei pochi studi là fuori che mostrano davvero i potenziali svantaggi dell’automazione nei luoghi di lavoro». 

La specificità del sud-est asiatico 

In alcuni paesi, quelli del sud-est asiatico in particolare, l’atteggiamento verso i robot ed i dispositivi intelligenti in genere è affatto diverso. Il Giappone, ha investito notevolmente nelle tecnologie robotiche e di IA in genere. Nel paese del sol levante gli automi vengono utilizzati con ottimi risultati (in primo luogo in relazione all’accettazione da parte delle persone) in svariati campi. Questi vanno dall’assistenza agli anziani, alla ricerca in campo medico, all’assistenza dei passeggeri alla stazione di Tokyo. Tokyo inoltre ha ufficialmente concesso la residenza a Shibuya Mirai, un chatbot programmato per simulare un bambino di sette anni. In Arabia Saudita si sono spinti persino oltre, concedendo la cittadinanza a Sophia, un androide prodotto dall’azienda Hanson Robotics con sede ad Hong Kong. 

In conclusione, gli elementi che entrano in gioco quando si parla di interazione uomo-macchina sono molteplici. Ad oggi non si è ancora trovata la formula magica che assicuri un esito positivo e prim’ancora l’accettazione da parte degli esseri umani. Nondimeno, quando si parla di IA, i progressi corrono rapidi. Forse, quando leggerete questo articolo avrete già accanto un robot a tenervi compagnia o, chissà, magari sarà una voce digitalizzata a leggerlo per voi… 

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