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ACCADDE OGGI – 8 settembre: l’armistizio proclamato da Badoglio dà inizio al “tutti a casa”

Sono passati 79 anni dal giorno in cui Badoglio annunciò l’armistizio con gli Alleati – Ecco cosa accadde dopo: dal disordine fra i soldati alla fuga del Re, fino all’amnistia di Togliatti

ACCADDE OGGI – 8 settembre: l’armistizio proclamato da Badoglio dà inizio al “tutti a casa”

Dopo la deposizione di Benito Mussolini da parte del Re Vittorio Emanuele III (a seguito del voto nella riunione del Gran Consiglio del Fascismo, la notte del 25 luglio 1943) il nuovo governo presieduto da Pietro Badoglio si mise in contatto con il Comandi Alleati per stipulare un armistizio. La stipula ebbe luogo in Sicilia (dove erano già sbarcate le truppe alleate), nella frazione siracusana di Cassibile, in contrada Santa Teresa Longarini e rimase segreta per cinque giorni, nel rispetto di una clausola del patto che prevedeva che esso entrasse in vigore dal momento del suo annuncio pubblico. Il pomeriggio dell’8 settembre 1943 alle ore 17:30 (18:30 per l’Italia), Radio Algeri trasmise il proclama in lingua inglese per bocca del generale statunitense Dwight Eisenhower.

Il proclama letto da Badoglio l’8 settembre

Alle 19:42 italiane il primo ministro Badoglio diffuse la notizia con un proclama trasmesso dai microfoni dell’Eiar. Ecco il testo:

«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

“Tutti a casa”

La reazione dell’esercito italiano, impegnato sui diversi fronti, fu quella della sorpresa e dello smarrimento, in mancanza di ordini precisi e di fronte ad un’azione tedesca che non perse tempo ad invadere tutta la Penisola. La tragica confusione di quella giornata è ben raccontata in un grande film “Tutti a casa” del 1960 per la regia di Luigi Comencini. Il sottotenente Alberto Innocenzi, interpretato da un bravissimo Alberto Sordi, viene inviato quella mattina col suo plotone a sostituire il reparto stanziato nell’avamposto sulla costa nella Venezia Giulia. L’unico ordine che riceve dal suo comando è quello di far cantare i soldati durante la marcia in plotone, come raccomanda un circolare dello Stato Maggiore. Il reparto si avvia intonando “mamma, ritorno ancor nella casetta”, ma quando raggiunge l’avamposto lo trova circondato dai tedeschi che sparano contro i soldati italiani.

È a questo punto che gli sceneggiatori hanno scritto una battuta che, pure nella sua comicità, fornisce lo stato d’animo di quel momento. Il tenente Innocenzi trova un telefono a gettone in un Bar e comunica al Comando che “i tedeschi si sono alleati con gli americani”. Ha inizio così il “tutti a casa”. Innocenzi tenta di mantenere unito il plotone, ma poco alla volta tutti se la squagliano, tranne un piccolo gruppo che lo segue. Comincia quindi il percorso verso Sud attraverso un’Italia distrutta, affamata, opportunista, tra i servizi che non funzionano, le incursioni dell’aviazione alleata, la caccia agli ebrei, la borsa nera. Un viaggio che termina a Napoli, dove il tenente Innocenzi prende parte alle giornate della liberazione dai tedeschi.

In sostanza, l’8 settembre è passato alla storia come il giorno della viltà, della fuga, dell’ognuno per sé; ma anche come il giorno dell’illuminazione sulla via di Damasco per tanti italiani, allevati nelle istituzioni del regime fascista, che nel giro di poche ore scoprirono e fecero propri altri valori, prendendo parte alla Resistenza sulle montagne e nelle città.

La fuga del Re e del Governo

Fu molto criticata la fuga precipitosa da Roma, verso Pescara, poi a Brindisi, della famiglia reale e del governo, sotto la tutela degli Alleati che già occupavano quei territori. Casa Savoia ha avuto grandi responsabilità nella “resistibile ascesa” di Mussolini e del suo regime ventennale. Ma la fuga da Roma fu anche un modo per garantire la continuità dello Stato e la rappresentatività delle sue istituzioni, fino all’organizzazione di un piccolo esercito che combatté a fianco degli Alleati.

I soldati al bivio

Certo che per moti ufficiali e soldati sparsi in tanti Paesi a fianco delle truppe tedesche l’8 settembre fu un momento drammatico. Quei reparti che imbracciarono le armi contro i tedeschi furono massacrati. Per gli altri, l’alternativa possibile era tra il campo di concentramento o l’arruolamento nell’esercito della Repubblica fantoccio di Salò (RSI), dove si raccolsero gli irriducibili del fascismo. Il governo di Salò provvedeva, ogni anno, alle chiamate di leva. Tanti giovani che ne avevano la possibilità divennero renitenti; altri si arruolarono perché non potevano fare altrimenti. Molti salirono in montagna a raggiungere le formazioni partigiane.

L’amnistia di Togliatti

Non furono scelte facili per nessuno; spesso le decisioni vennero condizionate dal caso, dalla località in cui i militari italiani si trovavano in quel giorno del destino e dalla possibilità di raggiungere le zone liberate. Ecco perché, trascorsi tanti decenni, occorrerebbe più comprensione per quanti combatterono dalla parte sbagliata. Un’esigenza che fu compresa da Palmiro Togliatti, quando nel ruolo di ministro della Giustizia volle archiviare, con un’amnistia, le atrocità di una guerra civile. Togliatti portava all’occhiello della giacca un solo distintivo: quello dell’Anpi. Peccato che gli attuali dirigenti di quella gloriosa associazione abbiano dimenticato gli insegnamenti del Migliore.

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