Un cerchio colorato, un clic e il gioco è fatto. Ma è davvero una scelta libera? L’Antitrust vuole vederci chiaro e ha acceso la lente su Meta. Da marzo 2025, infatti, milioni di italiani hanno trovato su WhatsApp un nuovo assistente virtuale integrato in automatico. Nessuna installazione richiesta, nessun consenso esplicito. Meta AI, il chatbot di Mark Zuckerberg, è comparso da solo sull’interfaccia dell’app, ben visibile con la sua icona cangiante e un’opzione dedicata nella barra di ricerca. Una presenza fissa e non disattivabile.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha deciso così di intervenire. Il 22 luglio ha avviato un’istruttoria per accertare se Meta abbia abusato della propria posizione dominante, sfruttando la diffusione di WhatsApp per spingere il proprio servizio di intelligenza artificiale. Secondo l’Autorità, non si tratta di un semplice lancio commerciale, ma di una strategia che combina forzatamente due prodotti distinti, limitando la libertà degli utenti.
Questa pratica, nota come tying abusivo, rischia di alterare la concorrenza in uno dei settori tecnologici più strategici. Con oltre due miliardi di utenti nel mondo e una penetrazione superiore al 90% in Italia, WhatsApp permette a Meta di esporre immediatamente il proprio chatbot a una platea vastissima. Non per meriti tecnologici, ma per accesso privilegiato.
Il timore dell’Autorità è che l’intelligenza artificiale non venga più scelta liberamente, ma subita. Meta è accusata di aver violato l’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, imponendo il proprio strumento AI agli utenti europei, approfittando della sua posizione dominante nella messaggistica.
L’ombra del predominio: WhatsApp e il traino verso l’IA
La mossa di Meta non è avvenuta in un contesto qualsiasi. WhatsApp, secondo i dati dell’Agcm, è utilizzata dal 90% degli italiani e da oltre 120 milioni di utenti in Europa. È di gran lunga la piattaforma di messaggistica più popolare, seguita da Messenger (47,7%) e Telegram (47,2%).
Inserire Meta AI in una piattaforma così pervasiva ha consentito al gruppo americano di proiettare immediatamente il nuovo servizio di chatbot su una base d’utenza enorme, offrendo un vantaggio competitivo potenzialmente incolmabile rispetto a concorrenti come ChatGPT di OpenAI, Gemini di Google o Claude di Anthropic.
La forza di attrazione dell’abbinamento WhatsApp–Meta AI non nasce solo dalla visibilità, ma anche dall’effetto di lock-in: il chatbot, infatti, memorizza alcune informazioni fornite dagli utenti per personalizzare progressivamente le risposte, rendendole via via più efficaci. Il risultato? Gli utenti rischiano di diventare “funzionalmente dipendenti” dal sistema di Meta, riducendo le possibilità di rivolgersi ad alternative
Addestramento e dati: i dubbi dell’Autorità
L’istruttoria solleva interrogativi anche sull’utilizzo dei dati. Secondo quanto raccolto dall’Antitrust, Meta non chiarisce appieno in che misura le interazioni degli utenti con Meta AI vengano utilizzate per addestrare i propri modelli. In alcuni documenti pubblici e policy, si legge che le conversazioni con l’assistente potrebbero essere usate a questo scopo, salvo opposizione esplicita da parte dell’utente.
Questa ambiguità rappresenta un elemento di preoccupazione per il Garante, che teme un uso improprio delle informazioni generate all’interno di una piattaforma dominante per consolidare la posizione di Meta anche in un mercato adiacente e competitivo come quello dell’intelligenza artificiale generativa.
Pre-installazione o imposizione?
Nel mirino dell’Autorità c’è soprattutto l’assenza di scelta. Meta AI è stata preinstallata senza possibilità di rimozione. L’utente può decidere di non usarla, ma la sua presenza è permanente. Inoltre, servizi concorrenti possono essere eventualmente inseriti solo con operazioni manuali, mentre Meta AI è già pronta all’uso – con un semplice tap sull’icona – sia nelle chat private che nei gruppi.
Un comportamento che, secondo l’Agcm, non si traduce in concorrenza per merito, ma in un trascinamento forzato degli utenti da un mercato (quello della messaggistica, dove Meta è dominante) a un altro (quello dell’AI generativa), violando così le regole europee sulla concorrenza.
L’ispezione e i prossimi passi
Il 29 luglio i funzionari dell’Autorità, con l’ausilio del Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza, hanno condotto un’ispezione presso la sede di Facebook Italy S.r.l., la controllata italiana del gruppo. L’obiettivo è acquisire elementi utili a verificare la sussistenza di una strategia escludente nei confronti della concorrenza.
Il procedimento dovrà concludersi entro il 31 dicembre 2026. Entro 60 giorni dalla notifica, Meta potrà esercitare il diritto di difesa e richiedere un’audizione formale.
La replica di Meta: “accesso gratuito alla nostra IA”
Meta respinge ogni accusa e difende la propria scelta. “Offrire accesso gratuito alle nostre funzionalità di intelligenza artificiale su WhatsApp dà a milioni di italiani la possibilità di scegliere di usare l’AI in un ambiente che già conoscono, di cui si fidano e che comprendono. Stiamo collaborando pienamente con l’Autorità italiana garante della concorrenza”.
Secondo la visione dell’azienda, si tratta di uno strumento utile, accessibile e opzionale. Ma per l’Antitrust, il confine tra disponibilità e condizionamento è sottile. Sarà l’istruttoria, nei prossimi mesi, a chiarire se Meta abbia davvero oltrepassato quella linea.