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Elezioni, bramini e mercanti: Piketty vs Marx

Secondo l’economista francese Thomas Piketty i progressisti dei nostri tempi conquistano l’elettorato istruito ma i conservatori si tengono quello abbiente: ecco perchè secondo un suo recente working paper che ha attirato l’attenzione dell’Economist di cui riportiamo la versione in italiano

Elezioni, bramini e mercanti: Piketty vs Marx

I progressisti conquistano l’elettorato istruito, ma i conservatori si tengono quello abbiente

Accendiamo i riflettori su uno studio coordinato da Thomas Piketty su politica e demografia e segnalato dall’“Economist” il 29 maggio 2021 con il misterioso titolo “Brahmins vs. merchants”.

Per chi si occupa di libri, Piketty è anche un caso editoriale di successo per questa industria.

Marx e Piketty, due eroi del loro tempo

Oltre a un certo orientamento ideale e al titolo dell’opera principale, Piketty ha in comune con Marx la capacità di passare intere giornate su dati, statistiche e documenti economico-sociali e di saperci ricavare tendenze e storie assai illuminanti di quello che sta succedendo intorno a noi.

L’interpretazione dei dati dell’economia o della demografia non è come guardare Via col vento: la loro estrazione e il loro studio domanda una certa abnegazione e un fatica che richiama quella dei minatori più che quella degli intellettuali. Piketty non è una di quelle presenze fisse nei talk show con una bella abbronzatura da Costa azzurra.

L’eroico Marx

Marx aveva una espressione colorita ed esplicita per definire il faticoso lavoro di escavazione che i materiali economici e demografici gli richiedevano. Lo definiva: “Die ganze ökonomische Scheiße” (“Tutta quella roba merdosa”, T.d.A.). Basta aprire una pagina a caso dei Grundrisse per capire che materiale davvero ******* maneggiasse Marx e perché, alla fine, la sua analisi dei meccanismi del capitalismo resti a tutt’oggi insuperata.

Marx soffriva di ragadi anali e si può immaginare quale sofferenza fosse per lui stare a sedere tutto il giorno sulle panche delle tetre sale della British Library. Si dice che quando l’infiammazione si acutizzava le sue teorie diventassero più radicali.

Durante la stesura del Capitale, Marx scrisse ad Engels con una certa ironia: “Per finire il libro dovrei almeno essere capace di sedermi. Spero che la borghesia se ne ricordi”. Marx aveva un umorismo piuttosto corrosivo, anche abbastanza simpatico, malgrado abbia strapazzato diverse personalità, da Proudhon a Bakunin, portatrici di istanze importanti per il movimento operaio. Il frazionismo della sinistra l’ha avviato proprio Marx.

L’eroico Piketty

Piketty opera in un contesto più confortevole di quello di Marx. Ha un ottimo stipendio, lavora a casa o nel suo studio alla EHESS di Parigi, comodamente seduto in una poltrona imbottita davanti a un Mac munito di accesso remoto alle basi dati di cui ha bisogno. Ciò nonostante, la lavorazione del materiale che studia mantiene un che di ingrato.

Al pari del lavoro di Marx, l’opera di Piketty ha qualcosa di rilevante per la sua estensione anche storica e geografica. Il Capitale nel XXI secolo è diventato un bestseller mondiale tradotto in tutte le lingue. Chi l’avrebbe detto di un libro di statistica economica?

In effetti si tratta di un libro accademico di mille pagine, 96 grafici e 18 tavole (in Italia edito da Bompiani). Secondo le statistiche di lettura del Kindle, la gente, in media, non è andata oltre il 20% del contenuto. Con ciò ha fatto senz’altro meglio dei Principia Mathematica di Russell e Whitehead che, riferisce Russell stesso, solo Kurt Gödel lesse per intero.

Un nuovo canone interpretativo

Sta di fatto che Il Capitale nel XXI secolo ha veramente modificato il canone interpretativo della società post-industriale che pensavamo informato dalla democrazia politica e della giustizia sociale.

Piketty ha dimostrato che il canone è un altro: è la disuguaglianza. Uno scoperta shock per l’opinione pubblica che ha sedimentato e consolidato la sensazione percepita dopo la terribile crisi del 2007–2008, e confermata dalla pandemia.

Certo Il Capitale nel XXI secolo non è un lavoro perfetto, come del resto non lo era neppure il Capitale di Marx. Un gruppo di studiosi, in un libro dal titolo Tutti gli errori di Piketty (IBL libri, 2018), ha messo in luce le mancanze anche teoriche di quel lavoro.

Sta di fatto che la tesi centrale del libro, cioè la disuguaglianza è, insieme alla pandemia, l’argomento principale del discorso pubblico globale e se ne parla pure nei G7.

Il populismo non è un cigno nero

Recentemente Piketty, insieme a Amory Gethin e Clara Martínez-Toledano — due colleghi del World Inequality Lab — ha pubblicato un working paper di 150 pagine dal titolo “Brahmin Left versus Merchant Right: Changing Political Cleavages in 21 Western Democracies, 1948–2020”. Sostanzialmente, il paper applica, allo studio del rapporto tra demografia e ideologia, l’approccio della opera principale di Piketty.

Il team ha elaborato le serie storiche di dati per caratteristiche socioeconomiche di oltre 300 elezioni tenutesi in 21 democrazie occidentali dal 1948 al 2020.

L’analisi di queste serie mostra che l’elezione di Trump o la Brexit non sono stati eventi imprevedibili e inattesi, bensì lo sbocco naturale di un trend internazionale sviluppatosi a partire dagli anni ’60.

La migrazione dei bramini e la stanzialità dei mercanti

Negli anni 1950–1960, il voto per i partiti democratici, laburisti, socialdemocratici, socialisti, progressisti e assimilabili era associato a elettori con bassi livelli di istruzione e di reddito. L’elettorato istruito e abbiente votava per i partiti conservatori.

A partire dal 1960, sul voto per i partiti progressisti hanno iniziato gradualmente a convergere elettori di istruzione superiore (‘i bramini’) in precedenza saldamente schierati con i conservatori.

Nel negli anni 2000–2010 questa tendenza ha iniziato ad assumere una tale dimensione da dare origine a “sistemi di partiti multi-élite”. Le élite dei bramini votava per i progressisti. Invece le élite ad alto reddito (‘i mercanti’) continuavano a votare per i conservatori come avevano sempre fatto.

Chi non apparteneva socialmente a queste élite iniziava a rimanere orfano di rappresentanza politica o la vedeva molto diluita negli storici partiti di riferimento.

La ragione demografica di questo trend

Gli autori non identifichino la causa di questa tendenza, ma si può ragionevolmente intuire che è di natura demografica.

Nel 1950, il 10% scarso dell’elettorato in America e in Europa aveva un’istruzione superiore. Si trattava di un’incidenza irrilevante a livello elettorale, incapace di riorientare uno schieramento politico.

A partire dal 2000 oltre un terzo dell’elettorato possedeva un diploma di istruzione universitaria, sufficiente ad attirarlo verso coalizioni politiche identificabili come progressiste.

A questo punto la coalizione opposta ha iniziato a fratturarsi nel richiamare altri strati del corpo elettorale per compensare l’uscita dei bramini dal polo conservatore. Ecco che sono nate le formazioni della destra alternativa e dei populisti.

Un nuovo assetto socioculturale dello schieramento politico

Questo riposizionamento è stato accelerato dall’ascesa sia del movimento ecologista che da quello anti-immigrazione. Le caratteristiche chiave di questi schieramenti sono state in grado di serrare i ranghi, rispettivamente, dell’elettorato più istruito e di quello meno istruito.

Combinando il database degli spostamenti elettorali elaborato dal team di Piketty con i programmi dei partiti politici, è emerso che la discriminante educativa è fortemente legata all’emergere di un nuovo asse “socio-culturale” del conflitto politico, rispetto a quello storicamente tipico delle democrazie occidentali.

La percezione che qualcosa di molto simile sia accaduto o stesse accadendo è frutto di intuizioni, ma ora Piketty dà piena legittimazione scientifica a questa finora incerta intuizione.

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