Condividi

Ecco Tengai, il robot capace di provare emozioni

GIUSEPPE DI PIRRO racconta l’incredibile storia del robot reclutatore Tengai progettato dalla startup svedese Furhat Robotics: ecco come è nato e che cosa sa fare

Ecco Tengai, il robot capace di provare emozioni

Hello Robot

Ormai sono tra noi! Quantunque non ne abbiamo ancora piena consapevolezza sono tra noi e saranno sempre più numerosi. Forse ci colonizzeranno. Che lo vogliamo o no, comunque, con essi saremo costretti a convivere, collaborare, può darsi persino confrontarci. Augurandoci di non dover soccombere…

No, non mi riferisco a qualche specie aliena, né ad una pericolosa razza di visitors venuti da chissà dove. Quantunque si tratti effettivamente di una forma aliena, essa non proviene dallo spazio profondo. Bensì è nata qui, sulla terra. Ed è aliena in quanto diversa da noi e da qualunque altra cosa il nostro pianeta abbia visto sinora. E noi, l’umanità, ne siamo i creatori. Insomma, intendo parlare dei robot e dei dispositivi elettronici dotati di intelligenza artificiale in genere.

Siamo sempre più circondati da una congerie multiforme di congegni più o meno intelligenti e più o meno utili ed in buona misura ne siamo ormai assuefatti. Veniamo progressivamente invogliati ed educati ad accettare la pervasività, l’ubiquità o l’invadenza della tecnologia ed in taluni casi ne diveniamo pure dipendenti. Ma siamo davvero pronti ad affrontare il futuro prossimo digitale e soprattutto siamo realmente consapevoli di cosa presumibilmente ci attende?

La metamorfosi dell’interazione

Ciò che appare certo è che con tali dispositivi dovremo interagire in misura sempre maggiore. Nondimeno le modalità e talvolta persino il verso stesso della comunicazione uomo-macchina, si sono profondamente modificati nel corso del tempo. Sin dai primordi dell’informatica tale interazione si è progressivamente evoluta. Oggi, invero, essa appare improvvisamente ed intrinsecamente mutata.

È la vertiginosa accelerazione che negli ultimi anni l’avanzamento digitale ha impresso alla trasformazione. Quesa trasformazione non poteva non interessare anche le modalità con le quali interagiamo ed in ultimo ci rapportiamo con i dispositivi elettronici in genere. All’inizio c’erano elaboratori eminentemente meccanici, che necessitavano di comandi astrusi, per quanto elementari, mediante schede perforate e poi input testuali. Quindi si è passati alle tastiere e poi ai mouse, una vera rivoluzione quanto a semplicità di utilizzo ed accessibilità.

Oggi, grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale, si è compiuto un ulteriore salto. Non vi è più bisogno di alcun intermediario nell’interazione tra uomo e macchina. Non servono più mouse, tastiere, cd-rom o memorie di un qualche tipo. Questi “agenti” non risultano più indispensabili. Oggi la comunicazione, lo scambio e l’acquisizione di informazioni, può avvenire secondo svariate modalità. Lo si deve ai molteplici tipologie di sensori ed alle conquiste recenti dell’IA.

A cominciare dal mezzo più banale per noi umani: il linguaggio naturale. Quello che sino a poco tempo fa era un sogno o al più un auspicio, grazie alle acquisizioni nel campo del riconoscimento vocale e della comprensione del linguaggio è divenuto infine realtà. Siamo ancora in uno stadio iniziale e perfettibile. Con i dispositivi digitali possiamo ormai dialogare, siamo in grado di impartire ordini vocali. Tuttavia possiamo anche, a nostra volta, essere interrogati o divenire oggetto di indagine.

La macchina che impara

Inoltre, in virtù di ulteriori avanzamenti (dovuti soprattutto al machine learning), dal riconoscimento delle immagini alla capacità dell’IA di apprendere in maniera autonoma, tali dispositivi possono elaborare quantità enormi di informazioni. Possono mettere in relazione nonché estrarre significato, schemi e regolarità, dai dati più disparati. Tra questi ultimi, figurano anche gli esseri umani.

Nell’interazione con l’uomo, ormai, tutto ciò rende tali congegni capaci di anticipare una nostra richiesta, predire un bisogno, spingersi sino a suggerire e raccomandare. Per ora! La direttrice della comunicazione, invero, non appare più saldamente nelle mani dell’uomo. L’intelligenza artificiale, la sua smisurata capacità (di calcolo, analisi e previsione), unità alla crescente autonomia, acquisiscono repentinamente ed inesorabilmente terreno. E siamo appena all’inizio …

L’automazione, dei robot e dei software, si sta spingendo verso traguardi impensabili sino a poco tempo fa. La sostituzione e la conseguente marginalizzazione della componente umana avanza spedita. Dall’appropriazione di mansioni semplici e routinarie si è passati all’accaparramento, da parte delle macchine, di compiti più complessi ed intellettuali, sebbene ancora ordinari.

Ora l’IA punta decisamente alla conquista di prerogative più elevate, un tempo ritenute esclusivamente umane. Tutto poi sta avvenendo ad una velocità inusitata. Gli stessi robot non sono più né mere macchine deputate a svolgere specifiche mansioni, né tantomeno dei balocchi stravaganti per nerd. Bensì si sono evolute e diversificate, tanto da essere ormai in grado, come detto, di interagire più o meno compiutamente con l’uomo.

L’intelligenza emotiva artificiale

Si parla a tal proposito di robot sociali (social robot) ed ultimamente, a sottolineare un ulteriore salto qualitativo, quasi di specie, di emotional robot. L’intelligenza artificiale evolve ormai verso l’intelligenza emotiva artificiale (emotional artificial intelligence). Sebbene gli automi non provino emozioni le simulano, le sollecitano, le inducono, se ne servono …

Semmai qualcuno ritenesse ancora che si tratti di scenari confinabili alla fantascienza o comunque molto di là da venire, si sbaglia. Qualora gli scettici volessero avere una misura di quanto lontano si sia spinta la ricerca, beh, possono meditare sul fatto che, da qui a breve, potremmo trovare un robot ad accoglierci ad un colloquio di lavoro … Futuristico? Inverosimile? Bufala? Niente affatto, tutto vero.

Parliamo quindi di IA, ma anche di interazione, comunicazione, valutazione, nonché dialogo, coinvolgimento, emozioni. Artificiali, certo, eppure su di un piano quanto mai prossimo a quello squisitamente umano.

Parliamo di Tengai.

Tengai

L’idea non è nuova né particolarmente originale, nondimeno a crederci ed andare sino in fondo è stata una società svedese che si occupa di intelligenza artificiale e social robot: Furhat Robotics. Nata come start-up presso il KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, dopo quattro anni di lavoro l’azienda ha sviluppato una piattaforma robotica in grado di simulare, «una mimica e delle emozioni di tipo umano». Lo scopo, asserisce Gabriel Skantze, Chief scientist dell’azienda, è quello di rendere l’automa «molto meno inquietante o strano rispetto ad un robot più tradizionale».

Il suo nome è Tengai ed è un piccolo robot di appena 41 cm per 3,5 kg di peso. Ad uno sguardo distratto potrebbe apparire non troppo diverso da altri social robot umanoidi, ad esempio quelli ampiamente diffusi della linea Pepper (un social robot prodotto in origine da Aldebaran Robotics, poi divenuta Softbank Robotics).

Tengai in realtà ha poco altro oltre ad un volto dalle fattezze umane, poiché è progettato per essere posizionato direttamente sulla scrivania e guardare dritto negli occhi il proprio interlocutore. Si, avete capito bene, un interlocutore, perché il compito di Tengai è quello di dialogare con la persona che si trova di fronte. Il robot pertanto inclina leggermente la testa, annuisce, il suo viso si illumina, in più sorride e sbatte le palpebre. Cerca di evocare empatia nelle persone con cui interagisce, ad es. con dei “mhm”. Punta a rendere l’interazione con gli androidi quanto più naturale possibile ed in ultimo coinvolgente. «Alla Furhat, riteniamo che i social robot siano l’interfaccia utente più naturale, accessibile e coinvolgente per gli esseri umani», sottolinea Samer Al Moubayed, CEO di Furhat Robotics.

La “femminilità” di Tengai

A tale scopo il robot è dotato altresì di un pizzico di femminilità. Come altri suoi illustri “colleghi” anche Tengai possiede una voce femminile. Il timbro muliebre, infatti, è di gran lunga quello più utilizzato nei vari dispositivi elettronici con cui interagiamo ogni giorno. E non è un caso.

La voce di una donna viene avvertita in genere come più accogliente, cordiale e rassicurante. Risulta maggiormente attraente persino per il gentil sesso. «È molto più facile trovare una voce femminile che piaccia a tutti, rispetto ad una voce maschile che metta tutti d’accordo — È un fenomeno ben conosciuto che il cervello dell’essere umano sia strutturato per apprezzare le voci femminili», affermava Clifford Nass.

Che sia la biologia, un richiamo al senso materno che evoca cura ed affetto, oppure il persistere di uno stereotipo che associa la donna ad un lavoro di assistenza e supporto (dalle centraliniste a Bitching Betty, dalle segretarie alle infermiere)? In ogni caso la voce femminile comunica in genere maggior calore, affidabilità e competenza. Un timbro maschile viene invero percepito come aggressivo, autoritario, minaccioso. Perlomeno da Hollywood e l’industria dei media in genere, basti pensare ad Hal9000 o il computer impazzito di WarGames. Per contro, quando la si vuole più compiacente o accondiscendente, in particolare quando diviene incorporea ed eterea, la voce diviene quasi sempre femminile: su tutti la Samantha di Lei. E così i nostri dispositivi digitali parlano perlopiù al femminile, dai più svariati sistemi GPS a Siri, da Cortana ad Alexa, e così via. Tornando a Tengai, non lesinando enfasi, Furhat Robotics propone molteplici impieghi per la propria creatura, ognuno dei quali corredato da relativo filmato: si va dalla formazione dei

dipendenti, all’arricchimento della Customer experience, al colloquio di lavoro. Proprio in relazione a quest’ultimo utilizzo, la selezione del personale, Furhat ha avviato un rapporto con una grande azienda del settore del reclutamento: TNG.

Del ruolo di Tengai nel THG ci occuperemo nel prossimo articolo.

————————————————

L’autore

Giuseppe di Pirro è l’autore di questo intervento: vive a Gaeta, studia e si laurea in storia medievale presso l’università di Firenze. Si divide tra varie passioni: la storia, l’economia e la sociologia. Attualmente collabora con il blog “ebookextra”, dove copre le tendenze dei media e del giornalismo ai tempi dell’andata verso l’intelligenza artificiale. Ha contribuito al volume di Fabio Menghini, Le FANGs: Facebook, Amazon, Netflix, Google. I grandi gruppi della new economy nell’epoca della stagnazione economica, goWare 2018.

Commenta