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Dimezzare la quota nazionale dei fondi europei? Reazioni contrastate

Esperti e studiosi critici nei confronti del proposito del governo di ridurre la quota di cofinanziamento nazionale (8-10 miliardi in 7 anni) per Sicilia, Campania e Calabria. Parlano l’ex-ministro per la Coesione Trigilia, Giannola (Svimez), Viesti (Università di Bari) e Panaro (Srm).

Dimezzare la quota nazionale dei fondi europei? Reazioni contrastate

“Ridurre la quota di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali europei 2014-2020 per la Sicilia, la Campania e la Calabria penalizzerebbe proprio le tre Regioni del Mezzogiorno oggi economicamente più deboli”, afferma Carlo Trigilia, ordinario di Sociologia economica alla “Cesare Alfieri” di Firenze e fino a sei mesi fa ministro per la Coesione territoriale nel governo Letta.

“Nulla di nuovo sotto il sole”, commenta amaro Adriano Giannola, presidente della Svimez, docente di Economia bancaria all’Università Federico II di Napoli. “Un’idea bizzarra, sono completamente contrario”, dice Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all’Università Aldo Moro di Bari, fra il 2009 e il 2010 assessore per il Mezzogiorno della Regione Puglia. “Dimezzare il cofinanziamento nazionale si potrebbe anche accettare, ma a patto che le risorse disponibili siano impiegate presto e bene”, è l’opiniome di Alessandro Panaro, responsabile Infrastrutture e Finanza pubblica di Srm, Studi e ricerche per il Mezzogiorno.

Non suscita enstusiasmi fra gli studiosi e gli esperti in tema di divario economico fra le due Italie il proposito del governo, non ancora formalizzato in una proposta legislativa, di ridurre a metà la quota del cofinanziamento nazionale per i fondi europei  2014-2020 destinati alla Sicilia, alla Campania e alla Calabria, In soldoni, un taglio secco di 8-10 miliardi. “Così piove sul bagnato”, è il primo commento di chi è contrario. “Ma se queste Regioni non riescono neppure a spendere le risorse Ue relative al settennio 2007-2013…”, ribattono i sostenitori di questa idea lasciata filtrare da Palazzo Chigi.  I quali aggiungono che la proposta, quando sarà concretata, potrà offrire un contributo, pur se limitato, al bilancio dello Stato per l’anno in corso e per il prossimo.

“Premesso che l’eventualità della riduzione della quota di cofinanziamento è prevista dalle norme europee”, sostiene Carlo Trigilia, “bisognerà verificare le reali intenzioni del governo in termini di tempi e modalità di applicazione della nuova norma” (che potrebbe essere inserita nel decreto “sblocca-Italia”, la cui approvazione è prevista per il 29 agosto – n.d.r.).

“Certo, è singolare”, aggiunge l’ex-ministro, “l’ipotesi di una riduzione del cofinanziamento nazionale di fondi europei destinati a investimenti produttivi per far ripartire uno sviluppo bloccato nelle regioni economicamente più deboli, e quindi più bisognose di risorse finanziarie. Ci troveremmo di fronte a una vera e propria resa dello Stato rispetto all’obiettivo di far ripartire la crescita non solo nel Sud ma nell’Italia intera; dato che, per cento euro investiti nel Mezzogiorno, quaranta finiscono alle imprese centro-settentrionali destinatarie di fondi europei per la realizzazione di progetti nel Mezzogiorno”.

Secondo Trigilia, se l’idea del governo va in porto, si possono immaginare due varianti. “La prima”, dice, “dimezzamento secco della quota nazionale, sarebbe una chiara sconfitta politica per il governo. La seconda potrebbe essere la costituzione, con le risorse (in tutto o in parte) sottratte al cofinanziamento nazionale, di un fondo parallelo vincolato alla realizzazione di progetti nel Mezzogiorno più avanti nel tempo e pertanto non soggetti a regole e tempi europei. Una soluzione di compromesso che, considerate anche le lentezze croniche delle Regioni del Sud, potrebbe anche essere accettabile. Ma che purtroppo si presterebbe agli inevitabili ‘assalti alla diligenza’ sulla falsariga di quel che è avvenuto con le risorse del Fas, il Fondo aree sottoutilizzate istituito dalla finanziaria 2003, diventato una sorta di bancomat pubblico al quale si è attinto per emergenze e imprevisti di ogni genere”.

“Ma la vera sfida, in tema di fondi europei, è quella di utilizzarli bene. Rinunciando”, aggiungr Trigilia, “alla tradizionale pratica della frammentazione in migliaia e migliaia di piccoli interventi mirati troppo spesso alle ambizioni elettoralistiche di amministratori locali dalla vista corta. Per imboccare invece finalmente la strada che era stata tracciata dal governo Letta: pochi interventi, di grosse dimensioni, nel quadro di una strategia nazionale ben definita. Una strategia impostata, per il Centro-Nord, su modernizzazione del made in Italy con robuste iniezioni di innovazione, su internazionalizzazione e digitalizzazione. E, per il Sud, su estensione dell’economia di mercato, agricoltura e agro-industria, beni cuulturali e ambientali. Mentre, per l’intero Paese, è cruciale investire per migliorare il capitale umano, e dunque nell’istruzione e nella formazione”.

Neppure Adriano Giannola nasconde le sue perplessità sul proposito che il governo potrebbe concretare prima della fine di agosto. “Mi sembra di capire che, a parità di fondi europei, la riduzione del cofinanziamento potrà produrre di fatto un taglio delle risorse destinate al Sud. Proposito”, commenta il presidente della Svimez, “che mi sembra in linea con una tradizione che – prendendo a pretesto l’ inefficienza delle regioni del Sud – invece di sostituirsi ad esse, riduce la spesa con ‘benefici’ per il bilancio statale. E magari destinando l’ avanzo di risorse a interventi ‘urgenti’, tipo cassa integrazione ecc., in altre aree del Paese”.

“Se dovesse essere confermata dai fatti”, osserva Gianfranco Viesti, “l’indiscrezione secondo la quale una quota di investimenti pubblici destinati al Mezzogiorno dovesse essere dirottata verso la scuola e la ricerca nel resto del Paese, considererei questa scelta profondamente sbagliata”.

Quanto poi all’ipotesi, circolata anche questa, di capitalizzare il “risparmio” così ottenuto in un fondo a destinazione vincolata da sbloccare più avanti nel tempo ma sempre a beneficio delle tre Regioni “espropriate” , Viesti dice: “Sconsiglio vivamente questa soluzione gia praticata con il Fas, il Fondo aree sottoutilzzate, al quale il governo attingeva per interventi di vario genere. Penso a Tremonti quando indirizzò verso altre destinazioni le risorse del Fas che erano vincolate per le aree più deboli”.

“Va riconosciuto che le accuse di lentezza e di inefficienza rivolte alle Regioni meridionali per quanto concerne l’impiego dell’aiuto finanziario europeo almeno in parte sono fondate”, afferma Alessandro Panaro. “Ma restano comprensibili le perplessità che suscita la prospettiva di una riduzione del cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali europei. Attenzione, però: non si può ignorare che la qualità delle scelte e dei risultati è cruciale almeno quanto la quantità delle risorse finanziarie. E allora non serve scontrarsi su dimezzamento sì – dimezzamento no, ma è necessario puntare su pochi progetti e pochi settori strategici”.

“In tema di ritardi nell’impiego di fondi Ue, poi, la responsabilità non è soltanto delle Regioni meridionali; anzi in buona parte è da attribuire ai ministeri”, aggiunge Panaro. “Poiché, riguardo a trasporti, ricerca, scuola, sicurezza e altri settori, i programmi operativi sono nazionali. E anche a livello di amministrazioni statali la percentuale di spesa dei fondi europei è molto simile a quella delle Regioni. Quindi sembrerebbe che l’idea di accentrare a Roma la gestione della spesa regionale non risolverebbe il problema dei ritardi”.

“Il problema principale dello sviluppo del Mezzogiorno resta comunque quello della scelta”, conclude Panaro. “Bisognerebbe puntare su tre, quattro, al massimo cinque obiettivi strategici che rispettino le vocazioni territoriali. Quali? Da tempo SRM propone una short list che comprende porti, turismo, agro-alimentare, aerospazio, automotive, green economy. Ma sinora si è assistito alla moltiplicazione degli obiettivi: una condizione che non produce vera crescita né crea occupazione”.

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