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Cinema: “Old Man & the Gun”, l’ultima recita di Redford

Il film è tratto da una storia vera: Robert Redford chiude la sua lunga e onorata carriera vestendo i panni di un rapinatore “gentiluomo”, elegante e raffinato, che ha dedicato la sua vita a depredare banche e, una volta arrestato, ad evadere ben 16 volte – TRAILER.

Cinema: “Old Man & the Gun”, l’ultima recita di Redford

Giudizio dell’autore: Risultati immagini per tre stelle su 5

Il film di questa settimana è un doveroso omaggio ad una icona del cinema internazionale: Robert Redford. Un omaggio perché, nelle sue intenzioni, dovrebbe essere la sua ultima prova di recitazione e, in un certo senso, la sintesi della sua lunga e onoratissima carriera. Old Man & the Gun è tratto da una storia vera, seppure molto romanzata, e riguarda la vita di un rapinatore “gentiluomo”, elegante e raffinato, che ha dedicato la sua vita a depredare banche e, una volta arrestato, ad evadere ben 16 volte. La trama è semplice e ricostruisce la sua carriera criminale fino al suo termine. Il film scorre a volte alquanto lento e monotono, cupo e triste, ma proprio in questi sentimenti, con questo sguardo, si riflette benissimo tutto l’autunno professionale di questa figura leggendaria del grande schermo.

Lui (1936), e il suo quasi coetaneo Harrison Ford (1942), sono state le immagini maschili, molto apprezzate dal pubblico femminile, che meglio hanno rappresentato e sintetizzato filoni del cinema americano di grande successo a partire dagli anni ’70. Forse, non è un caso che proprio per chiudere la sua carriera di attore Redford (ha comunque deciso di proseguire nella regia dove ha realizzato film interessanti come il noto L’uomo che sussurrava ai cavalli) ha scelto un soggetto che inevitabilmente  riporta alla memoria titoli memorabili: da Butch Cassidy e La Stangata di George Roi Hill al Grande Gatsby, come pure Corvo rosso non avrai il mio scalpo o I tre giorni del condor di Sidney Pollack.  Ci sono dentro tutti i suoi personaggi, accumunati dal suo sguardo che pure quando vuole essere duro e cattivo, non riesce a nascondere un forte senso di umanità.  

È un film che apprezziamo e proponiamo proprio come riconoscimento e segno di un mondo cinematografico ormai declinato verso altri modelli, altri soggetti. Non proponiamo paragoni: ogni epoca, ogni periodo storico, trova le immagini che meglio lo rappresentano. Old Man & the Gun ci lascia l’eredità di un volto, di una maschera cinematografica alla quale siamo molto grati. 

In questi giorni è uscito nelle sale anche The Cold War, del quale abbiamo scritto in anteprima su FIRSTonline nel giugno scorso, firmato alla regia da Pawel Pawlikowski, con due superbi attori come Tomasz Kot e Agata Kulesza. È stato scritto, da più parti, che si tratta di un capolavoro, uno dei quei rari casi di racconto cinematografico dove il sentimento puro, assoluto, dell’amore tra un uomo e una donna vengono rappresentati nella sua forma più nitida ed essenziale e, proprio per questo, il film è proposto in bianco e nero. Riproponiamo quanto abbiamo scritto con maggiore convinzione rispetto ad allora:  

Per tornare ai giorni nostri e cercare di capire cosa succede in Europa, quali sono le sensibilità e gli interessi cinematografici prevalenti, vi proponiamo un film anomalo quanto importante, vincitore del premio alla regia di Cannes: Zimna Wojna (Cold War). Una vicenda tragica, grigia e drammatica: è la storia di Viktor e Zula nella Polonia del secondo dopoguerra. Due anime, due corpi che si incontrano sulle note del pianoforte e si cercheranno vagando per l’Europa che cerca di ricostruire una sua identità travolta dalle macerie del grande conflitto, in un clima prima rovente e poi freddo dei confini politici chiusi e impenetrabili. Tutto questo è il film di Pawel Pawlikowsky premio per il miglior regista al recente Festival francese. Tutto meritato, tutto giusto, tutto equilibrato nell’assegnare il riconoscimento a chi sul grande schermo riesce ancora a portare, nell’insolito formato quadrato del 4/3, in bianco e nero, la tragedia umana in tutta la sua semplicità, in tutta la sua naturalezza. I due protagonisti si amano al di sopra di ogni limite, di ogni barriera, di ogni convenienza e sul filo di questo amore, accompagnato da luoghi e musica di forte suggestione, si consumerà la loro storia.

Si tratta di un film che riporta indietro ad un modo di fare cinema desueto, per certi aspetti antico. Non solo e non tanto per l’uso del bianco e nero che potrebbe anche apparire una sofisticata quanto aristocratica maniera di raccontare per immagini, dove le sequenze non hanno nemmeno una dissolvenza, tutto a stacco. Non solo per la totale assenza di fronzoli, di artifici, di effetti più o meno speciali (è curioso osservare che mentre a Cannes questo film vinceva per la regia, come abbiamo scritto prima, ricorrevano i 50 anni del capolavoro di Kubrick che degli effetti speciali è stato l’artefice dell’era contemporanea). È dunque un modo di fare cinema ancora originale, essenziale quanto funzionale (termine improprio ma forse rende bene l’idea) a raccontare per immagini i sentimenti fondamentali, primo fra tutti quello sull’amore.

Infine, vi raccontiamo di un film-documentario che è stato solo per 4 giorni nelle sale e, speriamo, presto possa tornare (è visibile comunque su Netflix). Si tratta di Lo sguardo di Orson Welles, tratto dalle memorie, dagli appunti, dagli schizzi e disegni che Welles ha realizzato nel corso della sua carriera. È stato probabilmente il più grande regista, attore e sceneggiatore del secolo scorso sul quale sono stati scritti fiumi di inchiostro. Ma raramente è avvenuto di poter “leggere” le fonti visivi alle quali si è ispirato e questo film documentario ce lo consente in modo affascinante. Da tenere a mente e non perdere quando dovesse tornare nelle sale.

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