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Afghanistan, Politi: “L’emergenza profughi è la questione centrale”

Intervista ad ALESSANDRO POLITI, Direttore della Nato Defense College Foundation – “Se non salvi chi è stato dalla tua parte, nessuno al mondo vorrà mai più collaborare con te” – “Chi siano davvero i talebani di oggi lo scopriremo solo vivendo, però non sottovalutiamoli” – “Gli Usa hanno sbagliato i calcoli sulla tenuta dell’esercito afghano ma l’intera avventura non si può giudicare solo dall’ultima pagina e il 60% dei cittadini americani pensa che Biden abbia fatto bene ” a ritirare le truppe – Il Qatar è “forse il vero vincitore” – Importante “riaprire canali di comunicazione” nella regione afghana

Afghanistan, Politi: “L’emergenza profughi è la questione centrale”

“In questo nuovo scenario, dopo la sconfitta degli Stati Uniti in Afghanistan, la questione profughi è la più importante per l’immagine e la credibilità dei nostri Paesi. Se non salvi chi è stato dalla tua parte nessuno al mondo vorrà mai più collaborare con te. La scelta di Mario Draghi di portare la questione al G20 mi pare un’idea molto efficace, perché coinvolge anche l’Arabia Saudita, paese grande amico del Pakistan che, come noto, gioca un ruolo centrale nello scacchiere asiatico”. Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, centro di studi strategici con sede a Roma, riflette insieme a FIRSTonline sulla complessa situazione afghana, sulla sconfitta dell’Occidente e sulle sue conseguenze. 

Dottor Politi lei crede che l’immagine degli americani e quella degli europei, già compromessa da un ritiro repentino delle forze e dal ritorno dei talebani, debba fare i conti ora con la fuga di massa dai territori afghani?

“È una questione che non possiamo ignorare, anzi è centrale per il futuro.  La Francia perse in Algeria, ma poi aprì le porte a  tutti, accolse molti soldati che avevano combattuto al suo fianco. Gli Usa sono stati chiari, hanno detto venite da noi o andate in paesi dove vi potete sistemare. Ora bisogna vedere se i talebani avranno interesse a tenere aperto l’aeroporto e a fare uscire anche degli afghani, soprattutto le donne. A prima vista purtroppo non hanno interesse a questa fuga. Vorranno tenere le donne in base a un semplice ragionamento: se scappano chi ci darà dei figli? Al momento non possiamo sapere se i talebani saranno concilianti come dicono nelle conferenze stampa. Però non sottovalutiamoli, in vent’anni magari sono cambiati e potrebbero rivelarsi politicamente molto più sofisticati di quanto crediamo. Vedremo come si comporteranno con quella che pare una resistenza che si sta organizzando a Nord, cosa faranno con l’amnistia, come si atteggeranno verso i gruppi terroristici di Al Qaida e Isis che stanno in Afghanistan”. 

Ci poteva essere un modo migliore da parte degli Usa per abbandonare quel territorio? Il ritiro era programmato da tempo, ma le scene apocalittiche della grande fuga degli afghani e dei disperati tentativi di salire sull’ultimo aereo in partenza danno la sensazione di una umiliante disfatta. Com’è possibile che un politico di lungo corso come il Presidente Joe Biden non sia stato in grado di organizzare un’uscita di scena dignitosa da Kabul?

“In realtà non esistono esiti improvvisi e fulminanti e non ci sono addii adeguati in una situazione come questa. Ogni accadimento che vediamo oggi ha radici lontane, è stato lungamente preparato. Possiamo prendere spunto dalla letteratura per capire che ogni avvenimento matura da tante pagine, come la conversione dell’Innominato o la peste di Don Rodrigo nei Promessi Sposi. Sono 13 anni che gli americani si stanno preparando a questo epilogo. Cominciò Obama, con la valutazione delle guerre per scelta o per necessità. Gli americani non se ne vanno perché hanno perso sul piano militare, ma perché non vedono più il senso di questa guerra, ormai superata nella coscienza collettiva. C’è una frase famosa dei talebani che circola, “voi avete l’orologio, ma noi abbiamo il tempo” ed effettivamente il tempo e la perseveranza li hanno premiati.Inoltre i talebani hanno una proposta politica da sostenere, mentre gli Usa e l’ex governo di Kabul no”.

La democrazia è una proposta che non poteva attecchire tra i campi di oppio e le campagne rocciose?

“La democrazia reale non c’era in Afghanistan, c’era una classe politica con molti signori della guerra eletta da  meccanismi clientelari e sostenuta dall’Occidente. La democrazia ha tempi molto lunghi per radicarsi e non dimentichiamo che la nostra cultura vede una netta separazione tra religione e diritto, fra la legge di Dio e quella dell’uomo. In altre culture non è necessariamente così. Quindi non possiamo oggi giudicare l’intera avventura afghana dall’ultima pagina scritta, non possiamo valutare una serie tv dall’ultima puntata. Indubbiamente gli Usa hanno sbagliato i calcoli sulla tenuta dell’esercito afghano. Hanno ragionato sui numeri e non sulle ragioni  che tenevano in piedi la forza militare, che poi erano spesso pane e lavoro. E quando il capo non quaglia, il soldato si squaglia, tanto più che la paga spesso non c’era.Oggi si fa un gran parlare degli errori anche dell’intelligence, ma non è compito dei servizi segreti valutare la forza dell’esercito che il tuo paese sta addestrando. Sono i militari che devono capire che tenuta avrà un soldato e questo evidentemente non è avvenuto.Biden non subirà necessariamente un grave danno d’immagine, avrà modo di recuperare spostando l’attenzione su altri e importanti temi. Presto le prime pagine dei giornali cambieranno, perché c’è il Covid e poi ci sarà la campagna elettorale per le elezioni di medio termine. E infine ricordiamoci che sull’Afghanistan il 60% dei cittadini statunitensi pensa che il presidente abbia fatto bene”.

Prima ancora di Biden ha forse fallito Donald Trump, firmando accordi senza condizioni con i talebani?

“Trump è stato disastroso, perché ha un approccio da uomo d’affari, il che in politica fa solo danni. Il suo procedere semplicistico è stato: chiudo la questione e tratto direttamente con i talebani. Peccato che in questo modo abbia completamente delegittimato il governo in carica. Interessante però è il luogo dove è avvenuta questa trattativa: Doha. In questi giorni si ragiona molto su chi ha vinto e chi perso, tra i vari Paesi, in questa partita asiatica. Ecco, prendo spunto da un Tweet di Cinzia Bianco, una specialista del Golfo: il Qatar è sicuramente un vincitore, forse il vero vincitore. Perché quando tu litighi con un parente e vai a casa di un cugino comune per fare la pace è perché entrambi vi fidate di quel cugino. Il Qatar ha investito in questa operazione e ora ne coglierà i frutti, quanto meno estendendo la sua influenza sull’Asia centrale”.

In queste ore drammatiche ci si interroga sull’attuale vera natura dei talebani: sono i tagliagole di vent’anni fa o, per ragioni di convenienza politica, rispetteranno la promessa di non compiere vendette, di concedere l’amnistia e di rispettare i diritti delle donne sia pure all’interno della sharia?

“Non lo so. O uno ha delle fonti interne al califfato o chi siano davvero è difficile dirlo, lo scopriremo solo vivendo. La mia impressione è che anche i talebani abbiano capito che l’immagine è importante e potranno guadagnare maggiore consenso con un approccio più morbido rispetto alla vecchia maniera. Vogliono un emirato islamico dominato dalla sharia, vogliono depurare il paese da influenze occidentali negative, d’accordo. Al momento la moderazione si è rivelata con “solo” un paio di morti. Sarà una vera svolta? Rispetteranno gli accordi di Doha? Me lo auguro, anche se i dubbi ci sono. Le notizie che giungono dalla ong Pangea non sono rassicuranti, visto che i suoi membri hanno deciso entrare in clandestinità perché temono che i talebani facciano loro la festa.L’amnistia verrà fatta in modo selettivo, ma i talebani si riveleranno appieno solo quando si spegneranno i riflettori. Allora sapremo chi sono. Noi, d’altra parte se avremo interessi in quella regione e non vorremo lasciare il campo a russi e cinesi, dovremo riaprire dei canali di comunicazione”.

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