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Brennero, l’Austria non riapre: turismo italiano ko

L’Austria non apre le frontiere con l’Italia e vuole tenere chiuso il Brennero oltre la metà di giugno, con danni economici gravissimi per il nostro Paese, soprattutto per il turismo

Brennero, l’Austria non riapre: turismo italiano ko

Se da un lato l’Italia sta incassando il sostegno finanziario da parte dell’Europa, seppur a fatica e col parere contrario di alcuni Paesi del Nord, c’è invece una partita della quale si parla meno e che stiamo clamorosamente perdendo: quella della riapertura delle frontiere, temporaneamente chiuse per coronavirus, con tutte le conseguenze del caso soprattutto per il turismo, alla vigilia dell’alta stagione estiva. Anche questa volta c’entrano i nostri “partner” europei e in particolare l’Austria, che oltre ad opporsi al Recovery Fund sta battendo i pugni su una scelta che metterebbe a rischio un settore, quello turistico, che per l’Italia vale oltre il 13% del Pil e occupa quasi il 15% dei cittadini lavoratori: chiudere il Brennero. La scelta del cancelliere Sebastian Kurz è infatti di confermare l’attuale chiusura anche oltre il 15 giugno, data entro la quale nell’area Schengen si potrà in teoria riprendere a viaggiare anche per motivi non legati al lavoro o altre necessità.

Il Consiglio dei ministri europei del Turismo non ha infatti raggiunto l’accordo sulle riaperture coordinate, sdoganando invece gli accordi bilaterali tra i Paesi meno infetti, che di fatto esclude per ora due campioni europei del turismo balneare come Italia e Spagna. Mentre però la Spagna sta a sua volta tentando un accordo con la Germania per garantire i viaggi almeno su Maiorca (una delle mete storicamente preferite dai teutonici in estate), l’Italia vedrebbe bloccato proprio il collegamento stradale con il Paese dal quale ogni anno arriva sulle nostre spiagge la stragrande maggioranza dei visitatori. La chiusura, se confermata, significherebbe per i nostri alberghi e ristoranti, la cui ripartenza è già molto complicata, rinunciare a parte di un turismo, quello tedesco, che in tempi normali ci garantisce quasi 60 milioni di pernottamenti l’anno, e 7 miliardi di spesa.

Per ora dunque non è servita a nulla nemmeno la decisione del Governo italiano di riaprire le frontiere ed eliminare la quarantena per chi arriva in Italia dall’estero a partire dal 3 giugno. Era una mossa, forse persino precoce, per ricominciare a facilitare gli spostamenti ma l’Europa ancora una volta ha rifiutato di affrontare la questione nel suo insieme e in maniera solidale, preferendo come spesso capita un’impostazione egoistica e tutt’al più bilaterale. L’ipotesi finora è quella di individuare delle cosiddette zone verdi, cioè – in contrapposizione cromatica con quelle rosse, più colpite dal contagio – aree “bonificate” o quasi dal Covid-19, dove riprendere in sicurezza i viaggi per turismo. Questo corridoio verde però, al di là delle buone intenzioni, favorisce solo alcuni Paesi, escludendone altri.

E la scelta di Kurz non farebbe altro che ingigantire la questione. “È necessario un ambizioso Piano d’azione europeo a supporto del settore turistico”, ha provato a sostenere il ministro Dario Franceschini ai colleghi europei, finora senza ottenere sponda, “l’impatto negativo è tale che nessun paese può pensare di farcela da solo. Il Governo italiano intende dedicare una quota rilevante del Recovery Fund al turismo, chiediamo un ulteriore sforzo a livello europeo affinchè l’intera filiera turistica sia inserita in via preferenziale in tutti i programmi di ripresa e di investimento comunitari”. Dall’inizio del lockdown da pandemia, il Wttc stima che il nostro Paese abbia perso 30 milioni di visitatori: a fine anno il buco del settore potrebbe ampiamente superare i 100 miliardi di euro. È chiaro che il quasi azzeramento della stagione estiva sarebbe una catastrofe.

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