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Argentina e Brasile: la crescita c’è ma pesano debiti, dazi e incognite politiche

Le previsioni economiche per il biennio 2018-19 stimano una crescita media del +3,0% (Argentina) e +2,7% (Brasile), tuttavia a pesare – oltre alle incognite politiche -sono sempre disavanzo di bilancio (previsto al -6,0%) e debito pubblico. Senza dimenticare il rischio di dazi all’importazione da parte dell’attuale amministrazione USA – VIDEO.

Argentina e Brasile: la crescita c’è ma pesano debiti, dazi e incognite politiche

Per Argentina e Brasile un conto è la politica, con tutte le sue turbolenze, e un altro conto è l’economia. Come di recente riportato da Atradius, l’economia argentina – malgrado la svalutazione del peso che alla fine è costata il posto al Governatore della Banca centrale che aveva provato a fermarla con tre vistosi e ravviicnati aumenti dei tassi – nel corso dello scorso anno ha registrato una ripresa (+2,8%) e i progressi delle riforme strutturali dovrebbero sostenere una crescita ancor più rapida e ampia nel biennio 2018-19 (+3,0% in media), trainata da investimenti, export e domanda di consumo. Ora l’accesso ai mercati dei capitali da parte di amministrazioni e imprese locali appare più solido: tuttavia, sebbene le prospettive di crescita a medio e lungo termine siano in miglioramento, le previsioni a breve termine preoccupano ancora gli analisti e permangono significativi rischi di ridimensionamento, sia per la ripresa dell’inflazione e che per le oscillazione del cambio derivanti dal dollaro. Sono, infatti, necessari ulteriori sforzi per ridurre il disavanzo di bilancio al fine di rafforzare la ripresa economica, favorire il processo di disinflazione, stimolare gli investimenti esteri diretti e rafforzare le riserve ufficiali di valuta.

A causa di considerazioni prettamente politiche come dissidi sociali e mancanza di maggioranza in seno al Congresso da parte della coalizione di governo, in Argentina la stretta fiscale dovrebbe continuare a essere solo graduale e i disavanzi di bilancio dovrebbero attestarsi a una percentuale superiore al 5% del Pil nel biennio 2018-19, con un ulteriore aumento del debito pubblico. E la struttura del debito, finanziato al 73% in valuta estera, rende le finanze pubbliche sempre più vulnerabili ai rischi di cambio e di rifinanziamento. 

Inoltre, la ripresa della domanda interna accompagnata dall’aumento delle importazioni (soprattutto di beni strumentali a seguito dell’abolizione dei controlli sui capitali) ha determinato un aumento dei disavanzi delle partite correnti, finanziati principalmente dagli afflussi di portafoglio. Finora questo tipo di finanziamento non ha costituito un problema, tuttavia l’Argentina rimane vulnerabile ai cambiamenti del clima di mercato. Seppur migliorata in seguito all’emissione di obbligazioni internazionali e all’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, la liquidità rimane limitata e insufficiente a soddisfare il fabbisogno finanziario esterno lordo: ciò manterrà il peso sensibile ai cambiamenti del clima di mercato e gli analisti prevedono che il tasso di cambio si deprezzi ulteriormente nel 2018. Senza dimenticare che, a livello strutturale, l’Argentina resta vulnerabile a causa dell’elevata dipendenza dai prodotti base, laddove i prodotti agricoli costituiscono il 50% delle esportazioni, uno stock relativamente elevato di capitali di portafoglio interni e debolezza delle istituzioni deboli. L’attuale ripresa potrebbe infine essere ostacolata da eventuali imposte statunitensi sulle importazioni e da interferenze nei flussi di scambi commerciali a livello globale. 

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Se diamo invece uno sguardo al Brasile, su cui pure incombono nubi politiche, nel 2017 il Paese è uscito da una forte recessione (+1,0% del Pil), grazie all’aumento delle esportazioni e alla ripresa dei consumi privati. Nel corso del biennio 2018-19 la crescita del Pil dovrebbe accelerare a oltre il 2,7% medio annuo, sostenuta da un ulteriore incremento dell’export e dei consumi, nonché degli investimenti. Tuttavia, come nel caso argentino, un rischio all’aumento dei flussi commerciali potrebbe arrivare dai dazi all’importazione statunitensi e da perturbazioni dei flussi commerciali mondiali. Nel contesto attuale sia gli investimenti che i prestiti sono favoriti dall’allentamento della politica monetaria, in quanto un netto calo dell’inflazione ha consentito alla Banca Centrale di abbassare gradualmente il tasso di interesse di riferimento dal 14,25% nell’ottobre 2016 al 6,50% dello scorso marzo. 

Le insolvenze delle imprese brasiliane sono aumentate significativamente nel 2015 e nel 2016, ma a partire dallo scorso anno i casi di recupero giudiziale sono diminuiti del 24%, mentre i fallimenti richiesti sono diminuiti dell’8%. Grazie alla ripresa economica le insolvenze dovrebbero diminuire ulteriormente nel 2018, tuttavia rimanendo sempre su livelli elevati. La ripresa è stata fortemente sostenuta dalle politiche economiche più ortodosse dell’attuale amministrazione tese a migliorare le finanze pubbliche, accrescere il clima di fiducia degli investitori e aumentare la produttività: tra queste misure possiamo osservare modifiche costituzionali volte a frenare la crescita della spesa pubblica, alleggerire gli oneri normativi, modernizzare i rapporti di lavoro e le riforme fiscali.

Ma, nonostante ciò, il contesto economico brasiliano resterà difficile, data la fragilità dell’ambiente politico e amministrativo, l’elevata disoccupazione e la necessità di un adeguamento della politica fiscale. Il disavanzo di bilancio rimane la principale debolezza economica del Brasile, con un debito pubblico che dovrebbe passare dal 56% del Pil del 2014 a oltre l’80% del Pil previsto il prossimo anno. Per il momento, il fatto che la maggior parte del debito pubblico sia finanziata internamente (85%) e in valuta locale (95%) a una scadenza media di quasi sette anni attenua il rischio di cambio, di rifinanziamento e di insolvenza del debito sovrano. Mentre l’adozione di un emendamento costituzionale per eliminare la crescita automatica della spesa di bilancio in linea con gli aumenti dell’inflazione è un passo cruciale per contenere la spesa, come riportato dal Report Atradius, il vero problema è rappresentato dal sistema pensionistico, in quanto la spesa ammonta attualmente a un terzo del bilancio federale prima del pagamento degli interessi, stimato al 9% del Pil. E, dal momento che qualsiasi riforma pensionistica richiede un emendamento costituzionale (per la cui approvazione è necessaria una maggioranza di tre quinti in entrambe le camere del Congresso), e anche a causa del fatto che lo scorso febbraio il governo ha ritirato una proposta di riforma pensionistica a causa della mancanza di sostegno parlamentare, nessuna legge corrispondente sarà approvata prima delle elezioni del prossimo ottobre.  

Complice uno stock di afflussi di investimenti di portafoglio relativamente elevato, il Brasile resta un Paese vulnerabile alla mutevole fiducia degli investitori. Inoltre, l’attuale incertezza politica manterrà la moneta vulnerabile ai cambiamenti del clima di mercato tanto che un ulteriore deprezzamento del real nei confronti del dollaro nel corso di quest’anno. Ciononostante, un settore finanziario forte e un fabbisogno di rifinanziamento esterno relativamente basso consentono al tasso di cambio flessibile di fungere da ammortizzatore degli shock, mentre al momento gli investitori non sembrano preoccuparsi eccessivamente per l’improbabilità di una riforma globale delle pensioni a breve termine, il che riduce il rischio di un improvviso allentamento della fiducia. Secondo le stime Atradius, la situazione finanziaria esterna del Brasile dovrebbe mantenersi solida: il debito estero è tuttora piuttosto modesto e la liquidità è più che sufficiente a coprire importazioni e fabbisogno di rifinanziamento esterno. Per il 2018 si prevede un aumento del disavanzo delle partite correnti in seguito alla crescita delle importazioni, sebbene questo sarà pienamente coperto dagli IDE. Negli ultimi anni, il debito in valuta estera è aumentato a causa del forte incremento del debito societario, arrivato al 60% circa del debito totale in valuta estera. Nel 2016 il livello si è tuttavia stabilizzato e due terzi del debito in valuta estera sono costituiti da debito infragruppo, meno esposto ai rischi di rifinanziamento. Ecco allora che la maggior parte delle imprese con debiti esterni ha coperto il proprio rischio di cambio o ha accesso a consistenti riserve di valuta estera. 

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