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Bentivogli (Fim-Cisl): “Renzi, l’alternativa non è tra Camusso e l’establishment”

INTERVISTA DEL WEEKEND a MARCO BENTIVOGLI, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl – “Il sindacato deve sapersi aprire alle nuove generazioni, che rappresentano la vera emergenza del Paese: al congresso della Fim-Cisl proporremo il servizio civile generalizzato e la previdenza integrativa obbligatoria” – “Renzi resta una risorsa ma deve capire che il populismo non va inseguito ma sfidato”.

Bentivogli (Fim-Cisl): “Renzi, l’alternativa non è tra Camusso e l’establishment”

Senza un nuovo sindacato la modernizzazione del Paese resta un’illusione, ma il sindacato deve profondamente cambiare e aprirsi alle nuove generazioni, “che sono la vera emergenza del Paese”. E’ quello che Marco Bentivogli, leader dei metalmeccanici della Cisl e una delle poche voci innovative del movimento sindacale, va ripetendo da tempo e che dirà anche nelle manifestazioni sindacali di questo Primo Maggio. Dopo aver portato a casa uno dei più difficili contratti nazionali dei metalmeccanici, Bentivogli si appresta a mettere in campo proposte coraggiose sul lavoro e sulle pensioni del futuro e ha qualcosa da dire anche a Matteo Renzi: “Resta una risorsa del Paese ma deve convincersi che il populismo va sfidato e non inseguito e deve allargare il campo di chi si batte per il cambiamento: nel sindacato non si può fare di tutte le erbe un fascio e l’alternativa non può essere tra la Camusso e l’establishment”. Ecco l’intervista che Bentivogli ha rilasciato a FIRSTonline in occasione del Primo Maggio.

Bentivogli, i metalmeccanici arrivano quest’anno all’appuntamento del Primo maggio con un nuovo contratto nazionale di lavoro e con il successo degli accordi sindacali negli stabilimenti italiani di Fiat Chrysler, ma anche con numerose crisi aziendali aperte (dall’Alcoa a Piombino): il bilancio di un anno di battaglie sindacali della categoria-guida dell’industria è attivo o è in rosso? 

“Quello dell’ultimo anno di battaglie sindacali dei metalmeccanici è un bilancio sicuramente in attivo, se si pensa che dovevamo rinnovare il più difficile contratto nazionale della storia dei metalmeccanici in un contesto generale, economico e politico, molto problematico. Essere riusciti a firmare un nuovo contratto e averlo fatto, per la prima volta dopo molti anni, in modo unitario e con contenuti di cui tutti hanno riconosciuto la portata innovativa, è un successo indiscutibile che torna a fare del sindacato dei metalmeccanici un riferimento importante per le relazioni industriali, anche se le crisi aziendali aperte non consentono a nessuno di dormire sugli allori. Non scordiamoci, inoltre, che la difesa dell’occupazione, perseguita proprio con la contrattazione in occasione di crisi e ristrutturazioni aziendali, ci ha permesso di salvare 100 mila posti di lavoro in un settore industriale, come quello metalmeccanico, che è stato falcidiato dalla crisi generale che nella nostra categoria ha cancellato 300 mila posti di lavoro”.

Sul tavolo restano però crisi aziendali molto complesse: dopo il primo maggio quale sarà l’agenda e la rotta dei metalmeccanici? 

“La crescita della domanda di acciaio è un segnale congiunturale incoraggiante che può anticipare la ripartenza dell’economia e dell’industria, ma le crisi aziendali sul tappeto sono difficili e impegnative. In primo luogo dobbiamo fare i conti con l’incertezza che continua a dominare la gara finale per l’Ilva e per l’impianto di Taranto che ha bisogno, come il pane, di un piano affidabile di rilancio nella sicurezza. Poi, solo per citare i più rilevanti, ci sono i casi dell’ex Lucchini di Piombino e dell’Alcoa in Sardegna. A Piombino siamo di fronte a un caso clamoroso di inadempienza della proprietà algerina rispetto alla quale il sindacato non ha la minima intenzione di mollare e continuerà la mobilitazione finchè non si intravederà una soluzione positiva per i lavoratori. Qualche speranza in più sembra invece accendersi per Alcoa di fronte ai segnali di interesse manifestati dagli svizzeri della Sideralloys: non abbassiamo la guardia ma forse qualcosa si muove e noi lavoreremo per un accordo di svolta”.

Gli elementi di novità che il contratto nazionale dei metalmeccanici ha introdotto, come il welfare aziendale, lo smartworking, il diritto alla formazione e altri, e lo spostamento del baricentro delle relazioni sindacali verso la contrattazione aziendale, anche per i dipendenti delle Pmi, con l’occhio alla produttività possono essere considerati come primi passi verso un rinnovamento della contrattazione in vista di Industria 4.0 e in direzione di un nuovo modo di fare sindacato? 

“Sì, il diritto soggettivo alla formazione e la revisione dell’inquadramento professionale sono il cuore del nuovo contratto nazionale che non a caso si richiama a quello, storico, del 1973 e che fa i conti con le nuove sfide che Industria  4.0 porta con sé e che richiedono un sindacato capace di comprendere e di misurarsi in modo attivo con cambiamenti epocali in corso in tutto il mondo. Voglio però sottolineare che anche gli accordi difensivi che abbiamo fatto a livello aziendale si muovono nella stessa direzione innovativa e hanno facilitato il reshoring, cioè il rientro in Italia di produzioni prima delocalizzate e che oggi si basano su nuove tecnologie abilitanti che dobbiamo saper governare per conciliare occupazione e innovazione tecnologica, senza scivolare su terreni avventurosi e improbabili come chi vorrebbe tassare i robot o chi pensa a soluzioni assistenziali come il reddito di cittadinanza”.

Sul piano generale la Fim-Cisl si è battuta nei mesi scorsi a sostegno della riforma costituzionale, che però il referendum del 4 dicembre ha bocciato, e per il miglioramento dei voucher, che invece il referendum promosso dalla Cgil ha spinto il Governo a cancellare: quanto pesano queste due sconfitte dell’ala riformatrice sul rinnovamento dell’intero movimento sindacale? 

“Purtroppo il nostro Paese è storicamente sotto lo scacco delle variopinte coalizioni del “non fare” che di fronte ai problemi rifiutano ogni discussione di merito e scelgono la comoda via dell’immobilismo e del conservatorismo, anche se ammantata dei più improbabili proclami demagogici. Sulla riforma costituzionale si può avere qualunque idea, ma è incontrovertibile che la riforma del Titolo V che disciplina i rapporti tra Stato e Regioni avrebbe reso più efficace l’Anpal come veicolo di una politica attiva del lavoro. Quanto ai voucher, non occorre essere profeti per immaginare che la loro abolizione totale finirà per alimentare il lavoro nero. Sono questioni molto serie su cui riflettere se si vuole intercettare, non solo a parole, la fortissima domanda di cambiamento che viene dai lavoratori e dai giovani, ma che rischia di restare a mezz’aria”.

Fra due mesi si terrà il congresso nazionale della Fim-Cisl che è stata finora una delle poche voci innovative e anticonformiste in un movimento sindacale spesso incapace di risolvere la dicotomia tra antagonismo e riformismo: quali saranno gli assi portanti del vostro congresso? 

“Al centro del congresso della Fim-Cisl, che terremo a Roma dal 7 al 9 giugno, ci saranno le nuove generazioni, che rappresentano la vera emergenza del Paese e che rischiano di essere tagliate fuori dal mondo del lavoro e da ogni forma di protezione sociale presente e futura. Il sindacato deve aprirsi e andare oltre i cancelli delle fabbriche, nelle quali un’intera generazione non è mai riuscita ad entrare. Ecco perché pensiamo a sviluppare l’alternanza scuola-lavoro e proponiamo un servizio civile generalizzato, che non ha nulla a che fare con il reddito di cittadinanza, ma che si propone di conciliare nel concreto lavoro e solidarietà. Questo è anche il motivo per il quale proponiamo l’obbligatorietà della previdenza integrativa.  Per un sindacato degno di questo nome pensare meno alle pensioni di oggi e pensare di più a chi la pensione rischia di non averla mai o di averne una del tutto insufficiente non è un optional ma è un dovere morale,  prima ancora che politico e sindacale”.

Domenica 30 aprile Matteo Renzi si avvia, salvo imprevisti, ad essere nuovamente incoronato come segretario del Pd: dal punto di vista sindacale che politica si aspetta da Renzi 2.0? E’ ancora il leader che può rilanciare la politica delle riforme o la sconfitta nel referendum e la tenuta del M5S sono destinate a metterlo fuori gioco? 

“E’ indubbio che Matteo Renzi resti una risorsa del Paese ma spero che rifletta sugli errori compiuti e faccia tesoro dell’esperienza. Mi auguro che, come sta facendo Macron in Francia, Renzi si convinca che il populismo va sfidato e non inseguito, anche a costo di qualche fischio. E spero che ritrovi il coraggio non solo di riprendere il cammino delle riforme e della modernizzazione dell’Italia ma anche di allargare il fronte di quanti si battono per un reale cambiamento, a cominciare dal sindacato, che certamente deve essere rifondato ma nel quale non si può fare di tutte le erbe un fascio. L’alternativa non può essere tra la Camusso e le élite della finanza. Ci sono molte altre energie che possono essere messe in campo per la modernizzazione dell’Italia, il rinnovamento del sindacato e il rinnovamento del Paese vanno di pari passo: noi ne siamo profondamente convinti e sarebbe un bel passo avanti se su questa linea si attestasse anche il nuovo corso di Renzi”.

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