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Decreto Rilancio: per università e ricerca sarà vera svolta?

Il Governo ha promesso fondi pari a 1,4 miliardi per i prossimi due anni, una cifra mai vista prima – Si tratterà di un provvedimento occasionale o di un primo passo per un cambiamento strutturale dell’Istruzione?

Decreto Rilancio: per università e ricerca sarà vera svolta?

Il Premier Giuseppe Conte, nell’annunciare le tante misure contenute nel DL Rilancio durante la conferenza stampa di mercoledì scorso, si è soffermato finalmente anche sui provvedimenti relativi al mondo dell’università e della ricerca. I fondi promessi a questo settore cruciale per il futuro dell’Italia ammontano a 1,4 miliardi per i prossimi due anni, una cifra mai vista prima purchè alle promesse seguano realmente i fatti. Quest’aiuto per il rafforzamento del sistema universitario, indubbiamente sostanzioso, costituirà il primo passo per l’avvio di un progetto d’investimento pluriennale nel sistema educativo del nostro Paese (ultimo in Europa per spesa pubblica totale all’Istruzione) o rimarrà solamente un sostegno occasionale legato al periodo emergenziale? 

Finalmente nel dibattito pubblico non si parla più solamente delle misure volte a salvare le (sacrosante) vacanze estive, uno dei temi più in voga in questi giorni sui principali mezzi d’informazione nazionali, ma anche di politiche giovanili e in particolare di come puntellare il sistema educativo e della ricerca.  

“Investiamo sul futuro”. Con queste parole incoraggianti Giuseppe Conte ha aperto il tema degli aiuti ai dottorandi e alle facoltà durante la conferenza stampa di mercoledì scorso, durante la quale è stato presentato il DL Rilancio. I provvedimenti contenuti nel decreto a favore degli atenei e dei ricercatori stanziano 1,4 miliardi, così ripartiti: 300 milioni per il diritto allo studio, 600 per la ricerca e 500 per le università. Un aiuto significativo per un mondo che rischiava il collasso. Inoltre, il Primo Ministro ha annunciato l’assunzione di 4.000 nuovi ricercatori, augurandosi che queste misure favoriscano il ritorno in patria di tanti brillanti giovani che sono andati all’estero.

Nonostante, infatti, il sistema scolastico, universitario italiano sia qualitativamente uno dei migliori al mondo, esso non è mai stato valorizzato a pieno. Un mondo stagnante, caratterizzato da passaggi di cattedra troppo lenti, burocrazia, strutture e supporti digitali spesso inadeguati.

Tutto ciò, ha spinto negli anni molti studenti ad andare a bussare alle porte di atenei stranieri. Come ha scritto il professor Guido Fabiani a riguardo su FIRSTonline: “Si tratta di un mondo da tempo trascurato, se non dimenticato, dalle politiche pubbliche. Mentre sono tanti i precari in attesa e, spesso, in condizioni umilianti, i ricercatori, i dottorandi, gli assegnisti sono pochi e non hanno strutture sufficienti e adeguate a esprimere al meglio le loro potenzialità. Scelgono l’estero per farlo e lì sono ben accolti e coccolati, perché sono in genere molto bravi”.

Uno studente, dottorando in matematica a Parigi, intervistato al riguardo, ha posto l’accento su come il primo scarto tra il sistema accademico italiano e francese sia di carattere puramente economico: “Qui in Francia un dottorando in media riceve circa 1400 euro al mese mentre in Italia sono pagati poco più di 1100”. Altri suoi colleghi di fisica, connazionali e anch’essi emigrati oltralpe, spiegano: “L’accesso a macchinari costosi è fondamentale per fare ricerca nel nostro campo. Oltre ai salari più bassi, in Italia mancano le attrezzature più all’avanguardia a causa dei pochi fondi messi a disposizione. Per quanto riguarda i circuiti superconduttori, ad esempio, nel nostro Paese non c’è quasi niente perché mancano i soldi, mentre la Francia ha diversi piani di finanziamenti importanti a riguardo”. L’attenzione della Francia verso gli studentati universitari e PhD si nota anche dalla rete capillare di residenze universitarie messe a disposizione dei ragazzi a prezzi vantaggiosi, un sistema inimmaginabile per le migliaia di studenti fuorisede italiani (solo il 3% dei nostri universitari vive negli studentati pubblici contro il 18% del resto d’Europa).

I sussidi ai dottorandi italiani previsti dal DL Rilancio potrebbero far ben sperare i colleghi rimasti in patria, anche se non mancano le critiche. Una dottoranda intervistata, al primo anno presso un’università di Roma, sfoga tutta la sua la delusione rispetto alle misure contenute nel nuovo decreto: “Sono state ignorate le necessità dei dottorandi del primo e del secondo anno di corso, senza considerare le conseguenze della prolungata chiusura degli archivi, biblioteche e laboratori, fondamentali nei primi due anni in cui si è nel vivo della ricerca. Il lockdown avrà sicuramente gravi ripercussioni sulle scadenze delle consegne. In proposito, non solo non è stata considerata la possibilità di una proroga retribuita delle attività, ma neanche quella di una proroga eventualmente non retribuita”.

Il decreto non poteva affrontare, ovviamente, tutte le carenze del mondo accademico, tuttavia occorrerebbe pensare fin d’adesso alla strategia per i prossimi anni. Sarebbe altrettanto urgente, ad esempio, pensare a un progetto decennale volto a rafforzare il legame tra impresa e ricerca, due settori che in Italia si son guardati troppo spesso con diffidenza reciproca, come se non avessero nulla a che fare l’uno con l’altro. Un primo passo potrebbe consistere nel rafforzare il sistema di tirocini. Non si tratta di sostenere la tesi secondo cui il mondo accademico debba mettersi completamente al servizio dei privati e dell’industria, ma una maggiore interazione e cooperazione gioverebbe a entrambi, con ripercussioni positive sulla società, sulla disoccupazione giovanile e sull’economia dell’intero Paese. 

Inoltre, la strategia di lungo periodo dovrebbe riguardare anche la scuola, preludio di qualsiasi carriera universitaria o lavorativa, nonché importante periodo di formazione interiore di qualunque adolescente. Proprio in questi giorni è uscito, dopo 8 lunghi anni, il bando per gli insegnanti delle scuole. Al grave ritardo, si sommano i pochi posti disponibili: poco più di 60.000 complessivi per insegnare nella scuola dell’infanzia e primaria e nella secondaria di I e II grado. Pochi, se pensiamo che nel Lazio ci sono solamente 30 posti per diventare professore di storia e filosofia al liceo.

Infine, il ruolo dei media. I provvedimenti straordinari appena varati per le università, segneranno un punto di svolta tale da far capire alla politica e all’opinione pubblica l’importanza cruciale di investire nell’istruzione? In gioco non è solo il futuro delle nuove generazioni, ma anche il benessere della società nel suo complesso. Sensibilizzare i cittadini sull’urgenza di investire in un piano di sviluppo e riforma del settore dell’Istruzione potrebbe influenzare direttamente i partiti e le politiche pubbliche. 

MTV Italia ha recentemente condotto uno studio sui giovani, sottolineando proprio quest’aspetto: “Il nostro ruolo come Media è anche quello di essere cassa di risonanza e amplificatori delle loro richieste. I ragazzi chiedono di essere riconosciuti come risorsa su cui investire, nel lungo percorso verso il rilancio della nostra economia, di non essere più considerati come ‘un onere di sistema’”.  

In conclusione, la classe politica al potere e quella che le succederà nei prossimi anni, avrà la grande responsabilità di decidere del futuro di migliaia di giovani, che tra crisi del 2008 e pandemia, fanno fatica a guardare al futuro con fiducia (nel grafico in basso, l’Italia risulta seconda tra i paesi OCSE, dopo la Turchia, per maggior numero di ragazzi che non studiano e non lavorano). Un sondaggio pubblicato da Oxford-Padova evidenzia un dato allarmante: 85% dei giovani italiani sono soggetti ad ansia, noia e depressione. Speriamo quindi che questi nuovi passi avanti a favore della ricerca e dell’università non restino un finanziamento una tantum, ma si trasformino in un progetto pluriennale che vada oltre i colori dei governi che si succederanno nel prossimo decennio. Il gioco è il futuro del Paese.

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