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Ai Weiwei sulla Cina di Xi: né il capitalismo né Internet potranno liberare il popolo cinese

In un recente intervento sul New York Tines l’artsta dissidente cinese Ai Weiwei, che sta esponendo a Venezia una scultura di 9 metri e due tonnellate e mezzo, illustra riflessioni amare e pessimistiche sulla Cina ed evidenzia gli errori di valutazione dell’Occidente

Ai Weiwei sulla Cina di Xi: né il capitalismo né Internet potranno liberare il popolo cinese

Abbiamo tutti visto com’è andato il congresso del Partito comunista cinese, suggellato dalla imbarazzante rimozione fisica dal suo alto scranno di Hu Jintao, capo dello Stato dal 2002 al 2012, e dal suo claudicare verso l’uscita senza prima, però, mettere in scena un gesto di grande significato politico: ha passato la mano a mo’ di affettuoso congedo sulla spalla di Li Keqiang, l’ex primo ministro estromesso dal politburo e unica reale alternativa a Xi Jinping. Si sa che già nel 2012, quando lasciò la presidenza, Hu avrebbe preferito Li a Xi come successore.

Nei giorni del congresso il “New York Times” ha ospitato nella pagina OpEd un intervento dell’artista dissidente Ai Weiwei. L’artista cinese sta esponendo (fino al 27 novembre) a Venezia nella chiesa di San Giorgio Maggiore alla Giudecca una scultura di nove metri e di due tonnellate e mezzo di peso. Una installazione che solo lui poteva concepire e poteva realizzare in tre anni di lavoro per la personale denominata “La commedia umana”.

Si chiama “Candelabro” ed è composta da 2mila pezzi di vetro nero soffiato a Murano che raffigurano ossa umane, teschi e telecamere di sorveglianza. Il candelabro, paradossalmente, non fa luce ma riflette e irradia quella che proviene dalle vetrate della chiesa. L’installazione è un vero e proprio ossario sospeso, un memento mori, che vuole spronarci a combattere per la libertà e contro il controllo diffuso (le telecamere) per che è foriero di morte (le ossa, i teschi). Un’opera che riflette drammaticamente la fragilità delle società e delle nostre stesse esistenze. Ma è anche un’invocazione alla vita e alla lotta per la libertà.
Carmelo Grasso, direttore dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore, ha detto che l’opera di Ai Wewei “valorizza la vita, paradossalmente, attraverso la morte”.

Il riferimento implicito alla situazione in Cina appare evidente in questa straordinaria opera e in questa sua personale che raccoglie opere alle quali l’artista ha iniziato a lavorare dal 2008.

Una campagna dietro l’altra

Le riflessioni di Ai Weiwei, anche di natura storica e personale, sull’esperienza del comunismo in Cina sono alla base queste opere della “Commedia umana”. Il riferimento alla storia recente della Cina sembra più che attuale visto il ritorno di un certo maoismo nella visione, nei valori e nell’azione del nuovo gruppo dirigente cinese. Proprio quel maoismo che il padre di Ai Weiwei e lo stesso artista avevano conosciuto molto bene e patito nelle loro persone.

L’artista cinese esordisce nel suo intervento sul quotidiano di New York con una tesi molto precisa. Questa. Il governo del Partito comunista cinese è stato sempre contrassegnato da un’azione ininterrotta per modellare le menti dei cinesi secondo le necessità dello Stato e del partito, uniti in un legame inscindibile.
Al Grande balzo in avanti, la campagna di industrializzazione avviata nel 1958 che ha portato una carestia devastante, è seguita la Rivoluzione culturale del 1966-76, una enorme crociata politica che ha messo la Cina in ginocchio. Dopo ne sono molte altre ancora, alcune più dannose di altre, tutte le campagne avevano lo scopo di realizzare qualche obiettivo politico, sociale o economico del momento. L’effetto cumulativo di queste campagne, dice Ai Weiwei, rappresenta la più grande conquista del Partito comunista. Ha infatti ottenuto una simbiosi perfetta tra un governo totalitario e una popolazione sottomessa e rassegnata.

La campagna zero Covid

L’operazione “zero Covid” del governo cinese, che dura da tre anni, potrebbe essere la peggiore di tutte le sue campagne, afferma Ai Weiwei. Si tratta di un affronto alla scienza e al buon senso che ricorda la scelleratezza e il carattere farsesco della Rivoluzione culturale. I funzionari e i cittadini di tutta la Cina si stanno ricoprendo di ridicolo per eseguirla. Intere città vengono chiuse anche in caso di limitati focolai, vengono condotti test sul pesce e altri prodotti alimentari, automobili e persino materiali da costruzione.
Questa politica insensata ha portato caos e sofferenza alla popolazione cinese, che è stata ripetutamente segregata, punita per aver saltato i test e umiliata nella sua libertà di movimento. Moltissime persone hanno perso il lavoro o chiuso la loro attività. Quando Chengdu, una città di 21 milioni di persone, è stata chiusa a settembre, ai residenti è stato proibito di lasciare gli appartamenti anche in caso di terremoto.

Le varie campagne di controllo di massa del passato sono andate, venute e assorbite, ma questa avrà conseguenze durature a causa dell’aspetto nuovo e pericoloso costituito dalla tecnologia di sorveglianza, introdotta a livello nazionale, per combattere il Covid. I cittadini hanno iniziato a essere monitorati e tracciati dalle autorità per controllare i loro movimenti e le loro attività allo scopo di limitarli e indirizzarli.
Le autorità governative hanno usato questo sistema di tracciamento e di sorveglianza per impedire alle persone di partecipare a una protesta nella Cina centrale lo scorso giugno. I funzionari sono stati poi redarguiti, ma resta il fatto, a giudizio di Ai Weiwei, che il governo dispone di un sistema che Mao Zedong avrebbe potuto solo sognare. Si tratta di un sistema basato su dati e algoritmi per monitorare e controllare la popolazione.

L’errata valutazione dell’Occidente

L’Occidente ha sbagliato sulla Cina. A lungo ha creduto che il capitalismo, l’emergere di una classe media e internet avrebbero portato la Cina ad avvicinarsi al canone occidentale. Ma queste idee non possono nemmeno iniziare ad attecchire in Cina perché il Partito comunista non ha mai permesso la formazione del terreno intellettuale necessario per farle germogliare. E non lo farà mai. Non esistono neppure le condizioni storiche perché ciò possa avvenire.

“Le menti cinesi non sono mai state veramente libere, sono state sempre asservite”, scrive Ai Weiwei. Per la maggior parte degli ultimi duemila anni la Cina è diventata uno Stato monolitico e centralizzato dove si è affermata un’etica di sottomissione tra governante e governato. Questo rapporto non è mai stato messo in discussione. Non è possibile alcun cambiamento di questo stato di cose; ci si aspetta che l’umile popolo cinese si limiti a obbedire. E questo è quello che è avvenuto, avviene ed avverrà.

L’azione di Mao

Quando il Partito Comunista prese il potere nel 1949, nacque la speranza, purtroppo effimera, di una nuova fase nella storia della Cina. Ai Qing, in padre di Wewei, all’epoca uno dei maggiori poeti cinesi, aveva aderito con entusiasmo al partito. Ma Mao seppe abilmente volgere a suo favore l’antica dinamica di potere della Cina, consacrando il partito come nuovo sovrano assoluto indiscusso. Come molti intellettuali, il padre di Ai Weiwei fu presto oggetto di attacchi durante le ripetute campagne politiche di Mao per eliminare coloro che osavano pensare in modo indipendente. La vita spirituale, intellettuale e culturale della Cina si spense.

Nel 1957, anno di nascita di Ai Weiwei, Mao lanciò la campagna contro la destra. Il padre fu etichettato come elemento destrorso e, diventato il bersaglio di furiosi attacchi pubblici, fu costretto con la famiglia al confino politico in un luogo desolato della remota regione dello Xinjiang. Alcuni suoi coetanei si suicidarono.

Una mentalità di resa

Durante la Rivoluzione culturale Ai Qing subì un altro attacco frontale. Fu fatto sfilare per le strade con un berretto da somaro e pubblicamente messo alla gogna. Racconta Weiwei che una sera tornò a casa, esausto, con il volto annerito dopo che una guardia rossa, durante un comizio politico, gli aveva versato l’inchiostro di un calamaio in testa. Nessuno aveva preso le sue difese. Scosso da quella prova d’impotenza, rassegnazione, sottomissione e conformismo del popolo cinese, il padre di Ai Weiwei decise di accettare la sua sorte e di andare avanti. Si trattò di una resa. Il popolo cinese vive ancora oggi con questa mentalità di capitolazione.

L’esperienza diretta di Ai Weiwei

Nel 2011 Ai Weiwei si scontrò con le autorità cinesi dopo aver criticato il governo. La polizia lo minacciò di “fargli fare una brutta fine” e di mettere in piazza le assurde accuse che gli aveva mosso, come l’evasione fiscale, per screditarlo. Ai Weiwei allora sfidò la polizia affermando che il popolo cinese non avrebbe mai creduto alle loro bugie. “Il 90% ci crederà”, gli disse l’ufficiale che lo interrogava. In Cina, dove tutta la “verità” viene dal partito, è molto difficile che possa essere diversamente e, scrive Ai Weiwei, “quell’ufficiale aveva ragione”.

Tre anni dopo, in occasione di una mostra d’arte a Shanghai, le pressioni del governo locale portò alla brusca rimozione del suo nome dal novero degli espositori. Nessuno degli artisti cinesi che esponevano le loro opere, molti dei quali conoscevano bene l’artista dissidente, si fece avanti per difenderlo.
Nell’ultimo decennio le cose sono solo peggiorate. Le autorità hanno soffocato le residue tracce di pensiero indipendente, annichilito la società civile cinese e imbalsamato il mondo accademico, dei media, della cultura e degli affari.

Il miraggio della ricchezza

Milioni di cinesi sono orgogliosi della crescente ricchezza e della forza della Cina moderna. Ma questa sensazione di benessere è un miraggio sorretto da guadagni materiali esteriori, dalla costante propaganda sul declino dell’Occidente e dalla soppressione della libertà intellettuale.
La Cina sta decadendo moralmente sotto l’influenza del partito. Nel 2011, riferisce Ai Weiwei, una bambina di due anni fu investita da due veicoli nel sud della Cina e lasciata ferita e sanguinante sulla strada. Diciotto persone passarono senza fare nulla, alcune addirittura sterzarono per evitarla. La ragazza è poi morta. Non pensare, non essere coinvolti, andare oltre questo è il sentimento prevalente
La libertà si basa sul coraggio e sull’assunzione di rischi. Ma la stragrande maggioranza della popolazione cinese sente che la resistenza, anche a livello filosofico, è impossibile e che la sopravvivenza personale dipende dalla conformismo. La gente si è ridotta a un nevrotico servilismo. Tutti si mettono in fila come pecore per i test del coronavirus o fanno razzia di cibo prima delle improvvise chiusure.

La libertà e la soggettività non possono mai essere completamente soppresse. E nessun Paese, per quanto forte possa apparire, può davvero prosperare senza diversità di opinioni. “Ma non c’è speranza – conclude Ai Weiwei – per un cambiamento fondamentale nel mio Paese finché il Partito comunista sarà al potere”.

°°°Fonte: Ai Weiwei, Capitalism and the Internet Will Not Free China’s People, The New York Times, 20 ottobre 2022

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