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Cesare Vento: “L’obbligo di coinvolgimento dei terzi frena la voluntary disclosure”

Il Parlamento dovrà approvare entro pochi mesi il ddl sulla regolarizzazione dei capitali detenuti illecitamente all’estero, dopo la rinuncia del Governo a proseguire sulla strada del decreto legge – Secondo Cesare Vento, esperto in trust e gestione di patrimoni, vanno corrette parecchie disposizioni del provvedimento, per conferirgli maggiore appeal.

Cesare Vento: “L’obbligo di coinvolgimento dei terzi frena la voluntary disclosure”

Qualcosa da salvare, ma molto da migliorare. E’ questo il giudizio di Cesare Vento, esperto in trust e patrimoni dello studio Origoni-Grippo-Cappelli & Partners di Roma, sul testo del decreto legge sulla voluntary disclosure presentato dal Governo, ma ora al vaglio della commissione Finanze della Camera in forma di disegno di legge. Secondo il programma del Governo, il provvedimento dovrebbe essere approvato dal Parlamento entro la primavera.

Cosa c’è da salvare?

Certamente è positivo che anche in Italia, come già in vari paesi UE ed in USA, si voglia ricorrere ad un congegno normativo che incoraggi gli evasori non a continuare ad evadere, come era il caso dei vari condoni e “scudi” del passato, ma a mettersi definitivamente in regola. In questo senso, è positivo che il provvedimento non consenta il mantenimento dell’anonimato e preveda pesanti sanzioni penali in caso di disclosure parziale, cioè non di tutte le disponibilità estere in precedenza non dichiarate.

Cosa si può migliorare?

Molti aspetti. Ad esempio, le disposizioni che obbligano ad indicare altri soggetti coinvolti nella costituzione del capitale estero sono problematiche. Un conto è incoraggiare il contribuente pentito alla trasparenza verso il fisco offrendogli uno sconto sanzionatorio a condizione che paghi le imposte evase, altro conto è costringerlo, per poter regolarizzare la propria posizione, a coinvolgere altre persone, come se si trattasse di un’indagine giudiziaria.

Per esempio?

Basta pensare al caso, abbastanza frequente, del signor Rossi che, dovendo pagare un bene acquistato dal Sig. Bianchi in Italia qualche anno fa, si accordò con lui per un pagamento “estero su estero”. Se non si modifica il provvedimento, né il signor Rossi né il signor Bianchi potrebbero regolarizzare se non rivelando ciascuno la violazione dell’altro. Da un punto di vista di tecnica legislativa, in teoria sarebbe agevole risolvere questo problema consentendo la secretazione dei nominativi di provenienza e di destinazione dei movimenti del conto oggetto di disclosure. Qui tuttavia sorge un altro problema, la cui soluzione nel nuovo provvedimento è a mio avviso di particolare importanza.

Quale?

Si tratta della norma secondo cui le disponibilità non dichiarate e mantenute in Paesi blacklist, come la Svizzera, si presumono frutto di evasione, salvo che il contribuente provi il contrario. Ora, si immagini che quanto ricevuto dal signor Bianchi fosse parte del prezzo di un appartamento che possedeva da più di cinque anni, quindi non tassabile. Per poter vincere la presunzione, il signor Bianchi dovrebbe necessariamente ricostruire la vendita immobiliare e conseguentemente rivelare anche la violazione del Sig. Rossi. Più in generale, la norma sulla presunzione in questione è fonte di incertezze e molti problemi, ad esempio quello di riverberarsi in una teorica imputabilità per reato tributario basata, appunto, su una presunzione e non su fatti concreti.

E questo come si risolve?

Non è facile trovare una soluzione, a meno che il legislatore non sia disposto ad un approccio pratico: si potrebbe ad esempio disporre che, se il contribuente non è in grado di vincere la presunzione, debba pagare una percentuale forfettaria sul valore rimpatriato e non, come sarebbe stato con l’originario provvedimento, la sua aliquota marginale (in molti casi il 43%), fermo restando l’obbligo di pagare inoltre, interamente, le imposte sulla rendita finanziaria generata dalla disponibilità negli anni ancora aperti, gli interessi e le sanzioni scontate.

Condivide i rilievi fatti dal Centro Studi dell’Ordine degli Avvocati, relativi al rischio flop se non si tutelano i professionisti che assistono i contribuenti?

Certamente i rilievi dell’Ordine sono condivisibili. E’ giusto che la procedura preveda una sanzione penale nel caso in cui il contribuente ometta di rivelare la totalità delle disponibilità estere, o, più in generale, fornisca informazioni false. A questo si accompagna necessariamente il rischio di imputazione a titolo di concorso per il professionista che lo assiste. Nessun professionista sarebbe disposto ad assumersi la responsabilità della certezza che il suo cliente, per così dire, gli abbia detto tutto. Detto questo, credo che, realisticamente parlando, il rischio flop sia principalmente legato alla eccessiva onerosità, sia pure non in tutti i casi, della regolarizzazione.

Secondo lei, come andrà a finire?

Esponenti del nuovo governo di entrambe le principali parti politiche hanno apertamente dichiarato di far conto sul gettito atteso dalla voluntary disclosure. Mi sembra quindi probabile che ci saranno “larghe intese” anche nell’iter parlamentare che dovrebbe portare all’approvazione della nuova legge. Il tema politico centrale sarà naturalmente se, e in che misura, l’onerosità della disclosure debba essere attenuata per favorire il gettito.
 
Quanto aiuta il fatto che in Europa ci siano negoziati con altri Paesi, come la Svizzera, sullo scambio di informazioni tra diversi sistemi fiscali?

Il collegamento tra voluntary disclosure ed il progressivo potenziamento dello scambio di informazioni finanziarie a fini fiscali, non solo con questi paesi, è di primaria importanza. E’ di oggi la notizia che Lussemburgo ed Austria hanno rinunciato alle loro resistenze ed è quindi stato firmato un accordo su modifiche alla Direttiva Risparmio che amplierà la portata delle informazioni oggetto di scambio automatico tra paesi UE. Il tema è molto tecnico e va visto in un contesto di politica economica internazionale. Inoltre, per quanto riguarda i paesi non UE, in primis la Svizzera ma anche, ad esempio, Singapore, sono forse ancora più rilevanti le evoluzioni di legislazione interna nel senso di includere l’evasione fiscale come presupposto del reato di riciclaggio, con conseguente correlativo ampliamento dell’obbligo di segnalazione di cd operazioni sospette in capo alle banche laddove abbiano dubbi sulla regolarità fiscale dei fondi nel paese di residenza del cd titolare effettivo.

Posso dire per esperienza professionale che questi temi, di palese rilevanza, sono ancora scarsamente compresi dalla quasi totalità dei potenziali interessati e anche da molti operatori. Si è cercato di indurre i contribuenti ad avvalersi della disclosure paventando che è meglio pagare il 60 o 70% oggi del 200 o 400% domani, ma non gli si è chiarito perché, fra qualche tempo, il possesso e/o il movimento di un conto nei consueti paradisi fiscali potrebbe essere automaticamente tracciato dalle Entrate o essere segnalato alla UIF, l’unità di informazione finanziaria presso la Banca d’Italia, come operazione sospetta. A mio avviso, una campagna di comunicazione su questi temi semplice, chiara e comprensibile anche ai non addetti ai lavori aiuterebbe la causa del gettito atteso dalla voluntary disclosure più di ogni altra cosa.

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