Globalizzazione, banche deboli, rigidita’ del mercato del lavoro, austerity, spread e crisi dell’euro. Sono molti i fattori che hanno concorso agli errori nelle previsioni economiche negli ultimi anni. In un esercizio ‘post mortem’ sui pronostici, l’Ocse constata di avere sovrastimato le attese di crescita del Pil dell’area durante e dopo la crisi finanziaria, commettendo errori non solo sulla valutazione della crisi, ma anche sulla ripresa.
E’ la stessa Organizzazione a sottolinearlo in un rapporto sui dati 2007-2012 che viene discusso a Londra alla London School of Economics dal capo-economista Pier Carlo Padoan.
Gli errori maggiori sono avvenuti nelle economie vulnerabili dell’area euro, precisa lo studio, e il divario rispetto alla crescita che si e’ poi effettivamente materializzata e’ stato in media del -2,6% nel periodo 2007-2009, mentre nel 2010-2012 le proiezioni hanno segnato differenze piu’ contenute (-0,3%).
Come spiegare l’origine degli abbagli statistici? “In generale – indica l’Ocse – sono stati maggiori nei Paesi piu’ aperti agli sviluppi esterni e pertanto piu’ esposti agli shock delle altre economie. Le proiezioni non sono riuscire a riflettere la maggiore globalizzazione dell’attivita’ finanziaria e dell’economia reale. Non solo ha inciso l’apertura al commercio internazionale, ma anche la presenza di banche estere. All’inizio della crisi le banche di proprieta’ estera hanno spesso ridotto i nuovi prestiti e accorciato quelli esistenti nei Paesi-ospiti per centrare gli obiettivi di rischio imposte dalle capogruppo. Errori nelle previsioni sono poi stati piu’ frequenti nei Paesi con normative dei prodotti e del lavoro piu’ rigide, che forse hanno ritardato la necessaria riallocazione tra i settori. Anche la vulnerabilita’ del settore bancario ha avuto il suo peso: la crescita e’ stata piu’ debole del previsto nei Paesi dove gli istituti avevano nel 2007 indici patrimoniali bassi che poi durante la crisi si sono trovati con una maggiore necessita’ di ridurre la leva. Nelle stime è stato probabilmente sottovalutato l’impatto delle sofferenze bancarie e della minore fiducia nel post-crisi. In parte e’stato sottostimato il cosiddetto ‘moltiplicatore fiscale’, ovvero l’impatto delle politiche di austerita’ sull’attivita’ economica, ma in parte gli errori delle stime possono essere legati anche al fatto che i Governi hanno tirato la cinghia piu’ del previsto”.
Il consolidamento fiscale complessivo dei Paesi europei nel 2010-11 e’ stato infatti maggiore di quanto era stato previsto dall’Ocse nel maggio 2010. Le proiezioni dell’Organizzazione di quel periodo si basavano inoltre sull’assunto che la crisi dell’area euro si sarebbe lentamente attenuata e gli spread rispetto ai titoli tedeschi si sarebbero ridotti negli anni coperti dalle stime. E invece gli spread in molti Paesi si sono ampliati. Cosi’ la crescita e’ stata piu’ debole del previsto nei Paesi in cui gli spread sono rimasti alti. L’Ocse non fa esempio, ne’nomina Paesi in particolare nello studio. Ma basta andare a ritroso negli outlook semestrali dell’Organizzazione, per vedere quanto il caso dell’Italia, che condensa su di se’ buona parte dei fattori di errore, sia calzante: nel maggio 2011 l’Ocse prevedeva una crescita dell’1,6% per il Pil della Penisola nel 2012. A novembre 2011 l’attesa era crollata a-0,5%, a maggio 2012 a -1,7%, a novembre a -2,2%. L’anno si e’ poi chiuso a -2,4%.