Condividi

Abiti usati e rifiuti tessili: le regole (da rivedere) di un giro d’affari milionario che rischia di bloccarsi

La filiera italiana costruita negli ultimi venti anni potrebbe fermarsi per la carenza di regole europee. Non solo: il settore è minacciato anche dalla criminalità organizzata

Abiti usati e rifiuti tessili: le regole (da rivedere) di un giro d’affari milionario che rischia di bloccarsi

I rifiuti tessili sono lo specchio di una società che consuma abiti a ritmi elevati. L’industria della moda usa tessuti di varia origine, fattura miliardi, ma la gestione di ciò che viene buttato via suscita interessi e appetiti economici. Il traffico di vestititi usati è al centro di diverse inchieste giudiziarie. Fa gola alla criminalità organizzata che ha tentacoli in diversi Paesi extraeuropei. L’ultima operazione di polizia è di pochi giorni fa a Carrara con il sequestro di quattro container carichi di stracci pronti ad andare in Tunisia, provenienti dall’area di Prato.

Rifiuti tessili, il giro d’affari e il rischio del traffico illegale

Il giro d’affari legale europeo è stato stimato in oltre 5 miliardi di euro. In Italia occupa circa 6 mila persone con prospettive di crescita. Il traffico illegale coinvolge ditte di import-export, centri di raccolta abusivi, capannoni abbandonati, addirittura cassonetti stradali controllati da bande. Eppure l’organizzazione trasparente italiana vede Prato – la capitale del tessile italiano dalla quale erano partiti gli stracci per l’Africa – come uno dei distretti industriali meglio attrezzati per il recupero tessile. Un buon esempio di economia circolare costruito negli ultimi venti anni, che ora corre qualche rischio.

Gli industriali del recupero hanno lanciato un appello per alzare l’attenzione sulla filiera ed evitare di compromettere tutto quello che è stato costruito. L’aumento dei costi – energia e trasporti su tutti – e il calo delle vendite dei materiali di seconda mano, causati dalle situazioni geopolitiche stanno mettendo a rischio il nostro sistema soprattutto nella selezione raccolta, riuso e riciclo dei rifiuti tessili, ha spiegato Andrea Fluttero, presidente di Unirau, l’associazione delle aziende e delle cooperative che si occupano di questi rifiuti.

Rifiuti tessili: cosa c’entra la geopolitica?

Le circostanze geopolitiche hanno la loro influenza nel determinare la via che prendono gli abiti dismessi e non solo. È un comparto industriale interessante che migliora tutta la raccolta dei rifiuti. Le preoccupazioni di vedere compromesso il lavoro e gli investimenti si stanno allargando fuori dall’Italia e chiamano in causa l’Europa. Le norme sono da rivedere, c’è bisogno di sostenere il sistema, dicono gli industriali, e forse di creare anche un maggiore legame tra chi produce abiti e chi interviene a posteriori con lo scopo di farne un buona occasione economica. È sicuramente meglio che lasciare il business nelle mani delle organizzazioni malavitose. Nel contesto geopolitico ci sono trafficanti di ogni tipo, perché stupirsi di chi smercia o rivende nei mercati abiti dismessi o pezze-scarti di produzione? La commissione antimafia se n’è occupata a lungo, accertando che la sovrapproduzione di abiti non sempre viene smaltita correttamente. Finisce, appunto in paesi lontani per mano di camorra e ndrangheta che agiscono con complici stranieri.

“Il sistema italiano fino a oggi si è autofinanziato con i ricavi della valorizzazione delle raccolte”, dice Joseph Valletti, presidente di un’altra associazione, quella dei Recuperatori di indumenti usati. Da tre anni c’è l’obbligo della raccolta differenziata, sul territorio sono nate e sviluppate molte cooperative, però, sono limitati i quantitativi da avviare a riciclo come le fibre. Ci vorrebbero eco contributi, mentre si comincia appena a ârlare di eco progettazione dell’abbigliamento. Un punto da definire meglio nel contesto dei ricavi delle case di moda è anche la definizione di responsabilità dei produttori, quel sistema Epr che definisce le responsabilità ambientali di un’industria.

Le imprese: “Evitiamo di incenerirli”

Le fibre sono materiali che non dovrebbero essere immessi nella raccolta differenziata ma restare nell’indifferenziato. Le regole restano il centro del sistema di riciclo assieme ai comportamenti delle persone. La sollecitazione che arriva dagli industriali somiglia a un monito che se non viene ascoltato può portare all’incenerimento dei rifiuti tessili. Incenerire sarebbe una prova di debolezza rispetto a tutti i piani di economia circolare di cui si parla. Del resto in Italia abbiamo tecnologie all’avanguardia che esportiamo.

Possibile che si corra il rischio di bruciare tonnellate di tessuti? “Sì, rischia di diventare l’unica opzione se il mercato si dovesse bloccare. Gli sforzi e gli investimenti delle cooperative e delle aziende sociali della raccolta e della industria della selezione per creare e mantenere una catena del valore sostenibile saranno vani se crollerà la sostenibilità economica della filiera e se si bloccherà la possibilità di esportare l’usato tessile in Paesi che ne sono forti consumatori”, dice Fluttero. L’illegalità è dietro l’angolo.
A bloccare l’ipotesi dell’incenerimento e, quindi, violando ogni regola, potrebbe essere la criminalità organizzata che ha la sua rete di esportazione illegale verso paesi che non effettuano controlli e permettono anche a finte organizzazioni di carità, di lucrare soldi. “Attorno alla raccolta di vestiti usati c’è un’attività impressionante della criminalità che gestisce e rivende i materiali in un mercato parallelo”, ha denunciato il deputato dei Verdi Francesco Emilio Borrelli, vice presidente della commissione sulle ecomafie. Il quadro finale è preoccupante e la politica ha poco da pensarci su se vuole salvaguardare aziende e posti di lavoro.


Commenta