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Cassese sui Referendum sulla Giustizia: “Partecipare al voto è un dovere civico e può aiutare le riforme”

INTERVISTA A SABINO CASSESE, illustre giurista e giudice costituzionale emerito, che lancia un appello alla partecipazione al voto nei cinque referendum sulla Giustizia, sui quali si è più volte espresso per il SI’. Qui spiega perchè votare è importante e quali sono i possibili effetti del voto

Cassese sui Referendum sulla Giustizia: “Partecipare al voto è un dovere civico e può aiutare le riforme”

Il professor Sabino Cassese, già giudice della Corte Costituzionale e giurista di grande fama, si è battuto negli ultimi anni per migliorare il funzionamento delle nostre istituzioni. Dalle inefficienze della gestione della cosa pubblica deriva il crescente distacco dei cittadini dalla politica, il rifugiarsi nel proprio personale, con la conseguenza di provocare un ulteriore peggioramento della gestione della cosa pubblica, e il prevalere nelle forze politiche di obiettivi immediati a scapito di un agire con lungimiranza per modificare quello che deve essere cambiato per stare al passo con i tempi e per offrire buone opportunità alle nuove generazioni. 

Sui cinque referendum sulla Giustizia il prof Cassese si è più volte espresso per votare SI a tutti e cinque i quesiti, anche se alcuni possono apparire di modesta portata. In questa intervista a FIRSTonline ribadisce le ragioni che dovrebbero portare i cittadini a non disertare le urne e a votare affermativamente a tutte le questioni proposte. La ragione è semplice: la vittoria del SI darebbe una spinta per indurre Governo e Parlamento ad affrontare con maggiore determinazione le storture che rendono inefficiente e inaffidabile il nostro sistema giudiziario. Ecco l’intervista.

Le previsioni sull’affluenza alle urne per i referendum sulla Giustizia sono generalmente pessimiste. Non sarà facile raggiungere il quorum. Come spiega questa atteggiamento degli italiani che hanno profonda sfiducia nei confronti dei partiti e della politica eppure quando sono chiamati a decidere direttamente non rispondono alla chiamata o bocciano le proposte che spingono verso un cambiamento del nostro sistema, che pure a parole, appare desiderato?

“Le possibili spiegazioni sono molte. La prima è che c’è una decrescente partecipazione popolare, sia agli istituti della democrazia rappresentativa, cioè le elezioni, sia agli istituti della democrazia diretta, cioè i referendum. La seconda è che le richieste sono state troppe: dal 1970 al 2022 sono stati presentati 666 referendum abrogativi e 23 referendum costituzionali. I referendum votati dagli italiani sono stati 73. Lasciando da parte il referendum istituzionale sulla Repubblica, quello di indirizzo e i quattro referendum costituzionali, si è votato per 67 referendum abrogativi, di cui 39 hanno superato il quorum: 23 volte ha vinto il sì e 16 volte il no. La terza possibile spiegazione è che le formulazioni dei quesiti referendari sono complesse e poco comprensibili. La quarta possibile spiegazione è che la democrazia diretta, tramite referendum, ha limiti intrinseci, a causa della complessità della gestione dello Stato, con cui contrasta la semplificazione della richiesta referendaria, sia perché si tratta di referendum solo abrogativi, sia perché si può rispondere soltanto con un sì o con un no”.

Eppure il problema di una Giustizia ben funzionante è uno dei principali problemi italiani sia dal punto di vista dell’equità e della democrazia, sia sotto il profilo economico in quanto molti investitori vengono disincentivati dalle difficoltà di avere Giustizia per l’incertezza del diritto e i tempi molto lunghi del giudizio.

“La questione della crisi della giustizia è diventata una questione sociale, di cui vi sono molti indicatori. Sei milioni di questioni pendenti, più di 7 anni per concludere, in media, i tre gradi di giudizio in sede civile e più di 3 in sede penale. Scarsa indipendenza e imparzialità dei giudici, a causa della politicizzazione endogena del corpo dei magistrati. Eccessivo impegno dei magistrati in altri poteri dello Stato, quello legislativo e quello esecutivo. Esondazione delle procure, divenute i guardiani della virtù, secondo la formula  di Pizzorno. Decrescente fiducia della popolazione nella giustizia”.

Alcuni quesiti referendari incrociano le disposizioni della riforma Cartabia. Quindi è un referendum inutile oppure può servire a dare una spinta per una riforma più profonda?

“La risposta positiva ai referendum potrebbe essere molto funzionale, in snenso sollecitatorio o sostitutivo, alla riforma Cartabia, che va nella direzione giusta per assicurare processi più veloci, maggiore tutela degli indagati, più distacco tra accusa e giudizio, una giustizia più giusta”.

I fautori del NO  sostengono che alcuni quesiti non si capiscono o sono irrilevanti e quindi invitano i cittadini ad andare al mare. E vero?

La partecipazione dei cittadini, con il voto per la scelta dei propri rappresentanti e con le risposte referendarie, è definita dalla Costituzione dovere civico; chi invita a violarlo, invita a violare la Costituzione.

Alcuni magistrati , non solo quelli che hanno cariche nella loro associazione, sono intervenuti pesantemente anche con affermazioni false come quello di Trieste. Non è una distorsione che ci siano continui interventi della Magistratura su materie di competenza della politica e dei cittadini?

“È un’altra prova della scarsa indipendenza della magistratura, della erroneità dell’idea che il CSM debba essere uno strumento di autogoverno, della cosiddetta autoreferenzialità dei magistrati, che invece di essere sottoposti alla legge pensano che la legge sia sottoposta ai magistrati. Tutto questo nonostante che la maggioranza dei magistrati sia ben lontana dalle posizioni della  minoranza, organizzata in partiti definiti correnti, che fanno sentire la loro voce più dell’opinione equilibrata della maggior parte dei magistrati”.

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