Condividi

Chimica e pharma: contro la recessione, investire in ricerca

Le nuove norme ambientali aumentano i costi per la chimica, mentre la farmaceutica si sposta sempre più in India e Cina – Ma il Made in Italy resiste: il giro d’affari da 3,6 miliardi rappresenta il 9% del mercato mondiale e le vendite all’estero raggiungono l’85%

Chimica e pharma: contro la recessione, investire in ricerca

A causa della sua natura pro-ciclica, il settore chimico sta subendo in pieno il peso del rallentamento dell’economia globale. Come se non bastasse, il protezionismo e il contesto normativo più restrittivo a causa delle preoccupazioni ambientali rappresentano sfide per un settore i cui margini netti sono diminuiti di 29 punti base nel secondo trimestre 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Allo stesso tempo, l’aumento dell’offerta, dovuto alla costruzione e all’apertura di giganteschi impianti petrolchimici in Usa, Cina, India e soprattutto nella penisola arabica, eserciterà una pressione al ribasso sui prezzi di alcuni prodotti, in particolare etilene e derivati. Gli standard attualmente in vigore obbligheranno gli attori in gioco a modificare i processi produttivi nei prossimi anni: Coface prevede il rischio di affrontare casi giudiziari, come quelli attualmente in corso nell’industria del tabacco o in quello farmaceutico, in relazione allo scandalo degli oppiacei, con la possibilità di arrivare ad accordi finanziari con alcune giurisdizioni statunitensi al fine di evitare pene severe

Proprio gli Usa, insieme ai paesi Ue, grazie agli investimenti nella ricerca biomedica sono leader mondiali nella scoperta e nello sviluppo, ma non più nella produzione di farmaci. Come sottolineato dall’ISPI, negli ultimi decenni, il baricentro si è gradualmente spostato in India e Cina, rispettivamente fabbrica e fornitrice di principi attivi. L’India è infatti leader nella produzione di farmaci generici, con quote di mercato globale del 20%; copre inoltre circa il 50% della domanda mondiale di vaccini. Ma è dalla Cina che la stessa India importa quasi il 70% dei principi attivi (API). Pechino ha una quota mondiale del 13% e dalla sua produzione dipende una varietà di altri ingredienti chiave nella produzione di farmaci, tanto quelli più sofisticati (soggetti ancora a brevetto) quanto quelli generici per i quali produce fino all’80% dei principi attivi. Negli ultimi vent’anni Pechino ha costruito un formidabile arsenale di produzione di API che ha permesso di ottenere prezzi dal 30 al 40% inferiori alla media, anche grazie a normative più lasche e generosi sussidi statali: la produzione totale tra API e prodotti intermedi nel 2019 ha raggiunto 9,5 milioni di tonnellate (2,5 per i soli API), di cui 1,9 mln sono andati ai mercati europei. Le esportazioni sono cresciute in media del 3,8% negli ultimi anni, per un valore di circa 30 miliardi di dollari. E la tendenza sembra destinata a continuare, dal momento che tra il 2020 e il 2024 sono previsti 160 miliardi di euro di molecole brevettate che diventeranno di dominio pubblico.

L’industria farmaceutica statunitense ha un’esposizione significativa alla fornitura di farmaci dall’India le cui imprese forniscono circa il 40-50% dei farmaci generici. E ben più alto è il rapporto di dipendenza da Pechino. Negli USA, l’importazione di farmaci cinesi è aumentata del 76% nell’ultimo decennio e ora circa l’80% dei farmaci sono prodotti in Cina, tra questi, il 95% di ibuprofene e il 45% di penicillina. Non è un caso se, tra i settori risparmiati dai dazi all’importazione, vi sono proprio le forniture mediche: se ciò ha permesso di lasciare gli API al di fuori delle tensioni commerciali, ora il problema maggiore arriva dai ritardi nella catena di fornitura causata dal CoVid-19. Problema particolarmente sentito in Europa dove non c’è ancora un sistema univoco per la gestione dei trasporti dei prodotti farmaceutici e sanitari e dove le azioni non coordinate dei singoli stati membri stanno causando numerosi problemi alla libera circolazione di beni essenziali. Per il momento i grandi gruppi in Europa e USA riescono a garantire le forniture grazie alle scorte di materiali stimate in media a tre-sei mesi, ma sul medio termine, lo shock causato dalla pandemia spingerà molto probabilmente le imprese a diversificare i mercati di approvvigionamento e produzione.

Come se non bastasse, le normative più severe messe in atto per limitare il rischio ambientale dai processi utilizzati nella produzione di sostanze chimiche e prodotti finali stanno aumentando i costi. I governi di molte economie avanzate ed emergenti stanno prestando molta attenzione alle considerazioni ambientali di fronte alla crescente preoccupazione dell’opinione pubblica per la prevenzione dei cambiamenti climatici e della salute pubblica, richiedendo cambiamenti ai modelli di produzione impiegati. La questione correlata del riciclaggio rappresenta un rischio per il settore, ad esempio in seguito alla copertura mediatica degli effetti sugli animali marini dell’ingestione di microplastiche. A questo proposito gli analisti prevedono che un uso più diffuso delle pratiche di riciclaggio accentuerà il declino della produzione chimica nei prossimi anni. Molti paesi hanno già adottato una legislazione che riduce l’uso di sacchetti di plastica e l’adozione di tali pratiche in tutto il mondo dovrebbe ridurre parte dell’offerta, soprattutto nelle materie plastiche a basso valore aggiunto. Da un punto di vista strutturale, i prodotti del segmento sapori, fragranze e cosmetici sono difficili da replicare esattamente, il che limita la concorrenza per i giocatori esistenti: l’ingresso in questo mercato richiede investimenti continui e costosi in R&S nel corso del tempo.

L’Italia è leader in Europa nella produzione di medicinali per un valore di 32,2 miliardi di euro: la produzione è infatti cresciuta del 22% negli ultimi 10 anni con un aumento delle esportazioni del 117%, tanto che oltre l’80% della produzione è destinato all’export. In aumento anche l’occupazione, che si attesta ad oltre 66.000 addetti. A rendere strategico il settore sono anche gli investimenti in ricerca e sviluppo che ammontano a circa il 16% di tutto il settore manifatturiero, facendone una delle industrie più innovative del nostro paese. Nell’attuale congiuntura, la farmaceutica italiana sembra essere ancora poco colpito dalla crisi: il comparto dei principi attivi mantiene una posizione di rilievo con un giro d’affari di 3,6 miliardi di euro e rappresenta il 9% del mercato mondiale (41 mld), per una quota di vendite all’estero che raggiunge l’85%: l’export è diretto soprattutto in USA (40%), partner europei (36%) e Giappone (18%).

Commenta