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Delega fiscale, il Governo lascia indietro le parti più qualificanti

Il sottosegretario Luigi Casero è tornato in Parlamento per dissimulare i ritardi che stanno emergendo nell’attuazione della legge delega fiscale. E’ stato riproposto un calendario di presentazione dei decreti legislativi, che lascia indietro i provvedimenti più attesi per cambiare le condizioni di operatività fiscale delle imprese che agiscono in Italia.

Delega fiscale, il Governo lascia indietro le parti più qualificanti

Di là dalle dichiarazioni programmatiche del capo del Governo in occasioni varie, del ministro dell’Economia in qualche circostanza pubblica e del sottosegretario Luigi Casero in Parlamento, che sono finora i soli frutti del riordino del sistema fiscale previsto dalla legge 23/14, l’attuazione della tanto attesa delega fiscale appare ancora in alto mare. Non che siano scaduti i termini per la presentazione degli schemi dei decreti legislativi, il primo dei quali è fissato appena dopo la metà di luglio; tuttavia l’impressione è che al Dipartimento delle Finanze, cui dovrebbe competere il coordinamento della redazione dei testi, non si riesca a procedere come sarebbe necessario, per dare attuazione alla messe di principi direttivi voluti dal Parlamento con la legge 23.

Il premier Matteo Renzi, molto attento alla politica degli annunci, si è reso conto che le cose non stanno andando come sperato: si era fatto dire al sottosegretario Casero che già a maggio il Governo avrebbe presentato il primo provvedimento di semplificazioni fiscali. La “forzatura” discendeva, evidentemente, da esigenze elettorali. Ma si è arrivati al 25 maggio senza che nessun testo in materia giungesse dal Ministero dell’Economia a Palazzo Chigi, per l’inserimento nell’ordine del giorno di una riunione del Consiglio dei ministri.

Per dissimulare i ritardi delle strutture dell’Economia, Renzi si è addossato la responsabilità del rinvio: per consentire una migliore meditazione sulle cose da fare – ha detto – e definire meglio le priorità nell’attuazione della delega fiscale (peraltro, già comunicate da Casero in Parlamento a metà marzo).

Così Casero è tornato di fronte alle commissioni Finanze di Camera e Senato riunite, ma ha solo reimpastato le cose già dette in precedenza, tentando di dare loro un aspetto nuovo. La sostanza non è cambiata, le priorità sono rimaste le stesse e, conseguentemente, sono rimasti ancora delusi coloro che avevano creduto alle parole dette in Parlamento da Renzi e dal ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, al momento dell’insediamento del nuovo Governo. 

Al suo esordio da ministro nell’aula di Montecitorio, Padoan aveva dichiarato che “il primo obiettivo della legge delega è di conferire stabilità e certezza al sistema fiscale. Eliminare l’incertezza è un elemento fondamentale perché, a parità di altre condizioni, favorisce l’adozione di un orizzonte temporale di più lungo periodo. Quindi, migliora l’attitudine a investire”. E aveva proseguito segnalando i punti più qualificanti delle deleghe conferite al Governo: “la ridefinizione dell’abuso del diritto unificata a quella dell’elusione, la revisione delle sanzioni penali e amministrative, il migliore funzionamento del contenzioso, il miglioramento dei rapporti con i contribuenti secondo le linee della cooperative compliance, proposte dell’Ocse”.

“Il Fisco deve smettere di mostrarsi come nemico e ostile verso i contribuenti, di incutere solo timore – aveva affermato il giorno prima Renzi al Senato -; deve porsi, piuttosto, al loro fianco per agevolarli nel corretto adempimento degli obblighi tributari. Durissimo – ha concluso – il Fisco dev’essere solo verso chi davvero commette reati”.
Al centro di entrambi gli interventi in Parlamento c’era il tema del rilancio dell’economia, delle riforme da realizzare subito per fare ripartire la crescita economica.

Ma ecco che, dopo il primo calendario per l’attuazione delle deleghe e il secondo, riformulato con l’approfondimento per il quale Renzi ha bloccato – a suo dire – i lavori di attuazione, le priorità enunciate appaiono tutt’altre che quelle necessarie per accelerare la ripresa economica. Si dovrà attendere ancora per le nuove regole sull’accertamento, per la revisione delle sanzioni, anche penali, e per la disciplina dell’abuso di diritto, nonostante siano proprio queste le misure cardine per dare attuazione ai principi enunciati al loro esordio in Parlamento da Renzi e Padoan. Quelle più importanti per dare al nostro sistema tributario un nuovo appeal, che lo renda in grado di non spaventare troppo, come adesso, le imprese internazionali che vogliano venire a investire nel nostro Paese e di non invogliare le nostre imprese a emigrare all’estero.

Invece, le priorità enunciate sono rivolte ad aspetti minori del sistema fiscale, scarsamente rilevanti per l’economia italiana, anche se di maggiore impatto mediatico verso la pluralità dei piccoli contribuenti: la predisposizione del 730 precompilato, la riorganizzazione delle scadenze per gli adempimenti, la riforma del catasto (peraltro, il ministero dell’Economia non è riuscito a presentare neppure questo schema di decreto legislativo, che dovrebbe essere pronto da anni), la fatturazione elettronica; nonché il riordino delle accise e la riorganizzazione dei giochi pubblici.

La priorità assegnata a questi provvedimenti deriva, forse, dalle solite attenzioni mediatiche e un po’ populistiche comprensibili in campagna elettorale, ma che dovrebbero essere ricondotte nel loro alveo allorché si deve passare all’adozione delle iniziative di politica economica.

Ma il vero timore è che di là dalle affermazioni di principio, il Fisco italiano non sia in grado, per impostazione politico-culturale dei suoi dirigenti nonché per limiti pratici nella capacità di redigere i più complessi e delicati provvedimenti legislativi, quelli squisitamente giuridici, di percorrere con convinzione e decisione la strada di una riforma che non sia solo di facciata e di amenità, ma dei principi più profondi e cruciali del sistema tributario nonché dei comportamenti degli uffici chiamati ad applicarlo.

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