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Bernabè a Moody’s:”Telecom conferma i target ma paga la scarsa responsabilità della classe politica”

INTERVISTA A FRANCO BERNABE’ – “Paghiamo a caro prezzo la stagnazione economica esacerbata dalla manovra e l’onerosità della asta sulle frequenze, ma centreremo tutti i nostri obiettivi” – “Il quadro economico e politico è deteriorato, ma non tocca ai tecnici il Governo del Paese” – Profumo ok – “Io in politica? No, non è il mio mestiere”

Bernabè a Moody’s:”Telecom conferma i target ma paga la scarsa responsabilità della classe politica”

“Il taglio dell’outlook deciso oggi da Moody’s per Telecom Italia non mette in discussione la bontà delle nostre strategie ma sottolinea la crescita dei rischi derivanti dagli effetti negativi di una stagnazione economica esacerbata dalle misure di austerità. Nonostante questo Telecom Italia riconferma pienamente tutti i suoi target di medio e lungo periodo. Purtroppo paghiamo un prezzo troppo alto al rischio Paese. Franco Bernabè, presidente di Telecom Italia e da vent’anni uno dei più quotati manager italiani, non è affatto sorpreso dal verdetto di Moody’s ma mastica amaro perché è ancora più convinto di prima della validità delle strategie e degli obiettivi del primo gruppo italiano di telecomunicazioni. E ha le idee chiare sugli scenari economici e politici del Paese. Ecco l’intervista che ha rilasciato poco fa a FIRSTonline.

FIRSTONLINE – Presidente, Moody’s ha appena tagliato l’outlook di Telecom Italia. Se l’aspettava e come giudica il verdetto?
BERNABE’ – Il giudizio dell’agenzia di rating è in larga misura il frutto del deterioramento del quadro politico e economico del paese. Purtroppo anche Telecom Italia paga un caro prezzo allo scarso senso di responsabilità della classe politica che si è manifestato appieno sulla manovra economica, resa per noi ancora più pesante dall’onerosità dell’asta sulle frequenze.

FIRSTONLINE – Le ultime novità della manovra e dell’asta costringeranno Telecom a rivedere i vostri target e i vostri obiettivi di deleverage?
BERNABE’ – Assolutamente no. Colgo anzi l’occasione per confermare pienamente tutti i nostro obiettivi e in particolare quelli di riduzione del debito a medio termine (senza l’onere dell’asta) e quelli di lungo periodo che comprendono l’onere per l’asta delle frequenze.

FIRSTONLINE – Ma un gruppo importante come Telecom come fa a convivere con una crisi economico- finanziaria e politica così profonda come quella che sta vivendo l’Italia? Ridimensiona le sue attività, li concentra sui mercati esteri o va ugualmente avanti per la sua strada?
BERNABE’ – Cerchiamo soprattutto di non importare incertezze e sbandamenti dal contesto esterno e di dare punti di riferimento sicuri a tutta la nostra attività. Tutti i nostri programmi e tutti i nostri target sono confermati e continuiamo a lavorare con grande intensità e determinazione per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati. Sono sicuro che dalla crisi un gruppo come Telecom Italia uscirà più forte.

FIRSTONLINE – Proprio il giudizio di Moody’s obbliga a fare qualche ragionamento politico. Dopo gli ondeggiamenti del Governo Berlusconi sulla manovra, si sente parlare della possibilità di voltare pagina con un governo tecnico-istituzionale: Lei che cosa ne pensa?
BERNABE’ – Penso che occorra voltare pagina ma l’idea di rivolgersi a manager, banchieri o imprenditori per mettere in piedi un Governo che risponda ai problemi del Paese sia profondamente sbagliata: siamo di fronte a una crisi epocale e governare vuol dire soprattutto scegliere chi debba fare i sacrifici maggiori. Non è roba da tecnici, è un compito tutto politico.

FIRSTONLINE – Ma in altri tornanti della storia del nostro Paese ci sono stati governi tecnico-istituzionali che hanno fatto benissimo, come ad esempio quello guidato da Carlo Azeglio Ciampi: perché adesso non apprezza l’idea?
BERNABE’ – Perché la crisi di oggi è molto più pesante di quelle di ieri e per risanare il Paese occorrono sacrifici pesanti che graveranno su tutta la popolazione, ma in parti e in misure inevitabilmente diseguali. Ecco perché penso che solo un politico, che sia stato eletto e che abbia il consenso del popolo, possa decidere chi deve fare i sacrifici e in che misura. Governare un Paese non è come gestire un’azienda. Quel che serve oggi è una forte guida politica che abbia una visione chiara e di lungo periodo su dove portare l’Italia.

FIRSTONLINE – Oggi però c’è anche un problema di credibilità: chi governa ce l’ha?
BERNABE’ – Non spetta a me fare le pagelle, mi limito a parafrasare il Financial Times di ieri: se si cambia la manovra ogni settimana vuol dire che non c’è una visione chiara degli interessi generali che il Governo vuole rappresentare.

FIRSTONLINE – Lei è contrario a governi guidati da personalità esterne alla politica, ma anche Berlusconi, quando entrò in politica, era un outsider e un imprenditore: perché allora sì e adesso no?
BERNABE’ – Non solo perché si è sottoposto al voto popolare ma perché Berlusconi non era solo un imprenditore ma rappresentava, a suo modo, una visione politica, il sentiment di un mondo di piccole e medie imprese che esprimeva la voglia di fare e che reclamava dinamismo.

FIRSTONLINE – Per la verità i frutti non si sono mai visti e oggi siamo al fallimento più completo del berlusconismo.
BERNABE’ – Questo è un altro discorso. I fatti non hanno seguito le intenzioni e nel corso del tempo la spinta propulsiva è venuta meno. Ma questo non vuol dire che si debbano cercare soluzioni tecniche alla stasi politica attuale.

FIRSTONLINE – Recentemente Alessandro Profumo si è detto disponibile a impegnarsi in politica se qualcuno glielo chiederà: che cosa ne pensa?
BERNABE’ – Qualunque cittadino voglia impegnarsi per il bene della collettività e intenda sottoporsi al giudizio popolare, e a maggior ragione chi ha dimostrato competenza va giudicato positivamente. D’altra parte, la mia contrarietà a governi tecnici non esclude affatto che si chiamino a raccolta, molto più di quanto si è fatto finora, persone competenti e qualificate perché possano dare il loro contributo di professionalità nell’ambito di un governo politico, a livello di singoli ministeri.

FIRSTONLINE – E se chiamassero Lei?
BERNABE’ – La politica non è il mio mestiere e in Telecom ho ancora tantissimo da fare.

FIRSTONLINE – Oltre che un manager lei è anche un economista: onestamente si può uscire dallo stato di coma di un Paese che non cresce da oltre 10 anni e che ha un debito pubblico tra i più alti al mondo?
BERNABE’ – Guardi che in Italia come in tutto l’Occidente i problemi sono chiarissimi e chiarissima è anche la strada da seguire. Abbiamo vissuto per troppo tempo al di sopra dei nostri mezzi e questo ha generato un eccesso di debito pubblico. Il compito, eminentemente politico, è decidere in quanto tempo vogliamo rientrare da quel debito e chi paga. Vogliamo un risanamento graduale ma lento o un operazione-lampo ma traumatica?

FIRSTONLINE – Lei quale consiglierebbe?
BERNABE’ – Non sta a me dare consigli perché, ripeto, si tratta di una scelta tutta politica. Mi limito alla contabilità dei costi e dei benefici delle due opzioni.

FIRSTONLINE – Sarebbe a dire?
BERNABE’ – Il risanamento graduale è ovviamente il più morbido dal punto di vista sociale ma il rischio è che si rallenti troppo la crescita e che l’economia si avviti in una spirale senza reale via d’uscita come in Giappone. Nel secondo caso, di un risanamento- lampo ma traumatico, i sacrifici sarebbero molto pesanti e diseguali ma con effetti molto rapidi sia sul debito che sulla crescita. Quel che conta è che il Paese prenda coscienza del fatto che una quota importante della ricchezza finanziaria delle famiglie si è realizzata grazie ad un progressivo impoverimento dello stato. Questo non è più sostenibile e dunque va trovato un diverso equilibrio.

FIRSTONLINE – Dalle sue parole pare di capire che la seconda strada sarebbe la migliore: un colpo secco al debito e via con la crescita, anche a costo di ricorrere all’odiata patrimoniale?
BERNABE’ – La patrimoniale è accettabile solo se è una delle componenti del processo di risanamento e rilancio e richiede una rivisitazione del ruolo dello stato e una sana e virtuosa gestione del bilancio pubblico. L’idea di base è che sia meglio giocare d’anticipo e avere un ruolo attivo piuttosto che subire passivamente il ridimensionamento dei patrimoni che inevitabilmente fanno i mercati con la caduta dei prezzi delle attività finanziarie e immobiliari.

FIRSTONLINE – In che senso l’eventuale ricorso all’imposta patrimoniale sarebbe solo una parte dell’operazione di risanamento e rilancio del Paese?
BERNABE’ – La patrimoniale può essere utile per abbattere rapidamente il debito pubblico, ma non è la bacchetta magica. E’ una misura che va collocata all’interno di un chiaro progetto di risanamento e di rilancio dell’economia e della società, di cui siano espliciti gli obiettivi ma anche tempi e modi di realizzazione. Alla gente si possono chiedere sacrifici, ma bisogna saper dimostrare che servono allo sviluppo.

FIRSTONLINE – Lei ha vissuto da vicino altre crisi del nostro Paese: quella di oggi è più o meno grave di quella del ‘92?
BERNABE’
– E’ più grave e diversa. Allora c’erano più margini di intervento e più risorse. Agli inizi degli anni ’90 c’era ancora la lira e c’era la possibilità di ricorrere alla svalutazione e c’erano anche più risorse pubbliche disponibili. Oggi è tutto più difficile. Però guai a lasciarsi sedurre da suggestioni fuorvianti.

FIRSTONLINE – A che cosa si riferisce?
BERNABE’ – All’illusione che si sente talvolta circolare in chi pensa che si stava meglio senza l’euro. Chi ragiona così dimentica che la principale causa dell’esplosione del nostro debito pubblico è stata l’inflazione e gli altissimi tassi di interesse che l’inflazione comportava e che la stabilità e il contenimento dei tassi d’interesse che l’euro ha garantito è un vantaggio enorme per i bilanci pubblici. Non dimentichiamoci che il nostro debito pubblico è denominato in euro e che, se malauguratamente tornassimo alla lira, ripagarlo diventerebbe praticamente impossibile. I sacrifici non ce li toglierà nessuno, ma la via da seguire per uscire dalla crisi è un’altra: euro e riforme strutturali dell’economia che richiedono una lungimirante guida politica.

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