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AIIB (Asian Infrastructure Investment Bank) sfida la leadership Usa

L’adesione a sorpresa di tutta l’Europa all’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) promossa dalla Cina è un segno dei tempi e un altro passo verso un mondo multipolare che scalfisce l’egemonia USA – AIIB è una sfida alla World Bank a guida americana ma anche al Giappone e contribuirà a spostare il baricentro economico – Ecco i suoi probabili effetti

AIIB (Asian Infrastructure Investment Bank) sfida la leadership Usa

La storia non si ferma mai. E oggi deve ricredersi chi pensava che, con il crollo dell’impero sovietico, sarebbe stato un gioco da ragazzi per gli USA mantenere la leadership globale. A un quarto di secolo dalla caduta del muro di Berlino, infatti, nel mondo si va configurando un assetto di leadership multipolare. Lo testimoniano due eventi di queste settimane. Sul versante politico, il raggiungimento dell’accordo sul nucleare iraniano segna un punto di svolta gravido di conseguenze per l’intera fascia del Medio Oriente, del Nord Africa e non solo. Sul versante economico-finanziario sta accelerando l’istituzione dell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), istituzione finanziaria multilaterale che, al di là delle edulcorazioni diplomatiche, si pone in alternativa sia alla World Bank, a controllo USA, che alla Asian Development Bank, da sempre egemonizzata dal Giappone. In quel che segue cercherò di dire perché e come l’AIIB rappresenta un punto di svolta per gli equilibri globali.

Le scorse settimane hanno riservato due notizie importanti circa l’AIIB, l’istituzione multilaterale per il finanziamento delle infrastrutture e degli investimenti a lungo termine voluta dalla Cina. Da un lato, dopo mesi di stallo in cui gli USA (e il Giappone) erano riusciti a evitarlo, i principali paesi europei (e persino Israele) si sono resi disponibili come soci fondatori dell’AIIB, che nasce su iniziativa cinese. È stato proprio il Regno Unito, l’alleato di sempre degli USA in Europa, a rompere lo stallo prontamente seguito da Germania, Francia, Italia, Israele e altri. Dall’altro lato, la Cina ha accettato il principio che lo statuto dell’AIIB non le conferisca il diritto di veto, diritto di cui invece dispongono ancora gli USA sulle istituzioni finanziarie internazionali di Washington (cioè l’International Monetary Fund e la World Bank).

Il coinvolgimento quali co-fondatori dell’AIIB da parte dei principali paesi europei ha due effetti. Primo, il cuore dell’economia mondiale si sposta ulteriormente dall’Atlantico al Pacifico. Secondo, diviene palpabile come la leadership americana non sia più monocratica. In altri termini sta accadendo quel che avevamo presagito da tempo: il mondo attraverserà una fase di leadership multipolare. Si poteva preconizzare da anni, vista soprattutto la crescita prorompente della Cina, ma non è mai facile prevedere quando gli equilibri preesistenti si romperanno. Da questo punto di vista, il caso AIIB pare proprio uno spartiacque. Da oggi è chiaro che accanto agli USA c’è un’altra potenza globale, la Cina. E non era per nulla scontato che ciò accadesse, quantomeno così velocemente, perché non era detto che la Cina volesse assumere un ruolo globale e anche le resistenze potevano durare più a lungo. Difficile dire se il processo di multilateralizzazione si fermerà a due giocatori. Certo l’Unione Europea e anche l’Eurozona restano entità ancora troppo astratte per potersi proporre come protagonisti al tavolo della leadership mondiale. Più probabile, se il suo sviluppo non subirà contraccolpi importanti, che lo faccia l’India.

Tra le molte considerazioni che il nuovo scenario suscita, mi limiterò a formularne tre. In primo luogo se, come lasciano presagire le adesioni europee, l’AIIB sarà un’esperienza di successo, essa potrà anche favorire lo sviluppo della piazza finanziaria cinese come hub finanziairo globale e, al contempo, accelerare l’internazionalizzazione del renmimbi. Necessariamente ciò andrebbe a ridurre il ruolo di valuta internazionale di riferimento esercitato in via preponderante dal dollaro USA e in misura minore dall’euro. In secondo luogo, le esperienze storiche del passato fanno dubitare che gli assetti di leadership multipolare siano stabili. Le due Guerre Mondiali hanno testimoniato l’impossibilità, nel Novecento, di comporre pacificamente l’ascesa economica tedesca al fianco degli imperi britannico e francese. Perciò quella fase multipolare si è chiusa con l’affermarsi della leadership USA, che ne mantenevano l’esclusiva su tutto il mondo non assoggettato all’egemonia dell’URSS.

La terza e ultima considerazione deriva dalla seconda. Cosa rende, a lungo andare, una leadership sostenibile? Già prima della caduta della cortina di ferro, Paul Kennedy, studiando l’ascesa e la caduta degli imperi nella storia mondiale aveva identificato due tratti essenziali. Da un lato, l’esercizio della leadership presuppone la supremazia tecnologica, che in genere si estende anche a quella militare. Dall’altro, i conti del paese leader – sia il debito pubblico che quello con l’estero – debbono essere in ordine. Guardando agli USA e alla Cina di oggi si nota una contraddizione tra i due elementi in gioco. Gli USA hanno la supremazia tecnologica e militare, però non hanno i conti in ordine. Il ritorno della crescita economica americana è avvenuto in un contesto in cui gli USA hanno continuato ad accumulare debito pubblico e indebitamento estero. La stabilità dell’assetto di leadership multipolare richiede quindi il ridimensionamento degli squilibri americani, soprattutto nel debito estero.

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