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Covid, Procura di Bergamo: “Con la Zona Rossa ci sarebbero stati 4 mila morti in meno”. Conte, Speranza e Fontana indagati

Governo Conte e sanitari indagati dalla Procura di Bergamo per la mancata istituzione della Zona Rossa nel focolaio del Covid di Alzano e Nembro

Covid, Procura di Bergamo: “Con la Zona Rossa ci sarebbero stati 4 mila morti in meno”. Conte, Speranza e Fontana indagati

La Procura di Bergamo ha chiuso l’indagine sulla gestione della pandemia di Covid e sulla diffusione “incontrollata” dei contagi nella Bergamasca. Sono 19 gli indagati, tra cui l’allora premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza – per loro due è competente il Tribunale dei Ministri con sede a Brescia – il governatore lombardo Attilio Fontana e l’ex assessore al Welfare, Giulio Gallera. Ma anche alcuni vari esponenti di rilievo del mondo della sanità italiana, il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo e allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli. Dopo tre anni e una pandemia che ha riempito oltre di 4mila bare in provincia di Bergamo, la zona più colpita d’Italia, come testimoniano i dati e le immagini delle bare trasportate dai camion dell’Esercito e che, secondo gli inquirenti, avrebbe potuto essere meno pesante. A tirare le fila dell’inchiesta la procura guidata da Antonio Chiappani.

“A noi interessa ricostruire cosa è successo perché dobbiamo dare delle risposte ai familiari dei morti e alla città di Bergamo”. Ha detto il Procuratore Chiappani aggiungendo che sarà poi importante per “capire cosa in futuro si può evitare”.

Le accuse, contestate a vario titolo, sono epidemia colposa aggravata, omicidio colposo, rifiuto d’atti d’ufficio e falsi. C’è stata “un’insufficiente valutazione di rischio”, ha proseguito Chiappani, aggiungendo che “di fronte a migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione”.

I capi di imputazione

Sono tre i capi di imputazione messi nero su bianco dalla Procura di Bergamo: il piano pandemico, la mancata zona rossa e l’ospedale di Alzano Lombardo.

La mancata attuazione del piano pandemico (risalente al 2006) alle tardive richieste di mascherine e guanti

Nel primo capo di imputazione vengono contestati la cooperazione colposa nell’epidemia in quando avrebbero omesso il piano pandemico nonostante le raccomandazioni dell’Oms e del Pan American Health Organization (comunicazione del 31 gennaio 2020 con la quale il direttore generale dell’Oms dichiarava che il coronavirus rappresentava un’emergenza internazionale di sanità pubblica). Il punto controverso è a chi spettasse riscriverlo, e in che modalità. Il direttore vicario dell’Oms in Italia Ranieri Guerra non aveva aggiornato il piano, ritenendo che non avesse bisogno di modifiche in quanto negli ultimi anni non si erano registrati gravi episodi epidemiologici (nonostante le richieste dell’Oms). Una mancanza che ha comportato una catena di ritardi e omissioni che avrebbero poi determinato la “diffusione incontrollata” del virus.

Per quanto riguarda il kit sanitario per il personale (guanti, mascherine e tute) la richiesta sarebbe stata inoltrata “solo” il 4 febbraio, non provvedendo al “conseguente tempestivo approvvigionamento alla luce dell’insufficienza delle scorte”, e di aver provveduto “solo” il 6 marzo 2020 a una procedura negoziata per l’acquisto di dispositivi medici per terapia intensiva e sub intensiva.

La mancata zona rossa

Nonostante l’impennata dei contagi tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo e lo scenario “catastrofico” acclarato, non fu istituita alcuna zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, per altro già pronti a “isolarsi”. Secondo i pm già il 4 marzo si registrava il seguente bollettino: 423 contagiati (il doppio rispetto al giorno precedente) su 1.820 in tutta la Lombardia, con 73 morti. Il 6 marzo, intanto, si registrano 135 decessi, su 309, totali in Italia. E come sappiamo “solo” l’11 marzo tutta Italia diventa zona rossa, per evitare le fughe di persone, già visibili da quasi una settimana. Quell’anno nella bergamasca la mortalità è salita del 600% rispetto agli anni precedenti.

L’ospedale di Alzano

Altro punto controverso è capire perché il 23 febbraio il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo non venne chiuso. O meglio ci fu un balletto di chiusura e riapertura nel giro di poche ore. Secondo le indagini “il primo dg e il secondo ex direttore sanitario dell’Asst Bergamo Est, avrebbero dichiarato il falso in atti pubblici” quando scrissero che erano state adottate “tutte le misure previste”, mentre la sanificazione del pronto soccorso dei reparti del Presidio era “incompleta”. Optando per la riapertura avrebbero contribuito al diffondersi della pandemia, in quanto all’interno della struttura ospedaliera c’erano già un centinaio di infetti quando si scoprì il primo paziente positivo.

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