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Cinema: “Io sono Tempesta” racconta l’emarginazione a Roma

Esce nelle sale l’ultimo lavoro di Daniele Luchetti, interpretato dal bravo Marco Giallini – Nella Capitale secondo la Caritas sono oltre 16mila le persone che vivono in condizioni di profondo disagio economico e sociale – Né commedia né dramma, un film tra leggerezza e inquietudine.

Cinema: “Io sono Tempesta” racconta l’emarginazione a Roma

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Lo scorso novembre sono stati presentati i risultati dell’inchiesta fatta dalla Caritas di Roma sulla povertà nella capitale. Sono oltre 16 mila le persone che vivono in condizioni di profondo disagio economico e sociale, la maggior parte dei quali senza fissa dimora. Tra questi, quasi la metà sono italiani di media estrazione sociale e culturale che porta ad evidenziare una definizione di “nuovi poveri”.  

In questo mondo, in questo ambiente, si colloca Io sono Tempesta, ultimo lavoro di Daniele Luchetti appena uscito nelle sale. La storia riguarda le vicende di un imprenditore romano, una specie di Lupo di Wall Strett alla casareccia, che si trova alle prese da un lato ad una operazione finanziaria e immobiliare in  Kazakistan e, dall’altro è costretto a dover scontare dodici mesi di lavoro ai servizi sociali a causa di una precedente condanna per reati fiscali. Viene affidato ad un centro di pronto intervento di assistenza sociale dove trovano ospitalità emarginati, senza tetto, emigrati più o meno clandestini oppure semplicemente poveri.

Tempesta è il sempre bravo Marco Giallini (che forse, in questo periodo, si vede troppo sullo schermo al punto di rischiare l’inflazione) e degne spalle Elio Germano insieme a Eleonora Danco. Nota di merito al giovane Francesco Gheghi, che speriamo possa mantenere la spontaneità e freschezza che ha mostrato in questo film. Il protagonista si trova alle prese con questo mondo a lui sconosciuto, dove si mescola la più dura verità delle vite difficili con quella del lusso sfrenato, del potere del denaro che sembra poter comprare tutto, compresa una legge per mano del solito politico corrotto. Il film si conclude dove  è giusto che sia: con i valori del bene e del male rimescolati, dove i brutti e cattivi non si bene chi siano veramente.  

Luchetti il cinema lo conosce e lo sa fare. Alcuni suoi titoli meritano di essere ricordati: anzitutto Il Portaborse, del 1991, che ha vinto tanti meritati riconoscimenti, poi La scuola del ’95 e Mio fratello è figlio unico del ’97. La sceneggiatura, il testo, reggono bene un tema di grande attualità (si potrebbe osservare un certo riconoscimento di era berlusconiana) e in alcuni momenti tornano alla memoria pellicole storiche: da Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola del 1976 con un indimenticabile Nino Manfredi, come pure alcuni personaggi de I soliti Ignoti di Mario Monicelli del 1958 (uno dei protagonisti sarebbe potuto essere il fratello del mitico “Capannelle”). Da quest’ultimo titolo, Io sono Tempesta sembra derivare un senso di ironica quanto drammatica lettura della condizione estrema in cui vivono per versanti opposti i diversi protagonisti, ricchi e poveri.

Le visioni dei due mondi sono volutamente esagerate  e le immagini del film restituiscono tutta la bellezza quanto la bruttezza che li caratterizza. Roma è sullo sfondo, quasi neutra, certamente lontana da quella Grande Bellezza che abbiamo visto nella pellicola di Paolo Sorrentino. Altri mondi, altra gente, altri racconti. L’idea del film di Luchetti è buona anche se difetta in alcune lungaggini di troppo mentre, al contrario, avrebbe potuto rifinire meglio alcuni passaggi che avrebbero certamente arricchito il racconto. È un film che non sembra appartenere al genere “commedia all’italiana” e tantomeno verrebbe da associarlo al genere comico. Al termine della proiezione si rimane con un vago senso di incompiuto, di leggero e al tempo stesso inquieto perché, alla fin fine, quei mondi di cui si parla per un verso o per un altro, ci sono vicini, molto vicini. Merita una buona sufficienza con due stelle e +. 

Ps. È ancora nelle sale una pellicola che merita essere proposta: Tonya, del regista australiano Craig Gillespie. Tratto da una storia vera, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra i quali l’Oscar per migliore attrice non protagonista per Allison Janney. Un film carico di passioni e sentimenti, non tutti dei migliori, ma espressione a tutto tondo dei molteplici aspetti della natura umana. Sceneggiatura eccellente, montaggio serrato, ottimi protagonisti: un film da non perdere 

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