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Dazi, Trump rinvia tutto al primo giugno

Il Presidente Usa ha rinviato di un mese la decisione finale sui dazi sulle importazioni di alluminio e acciaio dalla Unione europea, dal Messico e dal Canada – Accordi di principio con Argentina, Australia e Brasile – Cosa rischia l’Italia in caso di mancato accordo.

Dazi, Trump rinvia tutto al primo giugno

Un mese di tempo in più per cercare un accordo sui dazi. Fortunatamente il presidente americano Donald Trump ha rinviato al primo giugno la decisione finale sui dazi per l’importazione di alluminio e acciaio dall’Unione europea, dal Messico e dal Canada che sarebbero dovuti entrare in vigore oggi, primo maggio. Non è escluso che i recentissimi colloqui di Trump con il presidente francese Emmanuel Macron e con la cancelliera tedesca Angela Merkel l’abbiano indotto a una maggior prudenza. “Ma – ha subito precisato la Ue – non negozieremo sotto minaccia e l’accordo dovrà essere equilibrato e reciprocamente vantaggioso”.

In assenza di accordi l’Italia rischierebbe molto nella guerra dei dazi. L’Italia non produce alluminio (in attesa del rilancio in Sardegna della fabbrica ex Alcoa), mentre per quanto riguarda l’acciaio non figura tra i primissimi esportatori europei verso gli Usa (è solo il quinto): a rischiare più di tutti in questo senso sarà la Germania, che dirotta oltre oceano quasi un milione di tonnellate di prodotti finiti in acciaio, con l’Olanda al secondo posto con 632mila tonnellate. L’Italia esporta comunque di più di un Paese come la Francia, e in ogni caso un altro pericolo sono i rischi indiretti: ovvero che le aziende dei Paesi maggiormente colpiti dai dazi sposteranno l’export verso le destinazioni rimaste accessibili, facendo così in qualche modo concorrenza anche alle aziende italiane.

Altra conseguenza indiretta, non meno preoccupante: le aziende siderurgiche europee, che per forza di cose esporteranno meno negli Usa e quindi forse meno in assoluto, taglieranno i beni intermedi che spesso e volentieri acquistano dai fornitori italiani. E il caso vuole che sia proprio la siderurgia tedesca, la più esposta verso il mercato nordamericano, la prima ad acquistare beni intermedi made in Italy. Da non escludere nemmeno il rischio di ulteriori dazi, in una ipotetica spirale di ritorsioni e contro ritorsioni: il made in Italy esporta in tutto negli States, secondo i dati Unimpresa, beni per 37 miliardi di euro, con in testa i macchinari per l’industria ma anche le auto (forse prossimo bersaglio protezionistico di Trump), il settore navi-treni-aerei e l’agroalimentare. Intanto la Casa Bianca ha già raggiunto accordi di massima con Argentina, Australia e Brasile

 

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