Condividi

Crif, l’effetto Brexit sulle Pmi italiane

La società che emette rating a imprese nell’ambito della normativa comunitaria ha stimato per il 2016 una riduzione sia dei volumi di debito obbligazionario che il debito bancario.

Crif, l’effetto Brexit sulle Pmi italiane

Crif Ratings ritiene che il debito disponibile per le piccole e medie imprese italiane nel 2016 potrà subire delle contrazioni come effetto delle turbolenze sui mercati finanziari causate dall’inatteso risultato del referendum su Brexit, turbolenze che è molto probabile persistano anche nel medio periodo.

Nel 2016 la società che emette rating a imprese nell’ambito della normativa comunitaria ha pronosticato una riduzione sia dei volumi di debito obbligazionario che il debito bancario. E’ molto probabile che gli investitori si focalizzeranno sui settori con una stabile generazione di ricavi e con esposizione geografica regionale come le utility e le infrastrutture in generale, mentre i settori più esposti ai rischi di volatilità dei prezzi delle commodity e alle fluttuazioni dei cambi avranno minore ‘appeal’.

Nel primo semestre del 2016 i volumi delle obbligazioni emesse dalle imprese italiane cosidette ‘large corporates’ hanno raggiunto 7.3 miliardi, segnando una riduzione del 23% rispetto ai volumi dello stesso periodo nel 2015; analogamente, i volumi emessi dalle piccole e medie imprese sul mercato domestico si sono ridotte del 21% nella prima metà del 2016 rispetto ai volumi emessi nella prima metà del 2015. Il rallentamento delle emissioni è stata più severa nel secondo trimestre facendosi sempre più incerto l’esito della consultazione pubblica nel Regno Unito.

L’annuncio del Corporate Bond Purchase Programme (CSPP) da parte della Banca Centrale Europea (‘BCE’), quale misura non convenzionale per rafforzare il trasferimento di più favorevoli condizioni finanziarie all’economia reale tramite l’acquisto diretto di debito delle imprese, non ha ancora sortito gli effetti attesi sui volumi di debito emessi. Va sottolineato tuttavia che a causa dei criteri di eleggibilità del programma, che richiede un livello di rating minimo investment grade, il numero delle imprese italiane non finanziarie che ragionevolmente beneficeranno di questa misura sarà probabilmente molto limitato e confinato, di nuovo, al settore di settori più stabili come ad esempio le utilities.      

La massa delle piccole e medie imprese italiane, ed in particolare quelle esposte al rischio di cambio e prezzo delle commodity avranno minori opportunità sul mercato obbligazionario nel breve periodo e almeno fino a quando le condizioni dei mercati finanziari recupereranno stabilità rispetto alla volatilità registrata nei giorni scorsi.

I volumi emessi dalle piccole e medie imprese italiane nella prima metà del 2016 sono calate a 160 milioni rispetto ai 630 milioni di tutto il 2015. A loro volta i volumi del 2015 sono calati di circa il 60% rispetto a quelli del 2014, che ha raggiunto il livello record di 1.5 miliardi, il livello più alto dall’apertura del mercato obbligazionario domestico alle imprese non quotate, cosi come previsto dal decreto legge n.83/2012 ‘Decreto Sviluppo’.  

Quanto al settore bancario, l’appetito per il rischio di credito alle imprese potrebbe scemare. Le preoccupazioni per la profittabilità degli istituti bancari saranno un forte deterrente a continuare nell’aggressiva competizione con i mercati obbligazionari per il credito alle imprese innescata dal 2015 grazie all’accesso alle convenienti condizioni di finanziamento per le banche introdotte dalla BCE con il programma di TLTRO.

In definitiva quella che va delineandosi non è una situazione ottimale per l’accesso al credito delle imprese italiane, che probabilmente si rifletterà nella revisione dei piani di investimento e determinerà un ripensamento delle strategie di crescita di lungo termine.

Commenta