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Claudio Vicina, la tradizione canavese diventa modernità

Nel suo ristorante “Casa Vicina”, all’interno di Eataly, lo Chef, stella Michelin, propone un suggestivo viaggio nella grande tradizione gastronomica piemontese che però rivisita e rielabora offrendo nuove esperienze sensoriali

Per Borgofranco d’Ivrea, un paese di poche anime in quel tratto di territorio compreso fra Torino e la Val d’Aosta passava anticamente la via delle Gallie, la strada romana fatta costruire da Augusto per collegare la Pianura Padana con la Gallia, poi è stata sosta per il tratto piemontese della Francigena, la via dei pellegrini che dal nord Europa scendevano per la Terra Santa, e fino al secolo scorso era sul percorso dei viaggiatori in carrozza che si recavano al nord.  Qui la famiglia Vicina possedeva a inizio ‘900 una Posta, locanda che si occupava del cambio dei cavalli stremati dal viaggio e offriva un pasto confortevole ai viaggiatori. Anche se i cavalli sono rimasti un ricordo da cartolina, la famiglia Vicina ha continuato a gestire la locanda poi trasformata in una trattoria, offrendo carni di allevamento e di cacciagione arrostite allo spiedo secondo la vecchia tradizione di famiglia.

Claudio Vicina iniziò prestissimo a lavorare nella trattoria di famiglia, lo affascinavano i racconti del nonno e poi del padre Claudio sui viaggiatori che si fermavano per cambiare i cavalli e proseguire il viaggio in carrozza o dei pellegrini che affrontavano fatiche e rischi per recarsi a pregare sulla tomba di Cristo in Terra Santa o quantomeno a Roma per ricevere la benedizione papale.

Quando è toccato a lui, giovanissimo, subentrare come quarta generazione nella conduzione del ristorante di famiglia, Claudio Vicina pensa bene che è giunto il momento di fare un salto di qualità per mantenere viva la memoria di quel giacimento enogastronomico che è il Canavese, la sua terra, che la nonna Amelia e poi la madre Bruna gli avevano fatto conoscere e amare quando lui le aiutava in cucina. Il ricordo di quel mondo antico, fatto di vecchie storie, di leggende, di mondi perduti che lo aveva tanto affascinato in gioventù, andava assolutamente salvaguardato, rinnovato e reinterpretato in maniera moderna per trasferirlo a chi quel mondo non aveva conosciuto.

Forte degli insegnamenti di nonna Amelia che gli aveva dato una sostanziosa infarinata culinaria, Claudio pensa bene di arricchire le sue conoscenze e la sua professionalità. A cominciare dai lieviti e dalla pasticceria che con le sue ferree regole dà un ottimo inquadramento rigoristico a chi voglia avvicinarsi con consapevolezza al mondo della cucina. E per questo dopo aver terminato il biennio di Enologia a Caluso (To), a diciotto anni si trasferisce per qualche anno a Saint Vincent presso il grande Rolando Morandin, un maestro che seleziona di persona le materie prime, appassionato dei metodi antichi di lavorazione, ma con lo sguardo proiettato all’innovazione: proprio quello che ci vuole per lui. Da qui entra poi nel vivo della cucina di qualità con una esperienza di due anni di duro ma proficuo lavoro nello storico ristorante Guido da Costigliole di Guido Alciati un nome che ha segnato la storia della ristorazione piemontese e si lega con forte sodalizio al figlio Andrea. Ma Claudio, persona mite, molto soft, che parla così piano che è difficile intenderlo, ma che ha sviluppato un carattere molto rigoroso e pignolo, non si sente ancora soddisfatto. Vuole imparare il massimo possibile, ed è così che il suo percorso si intreccia con quello del grande Gualtiero Marchesi dove effettua uno stage che segna profondamente il suo stile.

Borgofranco d’Ivrea, al quale resta legatissimo con tutta la sua famiglia, gli sta però un po’ stretta ed è così che nel 2003 il giovane Claudio decide di trasferire Casa Vicina a Torino nel quartiere Crocetta. Si cambia sede ma il nome resta lo stesso (un nome che è già un programma di per sé, con la parola “casa” che vuol far capire che qui si entra in una sana cucina di famiglia, di rispetto e amore per le tradizioni, di eredità di antichi saperi della campagna dove accanto a Claudio lavora la moglie Anna, un tempo in sala ora addetta alla pasticceria ma forte presenza di confronto e di verifica critica in cucina e il fratello Stefano, sommelier; e Vicina, che è sì il suo cognome reale, ma che sposato con Casa diventa un rassicurante invitante claim per l’avventore a non sentirsi estraneo, perché qui tutto parla della più pura identità canavese-piemontese.

E lo chef lo dichiara esplicitamente: “Amo riprodurre i gusti della memoria: la memoria di casa e della tradizione piemontese. I miei piatti si devono “sentire bene”. Gustandoli, i sapori risultano veri e distinti entrando nella memoria e nel cuore sapori unici e autentici che riportano all’infanzia e alle calde atmosfere familiari”.

In questo lavoro di riproposizione della cucina di tradizione in chiave moderna Claudio, con la sua maniacale pignoleria riesce in un vero e proprio miracolo: quello di restituire sensazioni e sapori antichi sottraendo tutto quel carico di oggettiva anche se caratteristica pesantezza della cucina contadina. Lo fa modificando tecniche di cucina, armonizzando il bilanciamento degli ingredienti, adottando tecniche di cottura diverse per ogni piatto e certamente accorciate rispetto a quello delle massaie di un tempo, e studiando, studiando meticolosamente col suo carattere pignolo e maniacale ogni componente e, infine, praticando ovviamente molta ricerca.  Il risultato? Lo stupore incredibile di avvertire sensazioni nuove e antiche al tempo stesso, armonizzate in un concerto equilibrato di sapori.

Nessuna meraviglia dunque se di fronte a tanto rigore e tanta voglia di emozionare il palato nel riproporre una cucina di tradizione atavica i giudici della Michelin abbiano scoperto Casa Vicina assegnandole nel 2002 una stella. E si può capire bene perché alcuni anni dopo che Casa Vicina sia stata chiamata a far parte del progetto Eataly trasferendo il ristorante all’interno della megastruttura di Via Nizza diventando così una sorta di rappresentante permanente dei più alti valori della tradizione gastronomica piemontese.

E così quella che un tempo era una umile posta di cavalli è oggi un raffinato ristorante al piano inferiore del complesso di Eataly, ricavato nel cuore dell’enoteca, con luci soffuse, colori rilassanti nelle tonalità del grigio e del beige, dettagli in legno, arredamento ricercato e di design e un salottino di ingresso che introduce alla Casa che creano un’atmosfera soft e distensiva che ben predispone i sensi per “l’ascolto dei piatti e dei vini”.

Se il contesto è totalmente mutato una cosa resta in linea con la storia di Casa Vicina ed è la sua colonna portante, la famiglia. Perché sotto la guida del meticoloso e scrupoloso Claudio qui si sono tutti cresciuti e si sono formati all’insegna dell’eccellenza in un ambiente di reciproco e rasserenante confronto. A cominciare dalla moglie Anna Mastroianni Vicina, una presenza discreta ma vigile, entrata ancora giovanissima come aiuto di sala nel ristorante di Borgofranco d’Ivrea e che Claudio adocchiò non solo per la sua tenerezza ma anche per la sua competenza. Le nozze vennero di conseguenza. Anna dalla sala passa in cucina e si specializza ben presto nella pasta ripiena, nei lievitati e nei dolci. Nel 2015 ha dato vita a un nuovo progetto: si occupa, infatti, con il prezioso aiuto della figlia Silvia, della pasticceria fresca, secca e pralineria proposta nella pasticceria di Eataly Lingotto dal mercoledì alla domenica.

E Silvia, quinta generazione, si colloca in linea con la tradizione di famiglia. Dopo aver conseguito il diploma al Liceo Scientifico, non poteva che seguire  le orme dei genitori. “ I nostri genitori – dice – ci hanno mostrato l’importanza di guardare al futuro. Così il nostro contributo si concentra nel dare un tocco giovane e frizzante alle proposte di Casa Vicina per mantenere lo stilepersonale e contemporaneo”, stile che, per quanto la riguarda, avendo tra le sue grandi passioni la pittura si manifesta anche nel dare un tocco personale e scenografico a ciascun piatto.

E poi c’è anche la figlia maggiore Laura che si occupa della Sala e il fratello di Claudio, Stefano, sommelier addetto ad una cantina di tutto rispetto che presenta una ampia scelta delle più impostante produzione vinicola nazionale e internazionale e che guida la sala.

Insomma una macchina da guerra familiare (non è raro che qualche volta vi capitino con ritorni di fiamma i nonni Roberto e Bruna, in cui tutti i componenti danno il loro contributo per arrivare a quel risultato che la Guida Michelin sintetizza così: “una cucina di grande qualità. Merita la tappa! Prodotti di prima qualità, finezza nelle preparazioni, sapori distinti, costanza nella realizzazione dei piatti”.

Una cucina che è come un affascinante viaggio a ritroso nel tempo, alla ricerca di stagioni d’epoche perdute e dei tanti valori di gente, umanità, territorio, che Claudio Vicina legge con la lente d’ingrandimento di un collezionista di sensazioni preziose che fanno parte della nostra storia gastronomica e che con il garbo che è proprio del suo carattere e la passione che si porta dentro incastona in moderne soluzioni per il piacere dei suoi avventori che vengono così coinvolti in una avventura emozionale unica.

Ma è ora di sedersi a tavola e vedere come tutto ciò che è stato detto si trasformi in qualcosa di concreto. Bandiera sul vessillo più alto della nave Vicina è sicuramente la Bagna caoda da bere. Un piatto della più pura tradizione piemontese e totalmente rivisto, nato da un progetto legato alle Olimpiadi Invernali di Torino 2006. Claudio Vicina si è ispirato ai 5 cerchi olimpici ricreandoli attraverso i cinque gusti di verdura. La Bagna Caoda in questo caso è proposta sotto forma di ragù grosso, per dare massimo risalto all’acciuga. Ciascun passato di verdura è frullato con la sola aggiunta di un filo d’olio: nessun addensante, quindi, è tutto naturale. Infine il tocco d’artista, la Bagna Caoda viene servita in un bicchiere da Martini come omaggio all’aperitivo, nato proprio a Torino. E viene servito a tutti a inizio pasto, come un biglietto da visita dello Chef e del suo staff.

Altro pezzo forte delle cucine di Casa Vicina è il Tonno di coniglio e giardiniera in agrodolce, creato nel 2003. Rappresenta non solo l’unione di due classici antipasti piemontesi, ma soprattutto lo spirito di famiglia. L’idea di unire le due ricette per creare qualcosa di unico nasce infatti una speciale “tavola rotonda” con Claudio e Stefano Vicina, la nonna Amelia e i genitori Roberto e Bruna. Un piatto che unisce non solo gusto e creatività, ma estetica. Infatti è stato immortalato in un celebre scatto del fotografo Bob Noto ed è tra le opere della mostra fotografica “Regine e re di Cuochi”.

E potremmo proseguire con uno scenografico Millefoglie di lingua al bagnetto verde e gelatina naturale al vino rosso che nasce da uno stimolo ben preciso: l’idea di dare una nota tecnica di cottura e di presentazione ad un piatto storico della tradizione gastronomica piemontese. La lingua al verde, infatti, è un antipasto classico di larghissimo consumo, dalle feste di paese ai pranzi delle nonne della domenica. La gelatina utilizzata in questa preparazione è al 100% naturale, senza aggiunta di addensanti.

O ancora con la Faraona novella composta in salmì e briciole di pane al burro. Un piatto che si tramanda da generazioni nella famiglia Vicina. La nonna dello chef, Amelia, serviva anche il fagiano con la salsa salmì. Lei cuoceva la faraona intera, poi sfilettava il petto e lo appoggiava su un crostone al burro. Sopra, versava il salmì, una salsa che si ottiene dal fondo di cottura con l’aggiunta del fegato. Claudio Vicina l’ha interpretato lavorando le parti della faraona separatamente. Le cosce vengono cotte in pentola, dopodiché disossate e sistemate a comporre una terrina con l’emulsione del petto alternata alla carne della coscia. Il tutto è accompagnato dal salmì e dalle briciole di pane al burro: in questo modo, in un boccone unico, si possono assaggiare tutti gli elementi che rendono grande questo piatto. E una citazione merita anche il Batsuà in pangrattato al timo e insalatina allo zenzero in agrodolce. Un piatto che nel 1902, veniva servito come pietanza direttamente al bancone del bar nella locanda di famiglia. Si presentavano a grossi pezzi (1 piedino diviso in 4 parti), con l’osso, appoggiati alla carta paglia per assorbirne l’unto in eccesso della frittura. Vicina riprende questo piatto cuocendo i piedini di maiale nel brodo, poi li disossa in piccoli pezzi e infine li impana alla milanese. Il pangrattato è aromatizzato al timo, e regala la nota aromatica che mancava in passato. Per alleggerire il palato dal grasso del maiale, i Batsuà sono serviti assieme a una insalata condita con un dressing allo zenzero, limone, senape e sale. Zenzero presente anche sotto forma di canditura leggera in agrodolce, per un risultato finale piacevolmente piccante.

Se non è un concentrato di identità familiare e identità territoriale questo, non se ne possono pensare altri dello stesso significato e valore.

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