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Appalti, Ichino: “Non si difendono i lavoratori ingessando i posti di lavoro”

Il senatore del PD critica alcune modifiche apportate dalla Camera al codice degli Appalti e in particolare quella che prevede l’obbligo di assunzione dei lavoratori già impiegati in precedenza nel medesimo appalto.

Appalti, Ichino: “Non si difendono i lavoratori ingessando i posti di lavoro”

Il Ddl di riforma del Codice degli appalti sarà discusso dall’Aula del Senato nella settimana da martedì’ 15 a venerdì 18 dicembre, dopo l’esame della riforma della Rai. Questo quanto stabilito dalla Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. 

Il provvedimento, tornato in Senato dopo le rilevanti modifiche con apportate alla Camera, e si trova attualmente all’esame della commissione Lavori Pubblici dove non mancano le polemiche su alcuni cambiamenti effettuati da Montecitorio, prima fra tutti l’intenzione di introdurre nel sistema dei criteri di aggiudicazione degli appalti alcune regole che impongono l’utilizzo di manodopera o personale a livello locale già impiegata in precedenza nel medesimo appalto.

Molto critico in particolare il senatore Pietro Ichino (PD), che nell’ambito della Relazione alla 11ma Commissione Permanente, Lavoro e Politica sociale, ha sottolineato il fatto che la suddetta disposizione contrasti insanabilmente “con il principio europeo della libera circolazione delle persone e dei lavoratori in particolare”, rivendicando la necessità di sopprimere un vincolo che impedirebbe a molte aziende il regolare svolgimento dei lavori, nonché l’assunzione di personale qualificato, bloccando de facto il mercato. 

Il senatore ha inoltre messo in discussione la norma relativa alla continuità dei livelli occupazionali in ottemperanza ai principi di economicità dell’appalto. Secondo Ichino, la norma vanifica la libertà di concorrenza imponendo “a tutte le imprese di svolgere una determinata attività con un determinato numero di dipendenti, con la conseguenza sostanziale di impedire che una maggiore produttività pro capite sia perseguita attraverso l’applicazione di nuove tecnologie e/o nuove forme di organizzazione del lavoro.”

Ichino ha inoltre ricordato la sentenza della Corte di Giustizia del 10 dicembre 1991 che ribadisce il divieto di normative nazionali tali da indurre le imprese a non servirsi “della tecnologia moderna, con conseguente aumento dei costi delle operazioni e ritardi nella loro esecuzione”.

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