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Bankitalia: imprese, meno fallimenti che nel pre-Covid

Secondo un recente studio di Bankitalia, nel nostro Paese i fallimenti delle imprese nel 2020 e nel 2021 sono stati minori che prima del Covid – È l’effetto dei robusti sostegni adottati dai governi, che hanno permesso una sostanziale tenuta del sistema – Ecco come si sono distribuiti geograficamente i fallimenti

Bankitalia: imprese, meno fallimenti che nel pre-Covid

Secondo uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia a firma (e ad esclusiva responsabilità) di Tommaso Orlando e Giacomo Rodano (ambedue del Servizio Struttura economica, Divisione Economia e diritto), nonostante la pandemia da Covid-19 abbia avuto un impatto significativo sull’economia italiana, con un calo del PIL dell’8,9 percento nel 2020, si sono verificati nel 2020 rispetto al 2019 un numero inferiore di fallimenti e, più in generale, di uscite dal mercato. Una tendenza, questa, confermata anche nel 2021. Va da sé che su questi dati ha influito la sospensione delle istanze di fallimento. Tuttavia, secondo lo studio, ha avuto un ruolo importante anche l’insieme di misure di sostegno alle imprese adottate dai governi.

Il ricorso alle diverse misure di supporto è stato più intenso nei settori produttivi maggiormente colpiti dallo shock economico conseguente al Covid. Potremmo aggiungere quindi che, a posteriori, emerge un ulteriore esito non previsto, dopo quello riguardante l’occupazione: non vi sono stati i massicci ricorsi ai licenziamenti, dati per certi in numeri di vera e propria emergenza sociale, da parte delle organizzazioni sindacali. Anzi, magari con un eccessivo connotato esistenziale, le risoluzioni dei rapporti di lavoro, dopo la fine del blocco dei licenziamenti economici, avvengono in prevalenza attraverso le dimissioni volontarie dei lavoratori più qualificati ed inseriti stabilmente nei processi produttivi. Inoltre, la difficoltà di trovare manodopera adeguata è uno degli handicap che gravano sulla ripresa produttiva.

Lo studio conferma – dal lato delle imprese – una sostanziale tenuta del sistema, grazie anche agli interventi di sostegno adottati nel corso della crisi. Il risultato principale dell’analisi è che il numero dei fallimenti e quello delle uscite dal mercato è stato nel 2020 inferiore a quello del 2019, rispettivamente del 33 e 27 per cento. Tali diminuzioni risultano particolarmente marcate tra marzo e giugno, quando era in vigore una moratoria sulle istanze di fallimento. Tuttavia, a testimonianza di un notevole impatto complessivo degli interventi pubblici a contrasto degli effetti della pandemia, anche nel 2021 – precisa la Nota – il livello dei fallimenti si è mantenuto al di sotto di quello del 2019.

Nel 2020, infatti, il numero di imprese fallite risultava significativamente inferiore a quello degli anni precedenti; hanno avviato, infatti, una procedura concorsuale liquidatoria poco meno di 7.400 imprese, a fronte di quasi 11.000 nel 2019 (un calo di circa un terzo). In aggiunta alle dichiarazioni di fallimento, anche l’andamento delle istanze di fallimento, nel 2020 sono diminuite di circa un quarto rispetto al 2019. Le imprese uscite dal mercato, sempre nel 2020, sono diminuite rispetto al 2019 di circa il 27 per cento: da 70.000 a 50.000. Analizzando la dinamica mensile di fallimenti dichiarati, istanze di fallimento e uscite dal mercato avvenuti dal primo trimestre del 2020 si nota come gran parte del calo sia concentrato nel secondo trimestre dell’anno, corrispondente ai primi mesi di pandemia.

È la moratoria sulle istanze di fallimento, rimasta in vigore sino alla fine di giugno 2020, che spiega in parte la significativa riduzione, in tale periodo, delle istanze e dei fallimenti. Nei mesi successivi al primo lockdown, il numero di fallimenti e uscite, pur in significativo incremento, si è mantenuto in generale al di sotto dei livelli del 2019. È possibile – secondo gli autori – che il blocco delle istanze di fallimento fino a giugno 2020 abbia contribuito al calo dei fallimenti anche negli ultimi due trimestri del 2020: l’istanza – chiarisce la Nota – quando dà luogo a una dichiarazione di fallimento, tipicamente la precede di circa quattro mesi. Tuttavia, è improbabile, secondo gli autori, che tale effetto si protragga più a lungo.

Da un lato, nel terzo trimestre del 2020 si nota già un parziale rimbalzo delle istanze di fallimento, che crescono rispetto allo stesso trimestre del 2019, tornando però nell’ultimo trimestre del 2020 a un livello inferiore a quello riferito all’anno precedente. Dall’altro, data la durata limitata delle istanze di fallimento, è difficile che la loro sospensione sia una determinante significativa del minore numero di fallimenti dichiarati nel 2021 rispetto al 2019. In base ai dati disponibili, nei primi tre trimestri del 2021 i fallimenti dichiarati sono circa l’85 per cento di quelli osservati nei corrispondenti trimestri del 2019, le istanze di fallimento sono pari all’80 per cento e le uscite dal mercato al 75 per cento.

Le analisi condotte su precedenti episodi di ciclo economico negativo hanno stimato l’elasticità istantanea (nello stesso anno) e posticipata (negli anni successivi) del numero dei fallimenti alle variazioni del PIL. Ciò ha consentito di elaborare alcuni scenari di evoluzione dei fallimenti a breve termine, secondo i quali, in assenza dell’intervento del governo, il numero di fallimenti nel 2020 avrebbe potuto superare le 12.000 unità, quasi 4.800 in più rispetto a quelli effettivamente osservati. Queste evidenze giustificano – secondo lo studio – un impatto significativo delle misure pubbliche di supporto economico alle imprese durante la pandemia. Per approfondire ulteriormente il ruolo delle misure di sostegno, lo studio si avvale di informazioni a livello di impresa per analizzare: (1) se lo shock economico dovuto al Covid ha cambiato la composizione delle imprese fallite e uscite dal mercato rispetto al periodo precedente la pandemia; (2) come il ricorso alle misure di supporto è associato alle variazioni di fallimenti e uscite dal mercato.

Non risultano variazioni di rilievo in termini di composizione dimensionale, riferita al numero dei dipendenti. Per quanto riguarda la collocazione geografica, si registrano solo contenuti aumenti del peso delle imprese del Nord sul totale dei fallimenti e delle uscite. Tra i fallimenti è lievemente diminuita la quota di imprese con sede in regioni del Centro; tra le uscite è diminuita la frequenza di imprese situate nel Mezzogiorno. Anche le differenze nella distribuzione tra i settori di attività produttiva appaiono di entità contenuta. Ad esempio, si rileva una diminuzione della quota di fallimenti e uscite del comparto del commercio, a fronte di un aumento negli altri settori di servizi. Non si osservano, tuttavia, variazioni di rilievo – anche se si percepisce il contrario – nel peso dei settori associati al turismo e alle attività ricreative, tra i più colpiti dalla crisi pandemica.

Data l’entità della crisi, in assenza dell’intervento del governo – osserva la Nota – la quota di imprese fallite o uscite dal mercato sarebbe aumentata nella maggior parte dei settori produttivi, in particolare in quelli maggiormente colpiti dallo shock. Il loro numero è invece diminuito. Se l’intervento del governo fosse stato distribuito uniformemente tra i diversi settori produttivi, i fallimenti e le uscite dal mercato sarebbero diminuiti di meno nei settori maggiormente colpiti. Invece, la correlazione a livello di settore produttivo tra la riduzione nella quota dei fallimenti e delle uscite dal mercato e l’intensità dello shock Covid risulta pressoché nulla.

Vista la diversa intensità dello shock, è plausibile ritenere che ciò sia la conseguenza non solo dell’impatto positivo delle misure di sostegno, ma anche del fatto che il loro effetto è stato proporzionale all’intensità dello shock stesso. Quanto alle misure adottate, la Nota ritiene che si sia verificata una effettiva correlazione tra l’intensità della riduzione dei fatturati nel primo trimestre di pandemia e alcune delle principali misure di supporto, quali la moratoria sui prestiti, che ha consentito alle PMI di rinviare le scadenze per il pagamento di montante e interessi su diversi tipi di contratti di debito; la garanzia statale, completa o parziale a seconda dell’ammontare, sui prestiti; i contributi a fondo perduto, erogati a imprese che avevano riportato un calo dei ricavi maggiore di un terzo.

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