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Covid-19: se gli economisti vogliono fare gli epidemiologi

Troppi economisti vogliono rubare il mestiere agli epidemiologi improvvisando competenze che non hanno. E infatti è stato coniato un nuovo termine: epinomics. Ma la pretesa non sarebbe piaciuta a Keynes. I fatti dimostrano che senza chiusure i contagi da Covid si diffondono rapidamente.

Covid-19: se gli economisti vogliono fare gli epidemiologi

«Se gli economisti riuscissero a farsi considerare gente umile, di competenza specifica, sul piano dei dentisti, sarebbe meraviglioso!», scriveva il principe degli economisti, John Maynard Keynes nel 1930. All’opposto, un adorabile e intelligentissimo insegnante, titolare del corso di Storia del pensiero economico all’Università Bocconi, ci esortava, tra il serio e il faceto, a darci le arie di economisti…

Invece che dentisti oggi, nell’anno di grazia 2020, alcuni economisti vorrebbero essere utili come gli epidemiologi. Scienziati, questi ultimi, fino a pochi mesi fa ignorati dall’opinione pubblica e adesso assurti a semidei, costantemente alla luce della ribalta. Viene il sospetto che tali esponenti della scienza economica soffrano di una sorta di complesso di inferiorità, o forse è una semplice frustrazione.

Resta il fatto che i nostri eroi, su un sito un tempo ricco di interventi ben più interessanti, prima scrivono come bisognerebbe affrontare la pandemia. Per esempio, mettendo i giovani in alberghi. Poi, in un articolo successivo, affermano che solo gli economisti, grazie alla loro dimestichezza con i modelli, sono in grado di capire come tener conto dei cambiamenti nei comportamenti delle persone quando si decidono misure di restrizione delle attività sociali. Insomma, rivendicano una sorta di primato sugli epidemiologi, invitandoli a cooperare. Qualcuno di loro ha anche coniato un nuovo termine, ovviamente inglese, agognando la fusione di economia ed epidemiologia: epinomics.

Keynes, che era ben consapevole della propria superiorità intellettuale, aspirava all’umiltà per la categoria. Umilmente occorre che gli economisti guardino la realtà. E la realtà dice alcune cose molto chiare.

Primo: il trade-off tra salvare vite umane e andamento dell’economia è falso. Se lasci andare il virus e uccidi l’1% (2% se gli ospedali andassero in sovraccarico) della popolazione hai ugualmente una forte contrazione dell’economia. Oltre a lutti inenarrabili. La soluzione, alla neozelandese (politicamente corretta rispetto a quella cinese, ma là ci sono più pecore che umani), è di chiudere subito tutto, al minimo accenno di presenza del virus. Peccato che in questo emisfero molti economisti direbbero che non ne varrebbe la pena per così pochi contagiati. Sbagliando i conti.

Secondo: le persone hanno bisogno di segnali forti per adeguare i comportamenti. È vero che l’analisi economica fondata sui modelli dimostra che la paura di ammalarsi fa 90, ossia equivale a un lockdown totale. Nel senso che là dove non c’è stata chiusura completa le persone si sono comportate come se ci fosse stata. Si veda per tutti uno studio dell’FMI inglobato nell’ultimo scenario economico mondiale. Tuttavia, senza misure di lockdown in zone e paesi(ni) limitrofi, dove la prossimità geografica diventa relazioni di buon vicinato, viene a  mancare la sirena d’allarme che suona il tutti a casa anche se non c’è un legale divieto a girovagare. Con buona pace della behaviuoral economics (magnifica ramificazione della riflessione degli economisti, con radici nel pensiero primigenio di Adam Smith, ma che mal si addice alle vicende epiedemichi).

Terzo: chi ha provato a trovare terze vie (Svezia, in primis e con più costanza, ma anche Regno Unito e Stati Uniti), ha poi riconosciuto di aver pagato un conto molto alto in termini di vite umane, senza un particolare beneficio economico.

È assolutamente legittimo criticare questa o quella misura dei governi. Ma guardiamo ai fatti che indicano chiaramente che senza dure restrizioni dei comportamenti sociali la diffusione del virus non si ferma. I grafici qui sotto lo dimostrano.

Non essere umili, in questi frangenti, rischia di costare molte vite umane.

PS: chi, come i responsabili del governo della Lombardia, pensa sia già giunto il tempo di allentare le restrizioni, gioca pericolosamente con l’esistenza dei cittadini. Si mettano il cuore in pace e migliorino la gestione della sanità.

PPS: chi volesse sapere nomi e cognomi degli economisti di cui qui si parla può trovarli nell’edizione de lavoce.info di martedì 17 novembre 2020.

PPPS: i grafici sono costruiti usando i nuovi tamponi positivi. Tuttavia, questi sottostimano, in modo alle volte clamoroso, il numero effettivo di contagiati. Quale si può desumere dalla dinamica delle morti, considerando che il tasso di mortalità dell’infezione è pari all’1% (ossia a un morto corrispondono cento infettati).

Il caso della Lombardia è, in ciò, esemplare. Specie se paragonata con lo Stato di New York.

Teniamo conto che qui si fa la metà dei test che si effettuano là, al netto della differenza di popolazione. Pur avendo un tasso di positività che è quasi sette volte più elevato (20% contro 3%), il che dovrebbe spingere a fare molti più test. Ecco un bel compito per economisti umili: capire cosa non funziona nell’organizzazione sanitaria lombarda rispetto a quella newyorchese, che certo non può essere considerata universale qual è (o vorrebbe essere) l’italiana.

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