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Clima folle: gelo in Brasile, avocado in Sicilia, caffè alle stelle

Il climate change sta imponendo una nuova geopolitica del cibo. Gli operatori delle soft commodities guardano alle ricadute che stanno portando a trasformazioni epocali: ulivi al Nord, Champagne nel Kent, Egitto al collasso. Ecco cosa sta accadendo mentre a Roma è in corso il pre-summit Onu proprio su questi temi

Clima folle:  gelo in Brasile, avocado in Sicilia, caffè alle stelle

Non prendetevela con il barista se a settembre la tazzina di caffè al bar vi costerà 10 o 20 centesimi in più. Sul banco degli imputati, anche stavolta, è l’emergenza del clima che, per ben tre volte (ma è in arrivo una quarta ondata), ha inflitto al Brasile il supplizio delle temute gelate capaci di distruggere le piantine prima del raccolto. Un disastro del genere non si vedeva dal 1994, quando immense fortune passarono di mano dopo la distruzione dei raccolti. Potrebbe andare così anche stavolta, visto che per ora (ma il bilancio potrebbe crescere) è andato in malora l’11 per cento del raccolto. E l’impatto sui prezzi, già su del 35 per cento a fine giugno per l’Arabica, potrebbe essere davvero robusto: dai 400 reais per un sacco da 60 chilogrammi dello scorso inverno, la metà dei prezzi attuali, ad oltre 1.000 reais.

Ma il condizionale è d’obbligo: a controllare il mercato e quindi a fare il prezzo sono i grandi, Nestlé, Iab e Starbucks, seguiti da Coca Cola (di recente è entrata nel capitale del caffè Vergnano) e pure da alcune multinazionali tascabili di casa nostra, prima fra tutti Lavazza che tanto tascabile con i suoi 2 miliardi di fatturato non è.

Ma il caffè è solo un capitolo, seppur uno dei più seguiti dai grandi operatori delle soft commodities, della grande transizione globale che il climate change sta imponendo all’agricoltura, con ricadute epocali che vanno dal reddito dei lavoratori alle scelte strategiche e militari dei vati Paesi, passando per le trasformazioni epocali che l’ascesa della temperatura sulla terra sta già provocando ad ogni latitudine. Se ne parla in questi giorni a Roma, all’Ifad, nel corso del pre-summit Onu che si occupa delle ricadute e del ruolo dei piccoli agricoltori, prime vittime del grande caldo. Senza dimenticare, però, che come quasi sempre accade, per qualcuno la rivoluzione può essere una manna scesa dal cielo.

Il Financial Times, ad esempio, ha scovato la straordinaria storia del signor Andrea Passanisi, il signore degli avocado che prosperano sui suoi terreni ai piedi dell’Etna. Una ventina d’anni fa il giovane Passanisi, oggi 37 anni, scoprì le virtù del frutto tropicale. Perché non provare a coltivarlo in Sicilia, al posto dei vigneti di papà che, complice il caldo e l’umidità, rendono sempre meno? Una scelta azzeccata perché oggi nella piana di Giarre il clima è ormai tropicale, cosa che consente all’azienda di raccogliere 1.400 tonnellate di avocados all’anno destinati ad arricchire le mense gli italiani (e non solo). Il grande caldo, insomma, crea anche nuove proposte: gli ulivi nelle zone prealpine di Lombardia, ad esempio, ma anche i vigneti sempre più numerosi nel nord Europa, Danimarca inclusa, ma soprattutto nelle verdi colline del Kent, dove Henry Ward, erede di una ditta agricola che vanta 300 anni di storia in grano e frutteti, ha destinato 2.500 acri a sud di Londra alla produzione di Pinot noir, la base per dar vita ad un buon champagne, vinificato sotto i consigli della maison Duval-Leroy. Ma non è lontano il giorno in cui lo champagne arriverà dalla Okanagan Valley, nel cuore  dell’Ontario canadese. L’aumento della temperatura, combinato con il perfezionamento delle tecniche di vinificazione, ha permesso uno “straordinario miglioramento” (parole degli enologi) della produzione, con un’immediata ricaduta sull’economia locale: ormai sono più di 200 le farm che offrono un soggiorno vino più alloggio, come nelle Langhe o nel Chianti. 

Sono solo alcuni esempi di una trasformazione epocale che promette di essere più profonda e duratura di quella che ha interessato l’Europa nel Medio Evo, colpito dalle glaciazioni evocate dai quadri di Brueghel, o dell’Ottocento, quando le eruzioni dei vulcani di Indonesia oscurarono la luce anche sui campi di Provenza. Ci saranno i vincitori, ma anche i vinti. La linea di demarcazione è la medesima tracciata dalla precedente rivoluzione, quella che ha cambiato, a suon di pesticidi e di nuove varianti l’agricoltura dei Paesi avanzati: nei prossimi anni la produttività dei terreni tedeschi salirà del 3 per cento, quella dei campi egiziani, bombardati dal caldo, scenderà del 7%. E si moltiplicheranno i conflitti per l’acqua, sempre più preziosa e richiesta nei nuovi Tropoci.

Si profila una geopolitica di nuovo stampo. Canada e Russia saranno i due forzieri che potranno fornire cibo ad una popolazione in aumento. In entrambi i Paesi il grande Nord è destinato a diventare terreno coltivabile, da amministrare con grande cura per evitare brutte sorprese in materia di CO2. Sarà comunque lì la chiave per il primato nel food dei prossimi anni. Senza dimenticare che anche gli avocados di Giarre chiedono una riforma nella gestione dei flussi idrici.  

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