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Caro-bolletta Sos, “un’azienda su dieci del Lazio è costretta a chiudere”: l’allarme di Bianchi (Unindustria)

INTERVISTA A FAUSTO BIANCHI, Presidente del Comitato Piccola Industria di Unindustria Lazio: “Se un’impresa su dieci rischia di chiudere, occorre mettere un tetto al prezzo di gas ed energia elettrica evitando i fenomeni speculativi che distorcono il mercato”

Caro-bolletta Sos, “un’azienda su dieci del Lazio è costretta a chiudere”: l’allarme di Bianchi (Unindustria)

Il caro-energia, oltre alle conseguenze della guerra Russia-Ucraina, al rincaro delle materie prime e alla coda della pandemia, stanno colpendo duramente le imprese e in particolare quelle piccole e piccolissime. Per questo è ora di agire, cominciando a “mettere un tetto ai prezzi del gas e dell’energia elettrica ed evitando i fenomeni speculativi che distorcono il mercato”. E’ quanto sostiene, in questa intervista a FIRSTonline, Fausto Bianchi, Presidente del Comitato Piccola Industria di Unindustria Lazio, una regione nella quale il 99,9% delle imprese è rappresentato da piccole aziende ed è perciò un campione molto significativo. Sentiamo il suo punto di vista.

Presidente Bianchi, nei giorni scorsi il Presidente di Confindustria Bonomi ha lanciato l’allarme sulla tempesta perfetta che sta colpendo l’economia italiana tra guerra, caro energia, mancanza di materie prime, effetti post-pandemici e ha ricordato che il 46% delle imprese rischia addirittura di chiudere a giugno. Il Lazio, con le sue 460 mila Pmi (pari al 99,9% delle aziende di tutta la Regione) è uno specchio significativo dell’economia italiana: qual è oggi il reale stato di salute delle Pmi del Lazio e per quante c’è davvero il rischio di chiusura a breve?

“Se sino ad oggi pensavamo che il Covid-19 avesse determinato una crisi senza precedenti per la nostra economia, non solo in termini di entità, ma anche per la sua natura particolarmente asimmetrica, l’aggiungersi del conflitto russo-ucraino sta impattando sulle nostre piccole e medie imprese in maniera ancor più profonda e con profili di incertezza sul breve periodo assai maggiori. Abbiamo osservato quanto l’emergenza sanitaria abbia avuto conseguenze fortemente diversificate, colpendo in misura particolare i settori più colpiti dai lockdown ed esposti alle misure di contenimento come, ad esempio, il turismo, i trasporti, il sistema moda, ed incidendo in misura meno significativa o addirittura stimolando positivamente altri comparti quali la filiera farmaceutica, il commercio online, l’industria agroalimentare. Questa dinamica ha avuto un suo riflesso, in termini di impatto sul territorio, soprattutto in base alla specializzazione produttiva locale: gli impatti sono stati più forti nelle regioni in cui i settori più esposti alle misure di contenimento (la filiera turistica, trasporti, il sistema moda, audiovisivo) pesano maggiormente, come evidentemente nella nostra regione. Oggi, l’intensità dell’impatto sui settori della guerra in Ucraina dipende in maniera significativa sia dalla durata del conflitto, sia dalle controreazioni russe alle sanzioni fin qui imposte. Da subito abbiamo visto gli effetti devastanti dell’incremento di costi e la riduzione dei margini derivati dagli elevati prezzi dell’energia. Sicuramente i settori energivori, cioè quelli che consumano grandi quantità di energia, sono i più esposti all’andamento dei prezzi: pensiamo all’industria ceramica, eccellenza del distretto di Civita Castellana (VT), oppure le cartiere, i cementifici, il settore chimico. Già alla fine del 2021 le aziende di questi settori avevano ricevuto bollette molto più alte rispetto ai mesi precedenti e avevano chiesto al governo un sostegno economico. Ma la situazione è peggiorata dopo l’invasione russa in Ucraina non tanto per l’atteso aumento dei prezzi, quanto per la loro volatilità. La prima mossa di molte aziende è stata limitare la produzione allo stretto necessario, rallentare nei reparti che consumano più energia, chiedere ai dipendenti di lavorare anche nel weekend, quando l’energia costa meno. Quando non è possibile fare tutto questo, le aziende sono state costrette a chiudere temporaneamente intere linee e chiedere la cassa integrazione. Nel Lazio un’azienda su dieci rischia di fermarsi a causa del caro bolletta. Ma anche per chi non è energivoro, e si trova in continuo affanno per il reperimento delle materie prime e dei loro costi, la situazione non è certo migliore. Il rischio di chiusura è alto se non si prendono decisioni coraggiose e di concreto sostegno al mondo imprenditoriale”.

Tra le piccole e medie imprese del Lazio quali sono i settori che soffrono di più e che hanno già dovuto ridurre la produzione o rischiano addirittura di fermarsi?

“Già durante la pandemia nel Lazio c’era stata una perdita economica importante, oltre 8 punti di Pil, che eravamo riusciti a recuperare nel 2021. Prima della guerra in Ucraina, per il 2022 avevamo prospettive positive, con una rinnovata fiducia delle imprese e investimenti che potevano superare anche i livelli pre-Covid. Ora aggiorniamo di settimana in settimana le proiezioni al ribasso. Da un recente approfondimento elaborato dal centro studi di Intesa Sanpaolo, i settori del Lazio più esposti sarebbero in primis edilizia, costruzioni e infrastrutture, penalizzati dai maggiori costi di produzione a causa dell’elevato peso dell’energia e dalla scarsità di materie prime, con impatti anche sui settori a valle, dove operano anche player con asset in Russia e Ucraina. Significativo anche l’impatto sull’agro-alimentare, in quanto la filiera è molto esposta alla scarsità di materie prime come il grano e ai rincari nei costi energetici. Alcuni player importanti presentano inoltre strutture produttive in loco. Senza tralasciare, da ultimo ma non certo per importanza, il settore tessile specialmente per quanto riguarda il lusso, nonché il turismo e la ristorazione, poiché l’impatto per questi settori transita dall’importanza dell’export verso la Russia che nel Lazio è superiore al dato medio, ed evidentemente dal peso dei flussi turistici. Abbiamo dei dati positivi sul comparto della ristorazione/terziario per i giorni legate alle festività appena trascorse, ma sicuramente per le proiezioni sul futuro è bene essere cauti. Si riscontra anche un impatto significativo nel settore dei trasporti e delle apparecchiature medicali e biotecnologie”.

Per fronteggiare l’emergenza inflazione-recessione quali proposte avanza la Piccola Industria di Unindustria Lazio al Governo centrale e alla regione?

“Gli interventi dell’esecutivo appaiono ancora troppo timidi, non si riesce a riscontrare una volontà vera e concreta di sostenere il tessuto imprenditoriale, in particolare quello delle piccole e medie imprese. Serve più coraggio, se un’impresa su dieci rischia di chiudere a causa dei costi dell’energia, occorre mettere un tetto al prezzo di gas ed energia elettrica evitando anche quei fenomeni speculativi che distorcono il mercato, e non solo quello energetico. Occorre intervenire con un atteggiamento a favore delle imprese, prendendo come esempio quello che accade in altri Stati europei, come in Francia e in Germania dove il prezzo dell’energia per le imprese risulta meno della metà del prezzo di mercato. Alla Regione non possiamo che chiedere più semplificazione e meno burocrazia. Se vogliamo aiutare le piccole e medie imprese a crescere e fortificarsi questo è il momento per dimostrare che la Pubblica Amministrazione riesce anch’essa ad innovarsi e uscire da dinamiche anacronistiche e di antagonismo verso il sistema produttivo privato”.

Nel campo dell’energia, come Comitato Piccola Industria non pensate anche a strategie di saving per evitare di scaricare tutti i costi del caro-bolletta sul consumatore finale?

“Partiamo dal presupposto che le strategie variano da settore a settore. Un imprenditore sa bene che scaricare i costi sul consumatore finale da un lato non è sempre possibile, dall’altro è un rischio altissimo di uscire fuori dal mercato semplicemente perché non si è più competitivi. Ricordiamoci che anche la PMI opera in un mercato globale, dove ormai i confini geografici non sono così distanti sia per chi opera nel B2B, ma neppure per chi opera nel B2C. Quindi, la riflessione su possibili strategie interne di saving diviene automaticamente obbligatoria. Insieme ai colleghi imprenditori di Confindustria Alto Adriatico abbiamo recentemente realizzato un workshop proprio su questo tema, ossia quali possibili leve possiamo attivare oggi per ridurre i costi in azienda. Una formula magica non esiste, ma tre tipologie di attività su cui porre l’attenzione in azienda vale la pena ricordarle. Eliminare tutti gli sprechi, tagliando tutte le attività o l’utilizzo di risorse che non cambiano la natura o la qualità dei prodotti e dei servizi o che non sono necessarie al completamento degli stessi. Ridurre per quanto possibile tutte le attività ausiliari o incidentali, ossia quelle che non aggiungono direttamente valore per il cliente ma che sono attualmente necessarie per supportare i processi. Concentrarsi sulle attività a valore aggiunto, vale a dire quelle che cambiano direttamente la natura o qualità del nostro prodotto e soprattutto per cui il nostro cliente è disposto a pagare”.

In coerenza con la sua estrazione di imprenditore assicurativo, Lei ha impostato un programma volto a un approccio nuovo alla finanza soprattutto per le Pmi, che su questo versante, sono spesso più fragili: a che cosa punta esattamente?

“La dimensione strutturale delle PMI nel Lazio è sicuramente a maggioranza di micro e micro-piccola azienda. Occorre stimolare percorsi verso una nuova cultura finanziaria. Abbandonare modelli legati al piccolo è bello, comprendere che i mercati, gli investitori e tutti i nostri stakeholder richiedono stabilità patrimoniale, lungimiranza verso i nuovi trend e capacità di analisi. Parlare oggi di sostenibilità finanziaria può apparire quasi fuori luogo viste le difficoltà che stanno attraversando le imprese, eppure ormai non c’è istituto di credito che non richieda il rispetto dei parametri ESG. Il processo a cui puntiamo è quello di sensibilizzare il tessuto economico-imprenditoriale laziale verso quei percorsi virtuosi che possano aiutare la piccola impresa a crescere. Anche il recente accordo sul credito con Intesa Sanpaolo che ha messo a disposizione 10 miliardi per le nostre imprese laziali punta ad attuare insieme strumenti specifici per stimolare la ripresa. Durante la crisi pandemica, sono state adottate delle soluzioni straordinarie per supportare le imprese Italiane ora diventa prioritario facilitare la transizione verso soluzioni strutturali a supporto dei bisogni di liquidità e a sostegno dell’equilibrio finanziario, concentrandosi su quattro assi determinanti per la crescita:

1. Digitalizzazione e innovazione, incoraggiando e sostenendo gli investimenti in ricerca, innovazione e digitalizzazione;

2. Rafforzamento della struttura finanziaria, promuovendo la patrimonializzazione, il rafforzamento e il riequilibrio della struttura finanziaria delle imprese;

3. Valorizzazione del ruolo delle filiere, valorizzando e rafforzando attraverso nuove azioni il sistema delle filiere locali con una attenzione alle Filiere Sostenibili;

4. Sostenibilità e resilienza, sostenendo la trasformazione delle imprese verso modelli sostenibili e resilienti.

Tutto questo, in base al rapporto con Intesa Sanpaolo, si tradurrà in azioni concrete per le nostre imprese grazie ad un processo di condivisione e di lavoro congiunto fra mondo bancario e sistema imprenditoriale”.

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