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Ermotti in Ubs, Iger in Disney, Jack Ma in Alibaba e Schultz a Starbucks: nelle grandi società torna il ruggito dei vecchi leoni

Tre colossi richiamano i loro ex Ceo alla guida. E Jack Ma torna alla ribalta dopo l’esilio decretato da Xi Jinping. Ecco le ragioni della riscossa del poker d’assi

Ermotti in Ubs, Iger in Disney, Jack Ma in Alibaba e Schultz a Starbucks: nelle grandi società torna il ruggito dei vecchi leoni

A volte ritornano. Anzi, più spesso di quanto non si immagini. Secondo Spencer Stuart, una società di ricerca Usa, sono 22 i capi azienda di società quotate a Wall Street che negli ultimi dieci anni sono tornati alla testa delle corporations da cui si erano dimessi dopo lunga e ben remunerata attività: nove hanno accettato incarichi d interim un attesa di un successore definitivo. Altri 13, però, sono tornati in sella a tempo pieno. E l’elenco è destinato ad allungarsi perché non  tiene  conto degli ultimi colpi di scena. Sergio Ermotti, innanzitutto.  il banchiere ticinese richiamato a furor di popolo per pilotare Ubs dopo l’acquisto del Crédit Suisse. Ma, pur in assenza di un incarico ufficiale,  non si può fare a meno di citare il ritorno alla ribalta di Jack Ma, il mitico creatore di Alibaba. Per ora solo un insegnante in quel di Hangzhou, ma già capace di infiammare la fantasia degli investitori che hanno premiato il titolo con un rialzo che, sia i Usa che ad Hong Kong, ha superato il 17% in una settimana. 

Ubs, Disney, Starbuck e Alibaba: la carica dei vecchi Ceo

Ma non basta. A sostenere la moda del “ceo vintage” hanno contribuito in settimana le gesta di due altre vecchie glorie tornate in primo piano: Bob Iger, di nuovo numero uno in Walt Disney, ed Howard Schultz, per la terza volta richiamato a guidare l’impero di Starbucks. Entrambi si sono rivelati all’altezza della fama. Iger ha esordito dando il via ad un taglio drastico dei conti di Topolino: 7 mila licenziamenti, a partire dal rivale Isaac Pearlmutter che alla guida della controllata Marvel, ha appoggiato la scalata del raider Nelson Peltz.

Bob Iger in Disney: scacco matto a Ron DeSantis in Florida

Iger, 72 anni, un passato da giornalista ed ambizioni politiche nell’area democratica, ha anche rifilato nei giorni scorsi un calcione negli stinchi di Ron DeSantis, il governatore repubblicano della Florida rivale di Donald Trump. DeSantis. in odio all’opposizione di Disney alla legge “don’t say gay” che impone una censura di ferro sui film e la gestione dei parchi giochi, ha cancellato la vecchia legge che attribuiva a Topolino il controllo del distretto speciale dell’area dove sorge Disney World. “C’è un nuovo sceriffo in città” ha tuonato il governatore presentando la nuova squadra per moralizzare l’area giochi. Ma giovedì è arrivata la doccia fredda: regolamento alla mano, Disney ha chiesto di regolare la questione dei debiti: o il nuovo consiglio si accolla on tempi stretti il rimborso dei debiti, comprese le obbligazioni per lo sviluppo del business oppure si fa bancarotta e si chiude. 

Guai a scherzare con Iger, insomma, già esaltato da una vecchia gloria dei mercati che, per la verità, in pensione non c’è andato mai: Carl Icahn, il re degli scalatori che dall’auto agli aerei passando per Las Vegas popola da almeno mezzo secolo le cronache di Wall Street. “Per ripartire abbiamo bisogno di un manager stile Bob Iger” ha scritto in una lettera agli azionisti di Illumina, società di San Diego leader nella genomica, vittima di una sfortunata acquisizione contestata dalle autorità. Niente di meglio che richiamare il vecchio Ceo “uno che certi errori non li ha fatti mai”. 

Schultz a Starbucks: no al sindacato ma salari aumentati per tutti

La pensa così anche la maggioranza degli azionisti di Starbucks che hanno richiamato sulla tolda di comando Howard Schultz, il fondatore dell’impero dei bar che presidiano le città di Cina e d’ America, nonché i centri di mezza Europa. Solo lui, secondo gli analisti, poteva rimettere in sesto la nave, gravemente danneggiata dai colpi della pandemia. E lui, vecchio democratico, si è messo in moto con una grinta inattesa, ingaggiando uno storico braccio di ferro con i sindacati. Dal suo rientro alla guida del gruppo ha concesso aumenti salariali e tagli d’orario a 250 mila baristas a condizione di tener fuori il sindacato dai bar. Il risultato? Un duro scambio di accuse nei tribunali fino alla convocazione al Congresso dello stesso Schultz da parte di Bernie Sanders per un confronto che ha fatto il pieno in tv.

Ermotti in pista per il colosso Ubs-Credit Suisse

Ma cosa spinge il fenomeno, un vero e proprio effetto boomerang che in questi anni ha investito almeno una cinquantina di protagonisti dell’economia globale? “Quando l’andamento aziendale esce fuori dai binari  – spiega Jim Citrin di Spencer Stuart – le società tendono a tornare sui propri passi. E la presenza di un leader forte e ben introdotto nelle leve societarie può essere la mossa giusta”. A questo hanno probabilmente pensato i poteri forti della Svizzera proponendo ai mercati la figura di Sergio Ermotti: ticinese, promessa mancata del Lugano Calcio, banchiere d’affari in Unicredit ove le fondazioni non ebbero il coraggio di premiare il manager che garantiva più della metà degli utili. Rientrato in patria, è stato lui a far uscire Ubs dalle secche della crisi del 2008 esaltando la vocazione di “banca dei ricchi”, specializzata nel wealth management ma anche, non meno importante, portando a compimento una spietata operazione pulizia, quella che è mancata ai cugini/rivali del Crédit Suisse. Oggi lui ci riprova e torna in Ubs. In palio c’è una partita politica e strategica di grande rlievo. O superSergio  (affiancato in passato a Marchionne) riesce nell’impresa regalando all’Europa la prima banca sistemica in grado di competere, date le dimensioni, con i giganti Usa, o la Svizzera perderà una buona  parte del suo appeal. 

Jack Ma: prima l’esilio, poi spacchetta Alibaba in sei e vince

Ma nessuna sfida, in realtà, ha il valore politico e sistemico del rientro in scena di Jack Ma, il mito dell’economia tech cinese, scomparso dai radar poco meno di tre anni fa per aver osato criticare la leadership del sistema bancario di Pechino che intendeva scalzare senza troppi complimenti con il lancio in Borsa di Ant Group, una vera e propria Fintech di massa capace di far saltare i meccanismi di potere, non solo bancario, della Cina. La reazione di Xi Jing Ping, si sa, non si è fatta attendere: Alibaba, da un valore di Borsa superiore agli 850 miliardi di dollari, è scivolata sotto i 200 miliardi, dopo multe e limiti all’attività che hanno colpito anche il resto dell’hi tech del Paese, dalle scuole di lingua on line ai social network ed alle app finanziarie.

Jack Ma è finito in esilio volontario, prima in Spagna poi facendo rotta a passo di lumaca verso la Cina. Il ritorno ad Hangzhou, la città natale, è avvenuto ad inizio settimana proprio in coincidenza di un discorso conciliante di Li Quiang, il neo premier di Pechino cui tocca riavviare l’economia piegata dal Covid ma anche dalla burocrazia che ha ripreso potere a scapito dell’iniziativa privata. Ma il registro potrebbe cambiare. Così pensano i mercati finanziari che hanno letto nella decisione, presa da Zang, allievo e successore di Ma, di trasformare Alibaba in una holding a capo di sei società operative da quotare il Borsa con l’obiettivo di riprender a creare valore. Per ora, il professor Ma, che in questi anni si è occupato di insegnamento a distanza, resta sullo sfondo. Ma chissà, l’effetto boomerang può funzionare anche in Cina.   

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