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Call center, frontiera tecnologica o criminale?

La vicenda del call center milanese “Blue Call” sequestrato dalla magistratura per infiltrazione criminale richiama molte riflessioni su un “settore” oggi coinvolge direttamente oltre 70 mila lavoratori: quali sono le ragioni di politica industriale che lo rendono così permeabile a comportamenti illegittimi e malavitosi?

Call center, frontiera tecnologica o criminale?

La vicenda del call center milanese “Blue Call” sequestrato dalla magistratura per infiltrazione criminale richiama molte riflessioni su un problema da tempo alla attenzione dei Governi (compreso quest’ultimo), ma che fino ad ora non ha ricevuto la attenzione necessaria per mettere un freno ad una deriva già molto compromessa.

Il “settore” dei call center oggi coinvolge direttamente oltre 70 mila lavoratori in larga maggioranza con contratti a termine o di finto lavoro a progetto. Le imprese gestiscono per terzi il rapporto con i clienti (custom relationship – CRM) che i grandi enti economici gestivano in proprio fino a venti anni fa, mentre nelle unità minori il rapporto con i clienti era gestito dal mitico “centralino”. I call center, in genere, hanno forma di grandi imprese con migliaia di dipendenti nelle quali il costo del lavoro pesa per oltre l’85% del costo totale; questo dato aiuta a capire perché i lavoratori siano talora utilizzati come “scudi umani” per avallare operazioni altrimenti improponibili ed inaccettabili. E infatti, se un territorio, non solo al Sud come “Blue Call” insegna, si vede proporre iniziative imprenditoriali che occupano rapidamente centinaia di persone, i freni ed i controlli si allentano molto e così nel business si intrufola di tutto. Ricordo che la vicenda del call center milanese è unica per le sue implicazioni criminose così esplicite (come raccontano le intercettazioni riportate dai quotidiani), ma viene dopo una lunga sequela di crisi, cessazioni, passaggi di proprietà che hanno interessato le cronache giudiziarie con conseguenze pesanti per il reddito e il lavoro di migliaia di persone.

Ma quali sono le ragioni di politica industriale che rendono questo settore così permeabile a comportamenti illegittimi e malavitosi? E a questa domanda aggiungo: chi sono i clienti dei call center? come si origina il mercato e quali sono le regole oggi dominanti? Solo cercando una risposta a queste domande sarà possibile capire i meccanismi per molti aspetti unici che caratterizzano il settore.

I clienti sono soprattutto le grandi imprese industriali di servizi, nonché le amministrazioni pubbliche, ciascuna per conto proprio o aggregate in forme consortili. Da oltre 20 anni, nel contesto di processi di outsourcing di ciò che è considerato “non core”, il call center è stato affidato a imprese di grandi dimensioni spesso improvvisate perché, erroneamente, si è ritenuto che fosse semplice gestirle; “bastano molte linee telefoniche e personale che risponde alle chiamate” si dice.

Questo è il contesto che ha definito le attuali caratteristiche del settore. A cui va aggiunto che, come accaduto per altre attività di servizio (alle quali il call center è impropriamente associato), la esternalizzazione è stata accompagnata da una forte azione di recupero costi attraverso la imposizione di tariffe spesso inferiori a quanto previsto dai contratti di lavoro. Un grande gestore telefonico oggi bandisce gare con tariffe di 0,035 euro per ogni minuto di conversazione il che equivale ad un ricavo medio che si aggira attorno a 18 euro/ora che non consente non solo la remunerazione del capitale investito, ma neppure la copertura completa dei costi di struttura. Va detto, però, che le imprese di call center sono spesso sottocapitalizzate e con investimenti fissi molto bassi poiché si ritiene (erroneamente) che l’innovazione tecnologica sia superflua. Questo vale soprattutto per alcune imprese nazionali di dimensione medio-grande.

Comprendendo questo insieme di argomentazioni si capiscono le ragioni che inducono troppe imprese a ricercare ogni sotterfugio o via di fuga per recuperare marginalità.

Quali sono queste vie di fuga?

1) Le amministrazioni locali intervengono (talora con evidenti ragioni clientelari) per integrare con finanza pubblica ciò che i clienti non consentono alle imprese di raggiungere.

2) Si porta l’attività in Paesi dove il costo del lavoro è assai inferiore e non vi sono ostacoli per la lingua (ad esempio Albania, Croazia o taluni Paesi dell’America Latina).

3) Si violano i contratti di lavoro e le leggi le quali, va detto, non sono equilibrate perché velleitarie e spingono anche gli onesti a non applicarle.

Spesso tutto questo si combina e viene giustificato con la “superiore” necessità di difendere i posti di lavoro, coinvolgendo nelle operazioni non sempre trasparenti persino le organizzazioni sindacali. E’ evidente che siamo in presenza di un problema di politica industriale che necessita interventi adeguati per fare dei call center, e più in generale di chi eroga servizi tecnologici, imprese capaci di competere lealmente nel mercato nazionale, ma anche in quelli internazionali. Questo è avvenuto in altri paesi europei ove prosperano imprese con elevati standard tecnologici e proiezioni internazionali molto importanti.

Proviamo ad individuare qualcuno degli interventi possibili:

a) Impedire comportamenti anomali della domanda. Le gare che valorizzano il solo contenuto economico e costruite secondo la logica del massimo ribasso, sono dannose perché creano una oggettiva distorsione del mercato. Questo accade anche nelle Pubbliche Amministrazioni.

b) Favorire, con incentivi e credito di imposta, le imprese fortemente orientate alla innovazione tecnologica. Non dimentichiamo che stiamo parlando si simulatori di voce, traduttori, sistemi di gestione flussi, ecc. che operano sulla frontiera della innovazione del SW che vede molte imprese italiane nello sviluppo di nuove applicazioni. E non dimentichiamo che anche le tecnologie dei socia l network si basano su tecnologie analoghe.

d) Eliminare ogni forma di sostegno pubblico distorto alla “creazione” di posti di lavoro (ad esempio con la L. 407/90 qualche Regione finanzia nuove imprese costituite solo per il periodo utile a beneficiare dei sussidi). Anche in questo caso vi è turbativa della concorrenza e distorsione del mercato del lavoro: principi censurati dalla UE, ma violati in molte Regioni italiane.

e) Favorire le aggregazioni di impresa quale condizione essenziale per sostenere una maggiore capitalizzazione funzionale allo sviluppo tecnologico e alla crescita occupazionale qualificata.

Senza qualificati interventi il settore dei call center (ma non solo) è destinato da un lato a rimanere marginale sulla frontiera delle tecnologie, ma dall’altro continuerà ad essere oggetto di attenzione da parte della nuova criminalità che si propone la conquista di imprese soprattutto di servizi e delle costruzioni con alto impatto occupazionale e alto turnover finanziario.

Insomma: senza una politica industriale mirata, le conseguenze saranno ancora peggiori di quelle già nefaste lette sulle cronache di queste settimane, ma già presenti da tempo sia al nord che al Sud del Paese.

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