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Borse Sudamerica: si sgonfia l’effetto Milei mentre in Brasile Lula attacca Vale

Inizio di anno turbolento sui mercati delle prime due economie dell’area: l’indice Merval di Buenos Aires perde il 23% dopo la bocciatura della legge omnibus, mentre San Paolo risale timidamente ma Vale diventa un caso politico

Borse Sudamerica: si sgonfia l’effetto Milei mentre in Brasile Lula attacca Vale

Il 2024 è iniziato in chiaroscuro per le Borse latinoamericane, dopo un 2023 sostanzialmente all’insegna del Toro. Il caso più interessante di questa prima parte dell’anno è sicuramente quello dell’Argentina, dove a dicembre è entrato in carica il nuovo presidente Javier Milei, che prometteva una rivoluzione nella gestione delle finanze e dunque con possibili riflessi sulla Borsa. L’indice Merval ha accompagnato la sua cavalcata elettorale, a cavallo tra la seconda metà dell’anno passato e l’inizio di questo, con un certo entusiasmo: da gennaio a gennaio, il listino di Buenos Aires ha guadagnato il 370%, di cui il 65% dall’elezione di Milei in poi. Va detto che la Borsa argentina è legata a fattori nominali come l’inflazione e il cambio col dollaro; dunque, la maxi svalutazione del peso fatta dal nuovo presidente e l’inflazione al record di sempre hanno aumentato i numeri di un rally che però c’è stato, in scia alle promesse di tagli draconiani alla spesa pubblica e di privatizzazione di interi settori dell’economia.

Argentina: la Borsa trema dopo bocciatura alla Legge Omnibus

Tuttavia, dopo la bocciatura della maxi riforma chiamata “legge omnibus”, la luna di miele tra il nuovo presidente, che nel frattempo è stato ricevuto in Italia da Giorgia Meloni e dal Papa, ha subito una battuta d’arresto. Il decretazo è stato prima ridimensionato in Commissione e poi respinto, ad inizio febbraio, in Parlamento, su pressione dei governatori delle province, teoricamente alleati di Milei ma quasi tutti appartenenti al partito liberale dell’ex presidente Mauricio Macri, dalle posizioni più moderate e dunque ago della bilancia al Congresso per arginare le velleità dell’anarco-capitalista che oggi occupa la Casa Rosada. Il provvedimento è stato dunque rispedito in Commissione e questo ha avuto effetti negativi sulla Borsa, che a febbraio ha perso circa il 23%. Milei però non demorde: intanto a gennaio, nel primo mese effettivo di governo, ha incassato il primo avanzo finanziario in 12 anni, con un surplus pari a oltre mezzo miliardo di euro, e poi ha promesso di portare avanti la sua terapia d’urto a suon di decreti, se necessario.

Secondo il presidente argentino infatti il Congresso non sarà un ostacolo: “La legge omnibus – ha detto di recente – rappresentava solo il 25% dei tagli alla spesa pubblica che abbiamo intenzione di fare. Ci sono almeno 3 mila riforme strutturali per le quali potremo procedere per decreto”. E per quanto riguarda i governatori delle provincie, definiti “traditori”, il portavoce della Casa Rosada Manuel Adorni ha fatto sapere che “purtroppo per loro adesso i tagli dovranno essere più drastici e saranno proprio gli enti locali a farne le spese”.

Brasile: San Paolo risale

Diversa la situazione dell’altro grande mercato dell’area, quello brasiliano. L’indice Bovespa di San Paolo, il maggiore dell’America Latina per capitalizzazione, ha iniziato il 2024 sostanzialmente in stallo, risalendo timidamente nelle ultime settimane dopo un gennaio in rosso. A febbraio il listino ha guadagnato lo o,5%, riportandosi a ridosso di quota 130.000 punti base, dopo aver chiuso il 2023 a 134.000. A trainare questa fase rialzista sono innanzitutto le buone notizie sul fronte dell’economia brasiliana, con l’inflazione che a febbraio ha accelerato dello 0,78% rispetto allo 0,31% di gennaio, rimanendo però comunque al di sotto delle previsioni. Inoltre l’aumento del prezzo di alcune commodities, in particolare minerali come ferro e rame, ha favorito non solo la valuta, il real, storicamente sensibile alle oscillazioni delle materie prime (che rappresentano la prima componente dell’export) e che dunque si è rinforzato sul dollaro, ma anche le sorti dei due gioielli nazionali, Petrobras e Vale.

Fino al 27 febbraio Petrobras aveva guadagnato più del 5% in Borsa, salvo poi perdere tutto nell’ultima seduta del mese dopo che il Ceo Jean Paul Prates ha ribadito una politica più cauta sui dividendi, mentre negli ultimi giorni si sono ridimensionati pure i guadagni della mineraria Vale, che martedì scorso in una sola sessione aveva guadagnato il 2,6% ma che poi ha pagato la caduta del prezzo del ferro sul mercato internazionale, dopo una fase in cui era stato alto. Vale, che è la terza maggiore azienda brasiliana per capitalizzazione in Borsa, dietro solo a Petrobras e praticamente alla pari con Banco Itaù, ha tra l’altro pubblicato di recente i conti del quarto trimestre 2023, che per la verità sono stati deludenti, con l’utile in calo del 35% e sotto le aspettative a 2,4 miliardi di dollari, rispetto ai 3,7 miliardi di dodici mesi prima.

Vale diventa un caso politico

Intorno a Vale sono giorni caldi anche dal punto di vista politico: sebbene, a differenza di Petrobras, l’azienda sia a capitale quasi interamente privato (oltre il 91% di cui la maggioranza piccoli investitori, con il fondo Usa Blackrock al 6%), sulla sua gestione è intervenuto polemicamente il presidente Lula, che ha puntato il dito contro il management per l’assenza di strategie e per il numero crescente di disastri ambientali. “La Vale non è la padrona del Brasile, non può pensare di avere più potere del Paese stesso. Chiediamo che i suoi progetti di sviluppo siano coerenti con quelli del governo”, ha arringato il presidente e forse questo ha contribuito al ribasso delle azioni in questa settimana.

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