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Acqua pubblica, molti Comuni sono fuori legge

Secondo uno studio di Ref Ricerche, servono 2 miliardi di investimenti in più all’anno per ridurre le perdite e adeguare le fognature – La “colpa” è soprattutto dei 1.500 Comuni che gestiscono il servizi fuori dalle regole

Acqua pubblica, molti Comuni sono fuori legge

Nei prossimi 20 anni l’Italia dovrà investire almeno 600 euro ad abitante per il servizio idrico. L’incremento richiesto sarà notevole, visto che nel biennio 2018-2019 la spesa programmata per abitante non supera i 58 euro (comunque più del doppio rispetto ai 21 del 2012). Numeri alla mano, serviranno almeno due miliardi di euro in più all’anno e la copertura andrà trovata nella tariffa e/o nel bilancio pubblico. I calcoli sono del Laboratorio REF Ricerche, che ha pubblicato un nuovo lavoro dal titolo “Coniugare sviluppo e tutela dell’ambiente: la consapevolezza di essere un’industria”.

Gli investimenti aggiuntivi saranno necessari per raggiungere gli obiettivi di contenimento degli impatti ambientali codificati dall’Autorità di regolazione (ARERA), che chiede di ridurre le perdite di rete, garantire la sicurezza dell’acqua destinata al consumo umano, adeguare le fognature, restituire in natura acque depurate e non dannose per l’ambiente. Un percorso di miglioramento permanente che impegnerà i territori e le gestioni del servizio idrico per i prossimi due decenni.

D’altra parte, Ref Ricerche sottolinea le tariffe dell’acqua in Italia sono tra le più basse del continente: la media nel nostro Paese è di 2,17 euro per mille litri d’acqua, mentre quella dell’Unione europea ammonta a 3,67 euro.

È proprio per tenere basse le tariffe che negli ultimi anni gli investimenti italiani sono stati così bassi. Questa strategia ha alleggerito il peso sui portafogli degli utenti, ma ha causato anche diversi problemi sulla rete, che sconta un deficit infrastrutturale piuttosto grave, soprattutto al Sud.

Una particolarità del nostro Paese è il “buco nero” delle gestioni illegittime e cessate ex lege, che si trovano in prevalenza nel Mezzogiorno e restano al di fuori delle regole, prive di ogni requisito di trasparenza e responsabilità nei confronti degli utenti. Sono addirittura 1.500 i Comuni italiani che gestiscono direttamente il servizio idrico in maniera irregolare, in quanto decadute ex lege. Queste gestioni servono attualmente oltre 9 milioni di abitanti, pari al 15% della popolazione nazionale.

“Nei prossimi anni la priorità è quella di investire nella tutela dell’ambiente e della risorsa idrica – commenta Donato Berardi, direttore del Laboratorio REF Ricerche – Mentre le gestioni industriali accettano di misurarsi, assumono impegni e investono per migliorare il servizio, una parte del Paese, quella delle gestioni dirette degli enti locali, rimane nell’ombra, fuori dalla regole, scaricando i costi sulle future generazioni”.

Leggi lo studio del Laboratorio Ref Ricerche.

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