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Bentivogli, l’Italia e il sindacato: viaggio nei prossimi 10 anni

La presentazione del libro del leader dei metalmeccanici della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, apre finalmente una discussione a tutto campo tra economisti, manager, politici e sindacalisti sul futuro dell’Italia e del sindacato – Gli interventi di Bruno Manghi, Franco Bernabè, Carlo Dell’Aringa e Irene Tinagli

Bentivogli, l’Italia e il sindacato: viaggio nei prossimi 10 anni

Come sarà l’Italia e come sarà il sindacato fra dieci anni? Non capita ogni giorno di discutere senza pregiudizi delle ragioni del declino sindacale e della sua possibile rinascita in un mondo che cambia alla velocità del suono e che deve fare i conti con problemi epocali come la globalizzazione, le migrazioni bibliche, il boom di Internet e delle tecnologie e la rivoluzione di Industry 4.0. Ma è quanto è successo ieri a Roma, alla prima presentazione del libro di Marco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl (Fim-Cisl), dal titolo già di per sé graffiante (“Abbiamo rovinato l’Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato”). Merito certamente dello stimolante saggio dell’autore, una delle rare voci sindacali davvero coraggiose e innovative, e merito dei discussant coordinati da Stefano Cingolani, giornalista de “Il Foglio” e cioè di Franco Bernabè, manager di livello internazionale e oggi banchiere, di Carlo Dell’Aringa, grande esperto di problemi del lavoro e oggi parlamentare del Pd, di Bruno Manghi, sociologo e intellettuale di riferimento per il sindacalismo cattolico, e di Irene Tinagli, economista brillante e ora deputato del Pd.

Il dibattito sul libro di Bentivogli ha toccato un’infinità di temi di grandissima attualità sindacale, politica ed economica , di cui è impossibile dare sinteticamente conto ma il cui filo rosso è stato da un lato la riflessione critica sullo spaesamento che attraversa non solo il sindacato ma l’Italia stessa e più in generale l’Occidente e dall’altro l’urgenza di una vision all’altezza delle sfide di oggi e di domani per trovare le giuste risposte ai dilemmi del nostro tempo. In sintesi questi gli interventi.

BRUNO MANGHI – Quello di Bentivogli è un libro scritto con il cuore che si ribella all’autoflagellazione senza costrutto del sindacato, i cui problemi non esistono solo in Italia ma in tutto l’Occidente. Bisogna partire dalla consapevolezza che il ventennio magico del sindacato che va dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta è un stato un ventennio unico e irripetibile e che oggi i problemi sono diversi. Non basta stare sulla difensiva ma per cercare risposte per un sindacato moderno bisogna prima di tutto domandarsi quale sarà lo spazio dell’Italia nel mondo dei prossimi dieci anni.

CARLO DELL’ARINGA – Quando il sindacato era forte, il mondo era diverso e l’inflazione e la produttività crescevano quasi automaticamente. Oggi non è più così: la produttività è troppo bassa e richiede scelte forti; la costruzione del welfare si è interrotta e sono esplose le diseguaglianze; infine, sono venuti a galla problemi internazionali molto complicati. I problemi non si risolvono solo dando lavoro, che pure è essenziale, ma una parte della popolazione si sente esclusa dalla globalizzazione e si ribella. La ricetta per il domani non ce l’ha nessuno ma per il sindacato non sarebbe male riflettere sul modello tedesco che, con la partecipazione e la cogestione, ha raccolto risultati sia sulla produttività e sul welfare che sul funzionamento della Pa e sulla lotta alle diseguaglianze. E’ l’unico sbocco sindacale possibile.

FRANCO BERNABÈ – Non vedo in giro analisi approfondite sui cambiamenti che hanno completamente trasformato l’Italia e sugli effetti che la globalizzazione e le tecnologie hanno avuto sul nostro Paese, a cui si sono aggiunti problemi tutti italiani, come la distruzione della grande impresa e delle grandi infrastrutture dello Stato che permettevano al sindacato di rafforzarsi. In Italia non manca il capitale di rischio ma un sistema Paese per valorizzare l’impresa sia perché il risparmio degli italiani non viene indirizzato al sistema produttivo, sia perché la fiscalità che pesa sulle imprese è penalizzante, sia perché gli Over the Top (da Google a Facebook, a Twitter e a tutti gli altri giganti di Internet) godono di regole molto vantaggiose ma distorsive per gli altri soggetti in campo, e sia infine perché non c’è più la grande impresa mentre la media impresa non ha le dimensioni per competere sul piano internazionale. L’Italia non l’ha rovinata il sindacato ma ricostruirla è molto difficile e qualche autocritica la deve fare anche il sindacato che non ha mai voluto l’applicazione dell’art. 39 della Costituzione. Il primo compito di oggi è ricostruire la classe dirigente del Paese.

IRENE TINAGLI – È vero che siamo in una fase di spaesamento ma questo avviene perché le vecchie classi dirigenti non sono riuscite a capire i cambiamenti in atto. Non ce l’ha fatta la vecchia politica, non ce l’hanno fatta gli imprenditori e non ce l’hanno fatta sindacalisti old style alla Camusso. Per fortuna anche nel sindacato emergono nuove figure come quella di Bentivogli che ha una vision e che vuole il cambiamento, vuole la flex ma anche la security e capisce nuove realtà come il lavoro agile e lo smart working aprendo nuove frontiere. Basta con l’avventura di Tarzan nella giungla del benaltrismo: il cambiamento obbliga a scegliere.

MARCO BENTIVOGLI – La seconda parte del titolo del mio libro (“Perché non si può fare a meno del sindacato”) è un po’ monca perché in realtà si può e si deve fare a meno del sindacalismo burocratico, del sindacato che abusa dei suoi diritti o del sindacato pregiudizialmente d’opposizione, mentre ogni energia deve essere dedicata alla affermazione di un nuovo sindacato che sappia fare i conti con i problemi di oggi e di domani. Nella migliore tradizione della Cisl, noi della Fim, che siamo in crescita di iscritti da 12 anni specie tra gli under 25 e gli under 35, ci battiamo sui contenuti senza essere a priori pro o contro qualunque governo. Per questo non risparmiamo critiche all’azione del governo Renzi ma siamo nettamente a favore del Sì nel referendum costituzionale perché la semplificazione del processo decisionale e il taglio dei costi della politica li abbiamo sempre voluti. Analogamente non siamo per il patriottismo economico e nel caso dell’Ilva vogliamo vedere i piani industriali delle diverse cordate in campo.

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