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Economia, ripresa alla prova della variante Delta

LE LANCETTE DELL’ECONOMIA DI LUGLIO 2021 – L’economia sale ma il virus ha contrattaccato: la ripresa deraglierà? Quali Paesi sono più a rischio? L’inflazione risale: fino a quando e per quanto tempo? Perché i tassi a lunga restano bassi? Quali novità bollono nella pentola delle Banche centrali? Il dollaro salirà ancora? E i mercati azionari rischiano una correzione?

Economia, ripresa alla prova della variante Delta

Come in quei videogame in cui, appena disintegrato un mostro, ne spuntano altri sette, così accade con i virus. Questi mutano in continuazione, secondo “Il caso e la necessità”, come scrisse il premio Nobel Jacques Monod in un eponimo e seminale libretto. Non è che il virus ce l’abbia con l’umanità: la maggior parte delle mutazioni – che sono essenzialmente casuali – è innocua per noi (nel senso che non aggrava il pericolo), ma, mutando e rimutando, vengono fuori anche varianti più pericolose: si diffondono più facilmente per via aerea, si replicano più rapidamente dentro i nostri corpi, riescono talvolta a evitare le difese immunitarie e basta un contatto anche di pochi secondi in un’area (o ‘aria’) infetta per essere, appunto, infettati. Insomma, varianti più aggressive e più letali.

Avevamo appena detto (non solo come speranza) nelle “Lancette” del mese scorso che i rischi sono verso l’alto, ma la variante Delta (per non parlare della Delta+ o della Lambda) è venuta a tarpare le ali dell’entusiasmo. I contagi stanno aumentando dappertutto (in Italia meno della media) e siamo ancora ai blocchi di partenza della gara: la gara è fra la diffusione dei contagi e la diffusione delle vaccinazioni. Chi vincerà?

In un certo senso, c’è già una vittoria dei vaccini, anche se parziale. I contagi aumentano ma casi gravi e decessi non seguono questo aumento, dato che una parte crescente della popolazione è vaccinata con almeno una dose, e in ogni caso, dopo 18 mesi di terapie anti-Covid, siamo diventati più bravi a curare i malati. E la scienza non si ferma. All’orizzonte si profilano nuove rivoluzioni: proteine artificiali, disegnate in laboratorio, che creano vaccini producibili a poco prezzo, efficaci in dosi minime e che possono essere mantenuti a temperatura ambiente: sono già iniziate le prove cliniche nel Washington State e nella Corea del Sud. Insomma, alla fine vinceranno i vaccini.

Intanto, un fringe benefit del Delta è che la gente si è presa paura e corre a farsi vaccinare. La paura fa novanta, ma induce anche, a parte la corsa ai vaccini, comportamenti prudenti nei consumi e nella mobilità. La ripresa nei prossimi mesi può essere scalfita, ma non per molto, dato l’aumento inesorabile delle vaccinazioni.

Quali Paesi sono maggiormente esposti? In Europa sono pochi i Paesi che resistono al Delta (i più virtuosi sono i Paesi dell’Europa orientale). Nella parte occidentale, il virus dilaga nel Regno Unito, in Spagna, in Portogallo, in Francia, nel Benelux, in Grecia… Germania e Italia registrano aumenti, ma più modesti (per ora…) che altrove. Anche in America i contagi aumentano rapidamente, così come nel resto del mondo, a parte la Cina, dove non si nota alcuna accelerazione nei (pochissimi) nuovi casi di Covid, ma con livelli di restrizione sociale alti e innalzati.

Le incursioni della variante Delta sono recenti, e gli impatti sull’economia non sono ancora riflessi nei dati, che si fermano alle rilevazioni fatte a inizio giugno. Ma già in alcuni Paesi sono tornate le restrizioni, che avranno inevitabilmente effetti sull’attività economica.

In Italia, come detto, i nuovi casi di Covid sono in aumento (cattiva notizia), ma abbiamo vinto all’Euro 20 (buona notizia). Dato che la partita del Pil si gioca sulla fiducia e sulla spesa, potremmo sperare che le buone notizie pesino di più di quelle cattive. Il problema è che l’euforia da epiche gesta calcistiche non durerà molto, mentre ancora per un mese o due dovremo dolorosamente parare gli affondi del Delta

L’inflazione si conferma di qua e di là dell’Atlantico, specie, come già detto, a livello delle materie prime e, in generale, dei prezzi alla produzione. Ma in America anche la dinamica dei prezzi al consumo accelera, sia a livello dell’indice totale che di quello al netto di alimentari ed energia (core). La Fed non sembra preoccupata e ribadisce, con molte buone ragioni, la natura temporanea di questi aumenti.

In Europa non siamo al 5 e passa per cento dell’inflazione americana headline, ma in Germania i prezzi al consumo registrano (orrore!) un tendenziale del 2,4% (1,8% per il core). In Italia gli aumenti sono più contenuti e si mantengono ben sotto il famoso 2% che è l’obiettivo delle Banche centrali (vedi sotto). Abbiamo detto che la ripresa potrà essere scalfita dal Delta. E il Delta potrà quindi anche dare una mano (si fa per dire) al controllo dell’inflazione: meno domanda e prezzi meno caldi. Si notano già delle avvisaglie di stabilizzazione, se non di rientri, a livello delle materie prime, sia petrolio che non-oil.

I prezzi delle abitazioni sono in tensione in giro per il mondo, ma questi aumenti sono più legati ai bassissimi tassi di interesse (da tempo in Danimarca ci sono stati perfino casi di mutui a tassi negativi, ossia il capitale da restituire diminuisce più delle rate pagate) che a questioni di surriscaldamento dell’intera economia. Giocano anche, in alcuni Paesi (specie in Usa e in Inghilterra) restrizioni all’offerta per questioni di piani regolatori e di edificabilità.

Passando ai tassi di interesse, la domanda più importante è questa: aumenteranno, di conserva alle tensioni sui prezzi e alle necessità di finanziamento dei deficit pubblici? Una premessa: è affascinante vedere i cambiamenti nella pratica e nella grammatica delle Banche centrali. Fino a pochi anni fa arcigni guardiani dell’ortodossia, ora hanno lasciato il doppiopetto e si sono messe scarpe da ginnastica e boxer da pugile: portano tassi a zero o sottozero, spargono soldi dall’elicottero, ammoniscono contro prematuri rilassamenti della politica di bilancio, minimizzano i pericoli dell’inflazione… E, tutto sommato, hanno ragione.

Sì, i tassi aumenteranno “ma non subito” (come diceva Sant’Agostino chiedendo al Signore di farlo casto). In qualche Paese ci sono già stati timidi aumenti, ma pure qui i tassi rimarranno molto vicini ai minimi storici. E gli aumenti dei tassi-guida delle principali Banche centrali (la Fed li vede al 2023) andranno di conserva al miglioramento dell’economia: saranno, insomma, aumenti ‘buoni’. Guardando ai tassi a lunga, questi non si sono dati per inteso delle minacce inflazionistiche, e anzi sono scesi, guardando forse di più a un rallentamento della ripresa (torniamo al Delta) e a una convinzione che si diffonde: le Banche centrali non parlano con lingua biforcuta.

Più interessanti sono le prospettive per quanto riguarda il Qe. Anche qui ci sono intenzioni e previsioni di graduali cessazioni di quel ‘pronto soccorso’ dell’espansione quantitativa della moneta che è stata “cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza” (come recita il Prefazio) nei tempi terribili della pandemia. E anche qui, queste graduali cessazioni andranno pari passu al miglioramento dell’attività economica. Ma, anche se tecnicamente “meno Qe” vuol dire “restrizione”, in pratica non si tratterà di una politica monetaria che intralcia la ripresa. Le condizioni monetarie rimarranno accomodanti, e questo è vero specialmente per l’Europa.

Il 22 luglio la riunione della Bce verterà sui nuovi paradigmi di politica monetaria, dei quali si intravedono già le grandi linee: tirare i remi in barca sugli acquisti di titoli (l’anno prossimo) e, soprattutto, abbattere l’idolo del 2%. Prima il 2% era considerato un massimo (lo zero%, disse un giorno Wim Duisenberg, quando era Governatore della Banca centrale olandese, prima di essere il primo presidente della Bce, è il “paradiso di una Banca centrale”). Poi, quando si manifestarono i pericoli della deflazione, si disse che lo zero% non andava affatto bene, l’obiettivo deve essere 2% o vicino (dal basso) al 2%. Oggi si dice che bisogna mirare al 2% e basta: né sotto né sopra. Ma la Lagarde ha fatto capire (sottovoce) che se l’inflazione è sotto al 2% e c’è bisogno di una forte politica espansiva, non è escluso che ci possa essere un overshooting

Poi, c’è la questione della moneta digitale (da non confondere col Bitcoin). Molte Banche centrali stanno sperimentando con le monete digitali (tra le grandi quella più avanti è la cinese). Si tratta sostanzialmente di un’altra freccia nella faretra della politica monetaria. I privati potranno tenere conti in banca direttamente con la Banca centrale. Il che sarebbe utile se, in casi di crisi, la Bce (o la Fed, o…) dovessero mettere soldi nei conti dei cittadini, col che annebbiando ancora di più la distinzione fra politica monetaria e politica di bilancio (il che è un bene).

Il dollaro, a giugno del 2020, nei giorni più bui della pandemia, era a 1,12 contro euro. Poi cedette terreno e da un anno a questa parte si è mantenuto nella forchetta 1,17-1,22. Quando cominciò la discesa c’era chi preconizzava 1,30 a fine anno, ma non succederà. Il differenziale di crescita è a favore di un apprezzamento del dollaro, ma con juicio. L’altro differenziale – dei tassi reali a lunga, T-Bond/Bund – che superava a inizio anno i cento punti base, ora si è praticamente azzerato, spingendo quindi nella direzione opposta rispetto al differenziale di crescita. Il “fattore Delta” colpisce sia l’Europa che l’America, ma le opportunità di investimento stanno crescendo nel Vecchio continente, ciò che dovrebbe favorire gli afflussi di capitali. Mettendo assieme fattori negativi e positivi sul cambio abbiamo un quadro di relativa stabilità, senza strappi particolari.

Lo yuan si è un po’ deprezzato rispetto al dollaro, di conserva all’euro, ma mantiene un apprezzamento di circa il 7% rispetto a un anno fa. Anche qui, è difficile immaginare, in prospettiva ravvicinata, grossi scostamenti.

I mercati azionari, hanno macinato qualche altro record, e, come avrebbe detto Bertoldo, quello che va su poi viene giù. Le probabilità di un ‘giù’ sono aumentate, a causa della malefica Delta. Ma, confermando quel che si è detto in passato, una correzione sarà, appunto, solo una correzione. I fondamentali continuano a rimanere favorevoli all’investimento azionario, anche se è possibile trovare qualche buon rendimento nelle obbligazioni societarie. Variando sui refrain passati, questo non è un ‘consiglio per gli acquisti’, ma se i lettori volessero considerarlo tale, farebbe parte del libero arbitrio.

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