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Banche, ci vorrebbe una road map per rimodellare il sistema

La bufera di questi giorni ha messo in evidenza la fragilità delle banche italiane e la rischiosità del credito – Ci vorrebbe una road map per indicare il percorso di una riconfigurazione industriale del sistema bancario – L’importanza dei fondi di garanzia, a condizione che le buone banche non siano costrette a mettere risorse in banche decotte – La qualità dell’informazione va migliorata

Banche, ci vorrebbe una road map per rimodellare il sistema

Le affermazioni di solidità del sistema bancario italiano provenienti da Governo, Autorità di settore, professione bancaria, singoli intermediari sembrano ispirate a forti dosi di emotività più che a razionalità, quasi espressioni da tifosi di un nuovo sport, il bancoagonismo. Alle incitazioni dei tifosi, non sempre purtroppo corrispondono i risultati conseguiti dalle squadre.

Alla domanda “Specchio, specchio delle mie brame, quali sono le banche più solide del reame (europeo)”, gli arbitri, senza dubbio non imparziali (mercato, altri sistemi, istituzioni sovranazionali), non sono per nulla convinti di confermare questo nostro ripetitivo self assessment.

La querelle con la Commissione Europea è al centro di questo clima di incertezza, lasciando poche chances di rinegoziare le normative, appena introdotte, sul bail in, dopo che a partire dal 2013 e fino alle ultime settimane del 2015 gli indirizzi della politica bancaria europea sono stati da noi sottovalutati; e ciò, nonostante che al vertice delle nostre istituzioni fossero seduti conoscitori profondi dei punti di forza e di debolezza del sistema bancario italiano.

Che questa possibilità sia al momento invero remota, lo dimostrano le resistenze che già si incontrano sul tema della mutualizzazione delle garanzie sui depositi. Quanto al mercato, esso ha finora attribuito relativa attendibilità alle operazioni di razionalizzazione e consolidamento, preannunciate, smentite e annunciate di nuovo con cadenza quasi giornaliera. Molte di queste operazioni sono, tra l’altro, promosse dagli stessi manager, le cui gestioni il mercato stesso ha inesorabilmente bocciato.

La circostanza potrà difficilmente aiutare per passare dagli annunci ai fatti. Numeri impietosi testimoniano dell’alta rischiosità del credito delle nostre banche (capacità di produrre sofferenze su scala ben maggiore di tutti gli altri sistemi) e della bassa redditività per la pesantezza delle componenti strutturali (sovradimensionamento delle organizzazioni e delle reti distributive, frazionamento degli operatori, scarsa specializzazione produttiva, bassi investimenti in tecnologia, carenze di conduzione dei vertici) dell’industria nel suo complesso.

Non si è fermata neanche la protesta dei risparmiatori colpiti dalla crisi delle quattro arcinote piccole banche, la cui gestione non ha brillato per efficienza, anche per i tempi fuori misura con cui si sono governate le situazioni, una volta conclamate. Sono tutti d’accordo che si debba evitare di proiettare il tema della fiducia dei risparmiatori oltre quelle situazioni, pena aprire la questione della effettiva protezione del risparmio degli italiani.

Si è invece a conoscenza di fenomeni (anche se per ora non se ne sa l’esatta dimensione) di trasferimento di depositi dagli intermediari più a rischio verso quelli più solidi. Alcune banche hanno promosso campagne sui media, volte a presentare i propri parametri di solidità patrimoniale, secondo modalità informative fino a un paio di mesi fa del tutto sconosciute ai risparmiatori.

Viene il dubbio che, di fronte a fenomeni di disaffezione della clientela, simili iniziative sollevino più dubbi che rassicurazioni. Si vorrebbe a questo punto che gli elementi di preoccupazione fossero contrastati da una più efficace politica bancaria, volta a scongiurare altre crisi del tipo di quelle sperimentate nel 2015. Alcuni ben noti casi ci dicono che purtroppo non è così, facendo tornare di attualità l’esigenza di una guidata riconfigurazione industriale del sistema bancario italiano.

Esiste una road map che possa indicare il cammino o ci affideremo per lo più alle taumaturgiche capacità di selezione del mercato? La lunga crisi economica ha accentuato i caratteri bancocentrici della intermediazione, producendo un ulteriore di disallineamento in termini di costi allocativi e operativi rispetto ad altri sistemi nostri concorrenti. Anche il mantenimento di complicate peculiarità nazionali (per esempio, nella autoriforma in fieri del sottosistema del credito cooperativo) si rifletterà probabilmente sui costi a carico di risparmiatori e prenditori del credito.

Una novità necessitata dai nuovi vincoli europei in materia di risoluzione delle crisi bancarie è rappresentata dalla costituzione all’interno dei due Fondi di garanzia dei depositi previsti per legge (Fondo di Tutela dei Depositi e Fondo di Garanzia dei Depositanti, che sembra un gioco di parole, ma che va letto invece come un doppione che gli altri paesi non hanno) di altrettanti fondi a contribuzione volontaria da parte delle banche aderenti per intervenire a sostegno dei soggetti più deboli.

L’attività è stata resa più accettabile grazie ad alcuni benefici fiscali introdotti dalla legge di stabilità per questo tipo di contribuzioni. Ancorché intervenuta in extremis, dopo l’opposizione della Commissione europea alla prosecuzione di interventi di salvataggio compiuti obbligatoriamente degli associati ai due Fondi, l’iniziativa può introdurre importanti elementi nella prevenzione e nella gestione delle crisi.

Per attirare risorse dai potenziali sovventori, faranno premio sia fattori di trasparenza sia la capacità di intervenire precocemente. Saranno probabilmente approntati modelli con indicatori andamentali e predittivi, ma soprattutto andranno messi a punto efficaci interventi correttivi sul tema dei rischi, in primis, di quelli di credito.

La condizione vera di funzionamento sarà quella di evitare che banche buone mettano indiscriminatamente le proprie risorse a vantaggio di banche già da tempo decotte, in nome di qualche principio solidaristico o di altre ingiustificate motivazioni.

In caso contrario, i fondi volontaristici rappresenteranno un altro fattore di costo, che andrà ad aggiungersi a quelli introdotti con le Direttive comunitarie sulla risoluzione delle crisi bancarie e sui fondi di garanzia, con il primo pesante aggravio sperimentato sui bilanci bancari del 2015. Ma, più probabilmente, avranno probabilmente vita breve.

Una volta che l’intermediario vi sarà volontariamente iscritto, il commitment verso politiche di buon governo della banca dovrà essere mantenuto e assoggettato a verifica, pena l’esclusione dalla copertura del fondo e la comunicazione al pubblico del grado di rischiosità accumulato dalla banca e del suo mancato adeguarsi a indirizzi di maggiore prudenza. Ciò dovrebbe migliorare la qualità generale dell’informazione, contribuendo ad una più efficace selezione delle situazioni di anomalia.

Anche se questo nuovo strumento avrà finalità proprie rispetto a quelli delle Autorità di controllo (difficilmente potranno essere queste a stilare periodici elenchi di banche da cui il risparmiatore farebbe bene a stare alla larga), non potranno non esservi aree di benefica sovrapposizione con l’attività delle autorità di vigilanza, che, davanti alle critiche, basa spesso la propria linea di difesa, lamentando una dotazione di strumenti tecnico/giuridici inadeguata per poter intervenire precocemente e con efficacia.

Il punto sul quale riflettere è proprio quello dell’informazione, perché le ragioni sottostanti anche ai violenti fenomeni di volatilità dei titoli azionari di questi giorni, prima di essere ricercate in non ben identificate manovre speculative, debbono poter escludere che la vera causa non sia invece la qualità non certo eccezionale dell’informazione che promana dalle banche medesime. Questa in fondo sembra la vera dimensione della loro fragilità.

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