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Di Maio, l’Europa e l’insostenibile baratto grillino

Le capriole del vicepremier grillino non finiscono mai: prima minaccia di non versare i contributi all’Unione europea e poi promette di ripensarci se Bruxelles ci aiutasse di più sui migranti e sul reddito di cittadinanza – Ma l’obiettivo è fin troppo scoperto: cercare pretesti per dimostrare che l’Europa è matrigna

Di Maio, l’Europa e l’insostenibile baratto grillino

‘’Se l’Unione europea ci desse dei segnali di aiuto” non solo sui migranti ma “anche sulla lotta alla povertà e alla disoccupazione, con il reddito di cittadinanza, con la possibilità di eliminare la legge Fornero, noi potremmo ravvederci”. Così Luigi Di Maio in una recente intervista.

Ci siamo accorti che il ministro-ragazzino non ha molto confidenza con l’uso appropriato dei verbi, non solo per quanto riguarda i tempi e le coniugazioni, ma anche il loro significato. Stavolta però ha azzeccato la parola giusta, forse a causa di una cattiva coscienza emersa all’improvviso e a sua insaputa. Non a caso Di Maio annuncia una disponibilità di ravvedimento del governo giallo-verde, nei confronti dell’Unione europea a fronte di ‘’segnali d’aiuto’’ non solo sui migranti ma pure sugli altri obiettivi strampalati del contratto.

Se consultiamo un vocabolario troviamo questa definizione del concetto di ravvedimento: ‘’rendersi conto di avere sbagliato e correggersi’’. Addirittura nel diritto tributario il ravvedimento operoso consente al contribuente di rimediare ad un errore nella denuncia dei redditi prima che venga rilevato dal fisco. In ogni caso, tuttavia, chi si ravvede è consapevole di aver sbagliato e si attiva per correggere l’errore compiuto. Può essere che tale ammissione del ministro sia frutto di una scarsa confidenza con la lingua italiana, ma questa volta Di Maio ha ragione: la polemica della maggioranza giallo-verde nei confronti dell’Unione europea è tanto stucchevole, disonesta e strumentale che, per ravvedersi, il trio Capinera che ha occupato Palazzo Chigi dovrebbe cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa.

Dopo la bravata di Matteo Salvini con il blocco della nave militare italiana (a cui è stato proibito dapprima di approdare in uno dei nostri porti, poi sequestrata per giorni, con l’equipaggio e il suo carico di ‘’anime morte’’ a Catania) Luigi Di Maio si è messo ad accusare l’Unione europea di ogni responsabilità nel ‘’lasciare sola l’Italia’’ a fronteggiare l’invasione dei negher (dimenticando che sono proprio i due capibanda a vantare di aver ulteriormente ridotto il numero degli sbarchi, dopo gli effetti della drastica terapia del ministro Minniti).

Di Maio – spalleggiato dopo giorni di silenzio da quel damerino di Giuseppe Conte – ha minacciato Bruxelles di non versare i contributi dovuti dall’Italia al bilancio comunitario. Il trucco è palese: sta tutto nel denunciare l’Europa di non fare la sua parte e di ribadire che le regole di Dublino non garantiscono a sufficienza l’Italia; ma, contemporaneamente, nell’agire in ogni modo possibile (in combutta con i Paesi di Visegrad) per far fallire i vertici che dovrebbero impostare una riforma di quel trattato.

E’ del resto molto facile dimenticare che dei 29,7 miliardi di flessibilità (rispetto alle regole di bilancio della Ue) riconosciuti al nostro Paese, dal 2015 al 2018, una parte consistente è stata attribuita all’emergenza immigrazione.

Quando si opera in una comunità sarebbe buona norma mettersi nei panni dei nostri partner, cercare di considerare le cose anche dal loro punto di vista. Il governo – che un destino cinico e baro ha voluto assegnare agli italiani – minaccia in continuazione dei fregarsene delle regole che la comunità si è data liberamente; tratta le istituzioni europee e i governi degli altri Paesi alla stregua di spietati avversari; aizza e sobilla l’opinione pubblica contro un progetto di Unione che non ha alternative nel ritorno alla sovranità delle piccole patrie; viene meno agli impegni assunti nei confronti di grandi opere di rilievo ed interesse continentale; (stra)parla di nazionalizzazioni; invoca misure protezionistiche in un contesto creato apposta per garantire la libera circolazione delle merci, delle persone, delle aziende e dei capitali.

Perché mai le istituzioni europee dovrebbero fidarsi di ciarlatani e di saltimbanchi che sanno soltanto proferire accuse, insulti e minacce? Ma se anche a livello dei rapporti istituzionali venisse deciso, pro bono pacis, di venire di nuovo incontro alle richieste dell’Italia, chi riuscirebbe a convincere i risparmiatori a fare lo stesso? Ecco perché sarebbe urgente che il governo si ravvedesse, senza porre condizioni. Perché non è l’Europa dalla parte del torto, ma l’esecutivo giallo-verde.

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