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Alstom-Siemens, la concorrenza fa bene alla competitività

La bocciatura della fusione tra Alstom e Siemens ad opera dell’Antitrust europeo ripropone la contrapposizione tra politica industriale e concorrenza degli anni ’70 ma da allora la percezione del rapporto stretto tra concorrenza nel mercato e competitività dell’industria non è cambiata – Il campione europeo e il ruolo dei cinesi infiammano il dibattito

Alstom-Siemens, la concorrenza fa bene alla competitività

Il dibattito che si sta sviluppando intorno alla decisione dell’Antitrust europeo di vietare la fusione tra Alstom e Siemens ripropone una contrapposizione tra politica industriale e concorrenza, che pensavamo fosse rimasta retaggio degli anni ‘70 del secolo scorso.

Al netto delle considerazioni relative agli effetti sui consumatori, il ragionamento della Commissione, che ha vietato l’operazione con voto collegiale, pur se su proposta del Commissario alla Concorrenza Vestager, è in fondo molto semplice. Alstom e Siemens sono i due duopolisti nel mercato europeo dei treni ad alta velocità, in cui operano offrendo modelli tra loro in diretta concorrenza: alternative non ve ne sono, come ci si può rendere conto frequentando le stazioni ferroviarie europee. Inoltre sono leader nei mercati extra-europei aperti alla concorrenza (che escludono Cina, Giappone e Corea). Questa concorrenza ha dato luogo ad un mercato molto dinamico ed innovativo.

La concentrazione darebbe luogo ad un sostanziale monopolio nel mercato del materiale rotabile ad alta velocità. Inoltre, Siemens ed Alstom sono anche tra i maggiori operatori nel settore del segnalamento ferroviario. La loro concentrazione darebbe luogo ad una indubbia posizione di leadership. Leadership che sarebbe ulteriormente rafforzata dal fatto nella moderna tecnologia ferroviaria vi è una stretta connessione tra segnalamento e conduzione del treno, e quindi un monopolio nel mercato del rotabile inevitabilmente rafforza la leadership nel mercato del segnalamento.

Tutto ciò impedirebbe l’entrata di potenziali concorrenti, ridurrebbe la capacità di competere di quelli esistenti e condurrebbe alla monopolizzazione o quasi-monopolizzazione dei mercati. Ciò inevitabilmente darebbe anche luogo a una sostanziale riduzione della loro dinamicità: la concentrazione darebbe certo luogo ad un aumento dei margini delle imprese ma ridurrebbe anche la spinta all’efficienza ed all’innovazione. Di fronte a queste valutazioni, anticipate alle imprese molti mesi fa, evidentemente le imprese non sono state in grado di proporre modifiche che riducessero i rischi che questa produrrebbe.

Né la Commissione ha ritenuto che la posizione di monopolio derivante dall’operazione avrebbe potuto essere “sfidata” da eventuali concorrenti extra-europei, e in particolare cinesi:  è vero che Alstom e Siemens e i governi francese e tedesco hanno sostenuto che l’operazione mirava a contenere la minaccia concorrenziale all’orizzonte proveniente dai produttori cinesi e in particolare la CRRC, che stanno sviluppando un sistema ferroviario di quel paese, con tecnologie innovative e godendo di sostanziali aiuti pubblici: ha però scontato che la minaccia fosse troppo lontana per giustificare i costi in potenziale perdita di efficienza e di capacità innovativa.

In sostanza l’operazione finirebbe per indebolire e non per aumentare la capacità competitiva delle imprese europee. Significativamente queste conclusioni sono state esplicitamente condivise dalle autorità di concorrenza di sei paesi europei tra cui quella francese e quella tedesca.

E qui si registra il conflitto con la visione di politica industriale che è alla base dei governi francese e tedesco: visione secondo la quale l’industria europea deve rafforzarsi per competere con le imprese extra-europee che, grazia alla globalizzazione, stanno venendo a minacciarle, quando già non lo stiano facendo. E questo anche attraverso concentrazioni che rafforzino posizioni di mercato e consentano politiche più ampie di investimento. In particolare, nel caso ferroviario, pensano che sia necessario un “campione europeo” per competere con i produttori e specialmente con quelli cinesi, attualmente completamente integrati nella gestione di rete, infrastruttura e materiale rotabile, e che inoltre godono di sussidi pubblici che lo rendono un ancor più temibile concorrente già ora e soprattutto in prospettiva. Le imprese europee devono rafforzarsi, e per questo la concentrazione sarebbe fondamentale.

Insomma, si contesta alla Commissione di aver limitato la sua analisi a ciò che accade alla concorrenza sul mercato, europeo o in quelli comunque aperti alla concorrenza internazionale, senza tener conto del contesto complessivo della competizione globale. Fino al punto di suggerire un cambiamento dei criteri, basati esclusivamente sulla concorrenza, che per trent’anni hanno guidato il controllo delle concentrazioni europeo.

Insomma, un ragionamento non troppo diverso da quello che negli anni ’70 spingeva ad auspicare “campioni nazionali” che potessero confrontarsi con le imprese degli altri paesi europei nell’ambito del mercato continentale in via di integrazione. Sappiamo come è finita allora: nel diverso contesto di un mercato che si è globalizzato, ma in cui stanno emergendo anche blocchi con regole interne, in particolare per quello che riguarda la normativa antitrust degli aiuti di stato, molto diversi, come è il caso dell’Europa e delle Cina, può ritenersi che le valutazioni debbano essere differenti? È certamente un problema complicato, il cui peso non può però essere riversato sull’uso di un solo strumento, il controllo delle concentrazioni.

Alla fine il punto centrale è quale sia il ruolo della concorrenza nel mercato nell’incentivare lo sviluppo della struttura industriale. Le analisi degli anni ’80 per esempio quella di Michael Porter, giunsero alla conclusione che la concorrenza aveva un ruolo fondamentale anche in mercati protetti. Porter individuò tra i fattori di successo dell’industria automobilistica giapponese, dl tutto protetta negli anni ’70, il fatto che dietro le barriere tariffarie le numerose imprese automobilistiche giapponesi competessero accanitamente tra di loro, il che le aveva portate a raggiungere livelli di efficienza e di innovazione che avevano consentito loro di affermarsi all’estero anche nel decennio successivo in un contesto di mercato globalizzato. Il fattore di successo quindi era la concorrenza e non la protezione.

Analisi più recenti, come quelle della professoressa Mazzuccato, che pure suggeriscono un ruolo del settore pubblico rilevante nel determinare il successo delle economie industriali, specie in settori innovativi, non pongono in questione il ruolo rilevante della concorrenza tra imprese nel determinare quanto efficacemente gli stimoli pubblici siano poi effettivamente sfruttati.

Il controllo delle concentrazioni, in Europa come negli Usa e nell’insieme dei sistemi economici più avanzati, è basato sulla percezione che tra concorrenza nel mercato e competitività dell’industria vi sia una relazione stretta: è dubbio che il dibattito che sta nascendo dalla decisione della Commissione su Alstom-Siemens ci dia elementi per cambiare idea.

°° L’autore è stato il Segretario Generale dell’Antitrust italiano nella sua prima fase di attività

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