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Andrea Pasqualucci spariglia le tagliatelle alla puttanesca fra Roma e Napoli

Andrea Pasqualucci chef del ristorante stellato Moma a Roma rivoluziona in gusto e tecnica un classico regionale delle due cucine sostituendo le seppie con le tagliatelle. La divertente origine della puttanesca fra le allegre signorine di Roma e Yvette la Francese trasferitasi dalla Provenza all’ombra del Vesuvio

Andrea Pasqualucci spariglia le tagliatelle alla puttanesca fra Roma e Napoli

Per chi si interessa del mondo del food come lavoro – e nello specifico fa il critico dell’enogastronomia – con la riapertura dei ristoranti e naturalmente delle cucine ha potuto notare, nel giro del ripasso, delle piacevoli sorprese e scoprire come molti chef o cuochi non hanno mai smesso di pensare, elaborare, sperimentare nuove creazioni e ricette e anche di reinterpretare il “vecchio” ma intramontabile percorso storico delle cucine regionali.

E cosa c’è di più formidabile che ricordare al palato pietanze storiche ma con una piccola rivoluzione degli ingredienti usati e una attenta tecnica per comporre il piatto. Questo è quello che ha pensato e riproposto Andrea Pasqualucci, con un piatto superclassico e storico come gli “Spaghetti alla puttanesca” o semplicemente “aulive e cchiapparielle”, piatto tipico della cucina napoletana, creato con sugo, pomodoro, olio d’oliva, aglio, olive nere di Gaeta, capperi e
origano.

Ma c’è anche la versione romana che prevede l’aggiunta di un altro ingrediente fondamentale: le acciughe sotto sale. Si sa per esperienza che le guerre in cucina una volta accesi i fuochi, i cuochi si confrontano sulle tecniche e la lavorazione dei prodotti usati, che in questo caso sono le paste: la formazione napoletana gioca con spaghetti, v ermicelli o linguine, quella romanarigorosamente con la penne lisce (oltre ai classici spaghetti).

Pasqualucci spariglia tutte e due le combinazioni. Per questa sua riproposta, in cucina, gioca con il ruolo di centravanti e si smarca con una serie di dribbling dalgià visto e provato, va in porta e fa goal con la sua personale Puttanesca, senza pasta ma con le tagliatelle di seppia. Questa la sua nuova ricetta. Giudicate voi: seppie locali del litorale laziale, abbattute e cotte sotto vuoto, freddate e poi ridotte in tagliatelle fini. Il sugo è ricavato da pelati bio sottovuoto a 55gradi tutta la notte insieme ad aglio, alici, aceto, sale e zucchero, capperi e semi di coriandolo, tutto senza olio.

Alla fine si passa tutto al setaccio per ricavarne unasalsa liquida. Una volta rigenerata la seppia a temperatura ambiente, si aggiunge olio extra vergine e si inpiattano a nido le tagliatelle corredate di olive taggiasche,
alici di Anzio, aglio confit e polvere di capperi e origano greco. Si completa il piatto versando il liquido di pomodoro caldo. Per noi al test, è stato un “wow” di assoluto piacere.

Sarebbero piaciute molto anche agli ospiti delle case di appuntamento di tutte e due le città… Ripercorriamo un po’ di storia per capire da dove deriva il termine “puttanesca”, bizzarro nome dato a questo piatto? Anche qui, due sono le
versioni.

Secondo la tradizione romana, agli inizi del ‘900, un oste ideò questo piatto appositamente per i visitatori di una casa di appuntamenti che si trovava nella periferia di Roma. Per questo la pasta alla puttanesca diventa ricetta tipica romana. Una versione molto simile è quella raccontata dal noto esperto digastronomia, Arthur Schwartz, che nel suo libro “Naples at table” ipotizza invece che la pasta alla puttanesca sia nata a Napoli, e più precisamene nei Quartieri Spagnoli. All’inizio del XX secolo, il noto rione napoletano era infatti sede di attività di ogni tipo, tra cui alcune case di piacere. Un giorno il proprietario di una di queste “allegre dimore” decise di rifocillare i suoi ospiti inventandosi un piatto semplice e veloce, e fu così che pensò a questa pasta dal nome colorito.

Altri fanno riferimento ai colori vistosi e stravaganti degli indumenti intimi delle ragazze della casa e i tanti colori di q uesto abbigliamento si ritroverebberonell’omonima salsa: il verde del prezzemolo, il rosso dei pomodori, il viola scuro
delle olive, il grigio-verde dei capperi, la tinta granato dei peperoncini.

Altri ancora sostengono, invece, che l’origine del nome sia da attribuire alla fantasia di una ragazza di vita Yvette la Francese, una prostituta provenzale piuttosto spiritosa che, dopo aver ideato questo piatto, gli affibbiò questo nome in onore del suo mestiere: “pasta aulive e cchjapparielle” (olive e capperi).
Ora quale sia la vera storia di come nasce questo straordinario piatto ci fa sorridere e, perché no, ci piace tanto in tutte le sue versioni.

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