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Africa, il 70% della popolazione ha meno di 30 anni e cresce

Da ISPI a EY passando per FMI e Nazioni Unite, tutti concordano come l’Africa rappresenti le maggiori opportunità per gli IDE: sono presenti il 65% delle risorse naturali del pianeta, il 70% della popolazione sotto i 30 anni e un potere di spesa nelle grandi città che nel 2030 sarà pari a 1,3 trilioni di dollari.

Africa, il 70% della popolazione ha meno di 30 anni e cresce

Secondo le ultime previsioni del World Economic Outlook, pubblicate dal Fondo Monetario Internazionale, le economie dell’Africa subsahariana stanno continuando la ripresa avviata lo scorso anno, dopo il rallentamento del biennio 2015-2016. L’analisi ISPI riporta che l’anno in corso si chiuderà con una crescita pari al 3,1%, per poi salire al 3,8% nel 2019. Un contesto internazionale meno aperto potrebbe tuttavia avere un impatto sulle prospettive di crescita del prossimo anno: la dinamica di commercio e industria si è al momento arenata e i prezzi di diverse materie prime sono diminuiti a causa del l’escalation USA-Cina che ha indebolito la domanda globale. Senza dimenticare l’intensificarsi delle pressioni dei mercati finanziari sul debito di alcuni Paesi di fronte al rafforzamento del dollaro.

L’Africa si estende per più di 30 milioni di km2, rappresenta un territorio immenso e ricco di risorse naturali che si stima contenere non solo il 65% delle risorse naturali del pianeta (oro, petrolio, rame, ferro, bauxite, terre rare, ecc.), ma anche enormi estensioni di terra coltivabile. Inoltre, se confrontata con gli altri continenti, la popolazione è giovanissima e in crescita vertiginosa: il 70% degli africani ha meno di 30 anni, e dagli 1,2 miliardi attuali si passerà a fine secolo a oltre 4 miliardi di abitanti, sempre più urbanizzati. Dal punto di vista economico, negli ultimi 15 anni si sono fatte strada una maggiore diversificazione delle attività produttive e una migliore politica fiscale: inoltre, molte economie africane hanno iniziato ad attuare politiche anticicliche, attenuando l’impatto economico derivante dalla volatilità dei prezzi delle commodity. Allo stesso tempo, le infrastrutture stanno migliorando rapidamente: in tutto il continente sono in costruzione nuovi aeroporti, strade, porti e centrali elettriche. In un contesto dove, negli ultimi venti anni, stiamo assistendo a un’importante riduzione dei conflitti armati e un miglioramento delle condizioni politiche e dei principali indicatori sociali.

In questo scenario, il vero motore della crescita del continente sono stati gli investimenti. Favoriti da bassi tassi di interesse, gli IDE pubblici e privati hanno dato un forte impulso alla domanda interna e al rapido sviluppo del terziario, in particolare per quanto riguarda commercio, trasporti e telecomunicazioni. Secondo dati UNDESA, nel 1980 solo il 22% degli africani viveva in centri urbani: oggi il dato è salito al 40% ed entro il 2030 si prevede che arriverà al 47%, con le 18 città più grandi che avranno un potere di spesa combinato pari a 1,3 trilioni di dollari. In molti mercati l’urbanizzazione sta stimolando la crescita delle infrastrutture con conseguenti aumenti di produttività, economie di scala e sfruttamento di economie esterne. Gli analisti stimano che il continente africano supererà l’India in termini di forza lavoro entro il 2040, quando la popolazione includerà ben 1,1 miliardi di persone in età lavorativa.

I consumi delle famiglie dovrebbero crescere in media del 3,8% all’anno per raggiungere i 2,1 trilioni di dollari nel 2025, mentre la spesa totale delle imprese sarà ancora maggiore, passando da 2,6 a 3,5 trilioni di dollari entro il 2025. Le imprese locali, infine, stanno crescendo a ritmi serrati. Secondo McKinsey, si contano almeno 400 imprese con un fatturato superiore al miliardo di dollari, per un giro d’affari complessivo pari a 1,2 mld nel 2015. Diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, solo il 30% dei ricavi sono realizzati da imprese che operano nel settore delle risorse naturali, mentre solo due quinti sono quotate in borsa e poco meno del 30% di esse sono multinazionali.

Tuttavia, non mancano posizioni più caute rispetto alle prospettive di crescita del l’Africa subsahariana. Secondo alcuni studiosi, l’attuale modello di sviluppo è molto diverso da quello che ha favorito la crescita in Europa e Asia: la forza lavoro locale si sta spostando dall’agricoltura e verso le zone urbane, ma il ritmo dell’industrializzazione in atto è troppo lento perché le dinamiche di convergenza previste dalla teoria economica classica abbiano effettivamente luogo. Le difficoltà da parte delle economie africane nell’assorbire la gran massa di migranti interni provenienti dalle campagne fa sì che questi trovino impiego soprattutto nel settore dei servizi a bassa produttività ed in attività collegate all’economia informale.

Secondo il FMI, la dinamica del PIL nel corso del triennio 2018-20 dovrebbe rimanere robusta, sostenuta da investimenti infrastrutturali, nella parte occidentale del continente guidata da Costa d’Avorio e Senegal che cresceranno a ritmi del 6,8% annuo. Allo stesso tempo, le prospettive sono migliorate anche nella maggior parte dell’Africa orientale: da sottolineare la crescita del Kenya stimata a +6,3% tra gli anni 2019-23, trainata da investimenti e consumi interni, e soprattutto dell’Etiopia. Quest’ultima rappresenta l’economia più dinamica della regione, con una crescita stimata dell’8% sostenuta dagli investimenti pubblici in infrastrutture e dalle riforme a favore degli IDE provenienti in particolare dalla Cina, ma anche, come dimostra il caso del gruppo Calzedonia, da PMI con piani di sviluppo lungimiranti che puntano alle opportunità offerte dal continente africano.

Ecco allora che, come ogni anno, la società di ricerca Quantum Global Research Lab ha pubblicato l’Africa Investment Index (AII) allo scopo di fornire agli investitori una guida dei mercati migliori del continente per investire o avviare un’attività. I criteri presi in considerazione comprendono, tra gli altri, le copertura sui pagamenti delle importazioni, il saldo delle partite correnti, la stabilità delle aziende locali, la facilità nel fare impresa, posizione geografico, flusso di IDE, la presenza o meno di un ambiente favorevole all’innovazione e allo sviluppo economico, urbanizzazione e tasso di crescita del PIL. Dalla graduatoria emerge come il Paese più attraente per investire in Africa sia il Marocco, seguito da Egitto, Algeria e Botswana. I primi cinque Paesi del ranking nel complesso sono riusciti ad attirare IDE per 13,6 miliardi di dollari. E, stando ai dati dell’ultimo Rapporto Ernst&Young (EY), l’Italia è il primo Paese europeo per valore degli investimenti diretti esteri realizzati nel 2016 in Africa, con un totale di 20 progetti per complessivi 4 mld di dollari: il 4,3% del totale degli IDE nel continente, dietro a Cina, Emirati Arabi Uniti e Marocco.

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