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Brasile, lo scandalo delle privatizzazioni degli anni ’90

Un libro getta una nuova luce sulle privatizzazioni volute dal governo di centrodestra alla fine degli anni ’90: mentre il patrimonio statale veniva svenduto ai privati, la cricca di governo faceva affari d’oro e ingrossava i conti correnti di amici e parenti nei paradisi fiscali.

Brasile, lo scandalo delle privatizzazioni degli anni ’90

Tangenti, lavaggio di denaro nei paradisci fiscali caraibici e l’accusa di aver regalato gli asset strategici del Paese ai privati. Il libro “Privataria tucana”, lanciato poco prima di Natale, in pochi giorni è diventato un best-seller e nelle ultime settimane ha superato le oltre 120mila copie vendute.

Sono serviti 12 anni di inchieste al giornalista Amaury Ribeiro per raccogliere migliaia di documenti che raccontano come le privatizzazioni volute dall´ex presidente Fernando Henrique Cardoso (considerato, a dire il vero abbastanza trasversalmente, un salvatore della patria per aver rimesso in carreggiata, nei primi anni ´90, la disastrata economia brasiliana) siano state di fatto una svendita del patrimonio statale ed un regalo a personaggi legati a filo doppio con membri del governo.

A finire nel mirino è stato il PSDB, il principale partito d´opposizione dell´attuale governo di Dilma Rousseff. Un partito che è già abbastanza indebolito dopo aver perso le ultime tre elezioni presidenziali. E José Serra, sfidante di Dilma alle ultime presidenziali ed ex ministro del governo Cardoso, è uno dei principali accusati di corruzione insieme alla figlia Veronica.

Sui conti correnti di amici e parenti di Serra, tra cui l´ex direttore del Banco do Brasil, sarebbero giunti alla fine degli anni ´90 decine di milioni di euro, in seguito a triangolazioni tra Brasile, Uruguay, Stati Uniti ed Isole Vergini britanniche. Operazioni svolte con società di facciata che avevano il solo scopo di far perdere le tracce e ripulire il denaro. A finire all´asta furono intanto le maggiori imprese del Paese: il gruppo minerario Vale, l´industria aeronautica Embraer, le imprese siderurgiche Usiminas, Compagnia Siderurgica Nazionale e Acesita, oltre al gigante chimico Copesul e alle ferrovie.

Per far digerire le privatizzazioni ai brasiliani, a partire dal 1995, il governo elevò le tariffe dei servizi erogati dalle imprese statali: il costo dell´energia aumentò del 150%, mentre le tariffe telefoniche si impennarono del 500%. Lo Stato riuscì così a piazzare i propri gioielli di famiglia, senza troppe proteste. Il governo Cardoso dichiarò poi di aver incassato ben 85,2 miliardi di reais (circa 35 miliardi di euro) dalla vendita. Ma secondo quanto riportato nel libro, lo Stato avrebbe addirittura pagato per vendere le proprie imprese: tra soldi già contabilizzati ma non iscritti a bilancio, tassi di interesse al 15% sui debiti contratti, ingenti investimenti realizzati poco prima delle privatizzazioni, alla fine lo Stato brasiliano spese almeno 87,6 miliardi di reais, cioè 2,4 miliardi in più di quanto incassato.

Nonostante gli oltre 100 documenti originali riportati nel libro, Serra e Cardoso hanno bollato l´inchiesta giornalistica come “spazzatura” e “collezione di calunnie”. Intanto si è mosso il Parlamento che ha già avviato una Commissione di inchiesta. Eppure, secondo Ribeiro, ci sarebbe stato un “inciucio” tra maggioranza e opposizione per archiviare l´epoca delle privatizzazioni: “Purtroppo ci fu un grande accordo. PT e PSDB fecero un accordo all´epoca per fermare le indagini che cominciavano a dare fastidio per il volume di informazioni contenute”. Anche a sinistra infatti si teme che personaggi legati all´ex presidente Lula possano venire coinvolti nello scandalo. Come ricorda l´autore dell´inchiesta, “non ci sono santi in questa storia”.

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