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Brasile, Sapelli: “Bolsonaro non è né Trump né Salvini, ma vincerà Haddad”

INTERVISTA a GIULIO SAPELLI, economista e grande esperto di America Latina: “Il leader dell’estrema destra non è un volto nuovo e non dispiace affatto ai mercati: è in vantaggio nei sondaggi ma al secondo turno vincerà il delfino di Lula” – “Le sinistre in Sudamerica hanno perso una grande occasione: hanno preferito il modello cubano al socialismo riformista” – VIDEO.

Brasile, Sapelli: “Bolsonaro non è né Trump né Salvini, ma vincerà Haddad”

Il Brasile si appresta domenica a vivere le elezioni più confuse e incerte della sua giovane storia democratica, in un Paese mai come oggi dilaniato dalla povertà, dalla criminalità, dalla disoccupazione (i disoccupati sono tornati oltre i 13 milioni), dai cartelli della droga che hanno ripreso a fronteggiarsi a colpi di omicidi. Un Paese di 147 milioni di elettori che viene da 13 anni consecutivi di governo di sinistra, con il Partito dei Lavoratori che ha portato alla presidenza prima Lula e poi Dilma Rousseff (e il centrista Temer, dopo il suo impeachment), e che è stato artefice prima del miracolo economico e poi della grande crisi successiva allo scandalo Lava Jato. Si vota domenica 7 ottobre e, grazie al voto elettronico, i risultati si avranno già nella serata brasiliana, cioè nella notte italiana: i favoriti del primo turno (ma si andrà quasi certamente al ballottaggio, con un sistema elettorale alla francese) sono il delfino di Lula – incandidabile in quanto condannato a 12 anni per corruzione passiva e riciclaggio – Fernando Haddad e Jair Bolsonaro, ex capitano dell’esercito, fenomeno sui social (ha oltre 7 milioni di follower solo su Facebook) tramite i quali alterna nostalgia della vecchia dittatura militare a propositi apertamente omofobi e misogini. Bolsonaro non dovrebbe raggiungere la maggioranza necessaria per vincere al primo turno, ma si presenta alle urne da frontrunner, soprattutto dopo l’accoltellamento subito a qualche settimana dalle elezioni, che lo ha portato a superare il 30% nei sondaggi. “Ma non paragonatelo né a Trump né a Salvini”, spiega a FIRSTonline Giulio Sapelli, economista e grande esperto di America Latina. “Bolsonaro non è un volto nuovo della politica e la sua eventuale elezione non dispiacerebbe ai mercati. Alla fine comunque vincerà Haddad, anche se le sinistre sudamericane hanno perso una grande occasione negli ultimi anni”.

Professor Sapelli, domenica 7 ottobre ci sono le elezioni presidenziali in Brasile. Si andrà quasi certamente al ballottaggio, ma il favorito del primo turno è il candidato dell’ultradestra Jair Bolsonaro. Le ricorda di più Trump o Salvini?

“Nessuno dei due. La storia politica brasiliana è completamente diversa, il fatto di essere un candidato di estrema destra non implica la possibilità di paragoni con i leader occidentali. Bolsonaro è un ex militare, cosa che né Trump né Salvini sono, non viene dalla finanza come Trump e a differenza del tycoon siede da 30 anni nel Parlamento brasiliano, quindi non è nemmeno una figura nuova. E’ legato alla destra militare vicina alla dittatura dei primi anni ’80, una destra militare peraltro diversa da quelle di altri Paesi sudamericani, come Bolivia e Venezuela, dove le dittature dell’esercito sono di fatto diventate di sinistra”.

Quindi non si può nemmeno dire che, nel caso in cui vincesse, Bolsonaro potrebbe diventare il nuovo Maduro.

“Assolutamente no, perché la dittatura di Maduro nasce da quella di Chavez che ha tutt’altra impronta. Bolsonaro inoltre non sarebbe nemmeno così mal visto dai mercati, anzi potrebbe diventare amico dei mercati (negli ultimi giorni, con Bolsonaro che saliva nei sondaggi, l’incide di Borsa Bovespa ha effettivamente guadagnato parecchio terreno, dopo mesi di calo, ndr). I mercati sono investitori con orientamenti diversi tra loro: ai fondi più interventisti non dispiacerebbe una figura come quella del leader di estrema destra”.

Secondo lei, come fa un uomo che rivendica una dittatura sanguinosa e che esprime propositi apertamente omofobi e razzisti ad avere un consenso così ampio? Nei sondaggi Bolsonaro è in testa addirittura col 35%, anche se poi probabilmente perderebbe al secondo turno.

“E’ sostenuto da una parte importante della stampa, in particolare dal gruppo editoriale O Globo, e dal mondo imprenditoriale, che spera che da destra si risolva una volta per tutte la questione Lava Jato, lo scandalo giudiziario che ha travolto un’intera classe dirigente e che è stato pilotato dagli Usa e dalla Cia, come avvenne in Italia con Mani Pulite, per smantellare il Partito dei Lavoratori di Lula e per privatizzare grandi aziende pubbliche come Petrobras. In più, c’è stata la messa in scena del suo accoltellamento, che gli ha fatto guadagnare ulteriore consenso”.

Un consenso che gli arriva anche dal ceto medio, da un elettorato storicamente più moderato. Sta contando anche lui sull’effetto Lega-Cinque Stelle?

“Ripeto, le due cose non c’entrano niente e secondo me è sbagliato forzare questo genere di paragoni”.

Il tentativo di far fuori Lula e il suo partito, a cui alludeva poco fa, è tuttavia fallito. Lula prima della sua esclusione da parte della Corte suprema era ancora in testa ai sondaggi e il suo delfino Fernando Haddad è in corsa per vincere al secondo turno.

“Già Dilma Rousseff, nonostante l’impeachment, ne è uscita pulita. Lo stesso vale per Lula, la cui condanna è basata su accuse molto deboli. Haddad è un volto pulito, è un professore universitario ed è già stato ministro dell’Istruzione e sindaco di una città complicata come San Paolo. Nonostante tutto, il Pt è stata la più grande rivoluzione politica di tutto il Sudamerica, e l’unico tra i grandi partiti storici ad essere ancora popolare: Haddad ne rappresenta l’ala moderata, rispetto a Lula è più istituzionale essendo stato amministratore e non sindacalista, ed è stato bravo a trovare l’accordo con il Partito comunista brasiliano, che storicamente ha posizioni più moderate di quelle di Lula”.

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Quindi Haddad secondo lei può farcela?

“Sì, perché la sinistra brasiliana è molto frammentata ma troverà convergenze al secondo turno. A lui andranno ad esempio i voti di Marina Silva e Ciro Gomes, outsider del voto di domenica ma che difficilmente accederanno al ballottaggio. Bolsonaro ha un bacino meno ampio a cui attingere: al secondo turno non recupererà molti voti in più di quelli del suo elettorato”.

Se Bolsonaro potrebbe essere l’uomo che piace ai mercati, a chi gioverebbe la vittoria di Haddad?

“I mercati come dicevo sono diversi fra loro. Per i fondi istituzionali, per le grandi banche Usa è preferibile una figura come quella del candidato del Pt. Certo, sarebbero poi in teorico conflitto con l’establishment statunitense che ha montato il caso Lava Jato per far fuori quella parte della classe politica. Haddad comunque potrà avere il merito di riportare il Brasile, dopo una stagione difficilissima, alla normalità politica. Anche il suo partito potrà avere una svolta più matura, ma non verso il centro. La svolta centrista era già stata tentata da Dilma, senza successo. Proverà a proporre un socialismo moderato”.

Che poi è quello di cui avrebbe bisogno di tutto il Sudamerica, la cui stagione d’oro politica ed economica sembra un lontano ricordo.

“Il Sudamerica è stata una grande occasione persa. Dopo la stagione fortunata dei primi anni 2000, ha risentito dello scontro internazionale e della posizione sempre più confusa degli Stati Uniti, che non esercitano più lo stesso tipo di potere sulla regione. Soprattutto in politica internazionale, alcuni Paesi hanno fatto il passo più lungo della gamba. Si pensi ad esempio proprio al Brasile, che trattava da solo con Iran e Russia. Le classi dirigenti non hanno saputo tenere il punto, dovevano creare il neo bolivarismo, ossia una nuova stagione socialista riformista, invece hanno inseguito il modello cubano”.

Soprattutto il Venezuela, che sta facendo la fine che vediamo.

“In Venezuela la situazione è drammatica, Maduro sta mettendo in atto una dittatura militare spietata. Ma anche in Argentina, che ha tutt’altro modello, la situazione non è molto migliore. Il presidente Mauricio Macri ha visto fallire tutte le sue idee politiche, non ha più consenso in Parlamento, si è messo contro i sindacati. E’ stato incompetente: pensava di vincere il peronismo senza la politica, pensava che bastasse riportare gli investimenti in Argentina. Ma non è così. La più grande tragedia per l’Argentina è la scomparsa del Partito radicale di Alfonsìn, oggi ci sarebbe molto bisogno di quel tipo di politica”.

Tornando al Brasile: oltre che una complicata situazione politica, l’ex locomotiva sudamericana vive anche una profonda crisi economica, col Pil che inizia ora a riprendersi dopo essere sprofondato negli ultimi anni. Quale sarebbe la ricetta giusta per rilanciarsi?

“Il Brasile ha bisogno di creare domanda interna e sostenere lo sviluppo delle piccole e medie imprese agricole, che rappresentano il tessuto produttivo brasiliano. Le multinazionali sono però una risorsa, è stato un errore allontanarle, come ha fatto negli ultimissimi anni anche la destra moderata di Temer”.

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