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Borse ultime notizie: l’accordo sul debito Usa piace alle Borse e alla Fed. E in Europa scendono rendimenti e spread

Le Borse scommettono sul finale positivo della partita politica sul tetto al debito Usa. Porterà tagli moderati alla spesa sociale ma l’economia terrà. Occhi puntati sul voto al Congresso

Borse ultime notizie: l’accordo sul debito Usa piace alle Borse e alla Fed. E in Europa scendono rendimenti e spread

Avanti piano in attesa del voto Usa. È la fotografia delle ultime notizie sulle Borse europee concentrate sul dibattito americano prima del voto sul tetto del debito degli Stati Uniti. Piazza Affari avanza di mezzo punto in linea con gli altri listini. Da segnalare la nuova discesa dei rendimenti dei Btp (4,21%, -3 punti) e dello spread (181 punti).

Borse ultime notizie: bene l’Europa ma l’attenzione è sulla battaglia parlamentare Usa

Un gruppo di rappresentanti repubblicani ha detto lunedì che si opporrà all’accordo per aumentare il tetto del debito degli Stati Uniti di 31.400 miliardi di dollari, in un segnale che indica che l’accordo bipartisan potrebbe incontrare difficoltà al Congresso. Ma le previsioni restano positive: “L’accordo passerà. Non c’è dubbio”, ha detto il  repubblicano Dusty Johnson, aggiungendo di aver parlato con decine di membri del Congresso.  Anche Biden ha detto di aver fatto diverse telefonate. “La sensazione è buona. Vedremo quando inizierà la votazione”, ha detto ai giornalisti. Ma perché questo voto è così importante? 

Il tetto sul debito: perché è così importante

Un po’ di storia. Il debt ceiling, il tetto all’indebitamento, risale al 1917. C’erano da fare continui stanziamenti per la Grande Guerra e non era pratico alzare ogni volta il limite per il funding. Fino ad allora ogni singola emissione obbligazionaria doveva essere preventivamente approvata da una legge del Congresso. Quella che doveva essere una semplificazione da tempo di guerra si trasformò negli anni in una specie di istituzione di garanzia.

Anche nel 2011 gli Stati Uniti arrivarono ad un passo dal default. Nei giorni caldi dello scontro del 2011 la borsa perse il 17 per cento e il paese rimase bloccato. Newt Gingrich, il leader repubblicano del Congresso che avrebbe potuto un giorno candidarsi presidente, si giocò la carriera politica. Solo In extremis Barack Obama e lo speaker repubblicano della Camera riuscirono ad evitare di precipitare nel baratro come in un cartoon di Bugs Bunny. Ma il prezzo per l’economia fu alto: la finanza Usa era ancora alle prese con le conseguenze del default di Lehman Brothers e gli economisti, Lawrence Summers in testa, suggerivano una robusta dose di incentivi fiscali per rimettere in moto il sistema. Ma, al contrario, Obama fu obbligato a praticare una stretta (il 4% del budget) che allungò i tempi dell’uscita dalla crisi.

Il tetto sul debito Usa: una lunga storia e si profila il lieto fine

Stavolta la trama del film è stata assai meno drammatica. E si profila un happy end assicura Marc Zandi di Moody’s: se andrà in porto l’accordo tra i repubblicani e Joe Biden, l’impatto sull’occupazione sarà modesto. Non solo. I tagli, stavolta, favoriranno la stabilità del sistema grazie al contributo alla lotta all’inflazione. A favore di Biden, infatti, gioca la situazione che si è creata nel dopo pandemia. In sintesi, nel 2011 Obama si trovò a tagliare il bilancio nonostante un tasso di disoccupazione vicino al 10% senza peraltro poter contare sull’aiuto della Federal Reserve, visto il livello dei tassi vicino allo zero. Al contrario, oggi lo stesso Biden vede con favore un taglio del budget dall’attuale deficit di 1.700 miliardi di dollari, eredità degli aiuti durante la pandemia, a livelli più difendibili: 55 miliardi di spesa in meno nell’attuale esercizio, 88 miliardi l’anno prossimo.

Un sacrificio modesto che tra l’altro consentirà al settore privato, colpito dalle restrizioni delle banche regionali, lo spazio per riprendere l’emissione di obbligazioni al punto da assorbire la liquidità in eccesso. Facilitando così il compito della Fed che, a differenza di 12 anni fa, può contare su tassi che, a questo punto, non possono che scendere. Di qui l’ottimismo del presidente: “Siamo consapevoli – ha detto Biden in Giappone – che tagliare il deficit dal tetto di 1.700 miliardi non comporterà il rischio di una recessione. Anzi, sarà un fattore di crescita”. Stavolta, infatti, si parte da un tasso di disoccupazione del 3,4% ma anche da un tasso di inflazione ben superiore al 4%. Una ministretta fiscale, capace di ridurre l’ascesa dei prezzi di un buon 0, 25%, non può fare che bene.  

Ma allora perché il durissimo braccio di ferro delle ultime settimane?

Data questa cornice, c’è da chiedersi la ragione del durissimo braccio di ferro delle ultime settimane, che ha comportato un tangibile rischio default. Il conflitto è stato squisitamente politico. Anzi ideologico, visto che una pattuglia di irriducibili “trumpiani”, una sessantina di parlamentari, è comunque ostile a qualsiasi intesa, così come la sinistra democratica è pronta a dar battaglia contro qualsiasi limitazione alla spesa. Più ancora, un mancato accordo taglierebbe le ali a qualsiasi politica del presidente condannando Biden alla sconfitta nella corsa alla Casa Bianca l’anno prossimo. Donald Trump, al contrario, ha chiesto alle truppe dell’Old Party di non aderire domani all’accordo. Ma Kevin McCarthy, speaker repubblicano della Camera, così come larga parte del partito, non vuole scherzare con il fuoco, assumendosi la responsabilità della recessione. Di qui la convinzione che l’accordo tra le parti reggerà.  Ma cosa prevede l’intesa in 99 pagine siglata domenica all’alba?

  • Sono esclusi dai tagli il settore della Difesa (+3%, ovvero 886 milioni di dollari) e l‘assistenza ai veterani. Biden ha accettato tagli sui programmi di assistenza sociale, in particolare i food stamp per l’acquisto di alimenti a favore dei più disagiati, come chiesto dalla controparte. Ridotti anche i programmi di assistenza a minori ed anziani, nonché alla politica sull’immigrazione.
  • Il presidente ha dovuto cedere anche al ricatto del democratico Joe Manchin, il potentissimo rappresentante della lobby del carbone, che ha ottenuto una via rapida per l’approvazione della Mountain Valley Pipeline, un gasdotto in West Virginia e Virginia osteggiato dai gruppi ambientalisti. 

Sacrifici dolorosi, insomma, ma necessari. Ma ora tocca al test dell’aula. Sempre difficile, a Washington come a Montecitorio. 

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