Condividi

La crisi del dollaro, Tria: “Fiducia smarrita con le mosse di Trump, ora a rischio c’è la solvibilità del debito pubblico Usa”

Intervista al professor Giovanni Tria, ex ministro dell’Economia, sulla crisi del dollaro e sulla fuga degli investitori internazionali che per anni l’hanno considerato un rifugio sicuro: “Le mosse di Trump hanno seminato sui mercati seri dubbi sulla solvibilità del debito Usa”. Il ruolo dell’Europa e della Cina

La crisi del dollaro, Tria: “Fiducia smarrita con le mosse di Trump, ora a rischio c’è la solvibilità del debito pubblico Usa”

Giovanni Tria , ex ministro dell’Economia e professore emerito all’Università di Tor Vergata, ha pubblicato recentemente, insieme al professor Angelo Federico Arcelli, un ampio studio intitolato A new Bretton Woods for a New World, edito da una casa editrice americana. I due professori, partendo dalle evidenti crepe apertesi nel sistema monetario nato nel secondo dopoguerra, invitavano i Paesi più importanti, ed in particolare quelli occidentali, ad intervenire, prima della emersione della crisi, per dar vita ad un nuovo sistema monetario internazionale capace di sostenere gli scambi e rappresentare un porto sicuro per la conservazione dei risparmi dei cittadini.

Poi però è arrivato Trump che, in maniera ruvida e sbrigativa, ha fatto scoppiare la questione dollaro, mostrando la sua debolezza e facendo scappare in parte gli investitori internazionali che fino pochi mesi fa ritenevano la moneta americana un rifugio sicuro perché sostenuta da una forte economia, da una potenza militare e da una politica liberale e libero scambista (sia pure con qualche rilevante eccezione negli ultimi anni). A questo punto, abbiamo chiesto a Tria: cosa può succedere?

Professor Tria, la fiducia nella moneta americana si è seriamente incrinata?

“Le mosse di Trump hanno seminato sui mercati seri dubbi sulla solvibilità del debito Usa. Si è messa in discussione la fiducia che per 80 anni ha consentito al dollaro di giocare un ruolo egemone come moneta usata negli scambi internazionali e quindi detenuta nelle banche centrali di tutti i Paesi. Questo è stato indubbiamente un privilegio perché l’afflusso di risparmio da tutto il mondo ha consentito di finanziare il debito del Tesoro Usa a tassi abbastanza bassi, mentre i deficit della bilancia commerciale americana venivano finanziati con l’accumulo di riserve in dollari presso le banche centrali dei Paesi in surplus. Tutti sapevano che il sistema non poteva reggere in eterno, ma finché la barca marciava, nessuno aveva interesse a sedersi intorno ad un tavolo e pensare ad un sistema diverso”.

Ma Trump parte da una diversa valutazione del ruolo del dollaro come moneta di riserva. A suo parere questa domanda di dollari ha mantenuto quotazioni elevate della moneta americana provocando una minore competitività della manifattura Usa che infatti si è indebolita in molti settori classici come siderurgia, auto, favorendo quindi le importazioni.

“Esatto, la teoria elaborata da uno dei suoi consiglieri economici, Stephen Miran, mette in evidenza gli svantaggi derivanti dall’avere una moneta di riserva che consistono essenzialmente nel fatto che ,a suo parere, il dollaro è costantemente sopravvalutato con danni per l’export Usa non solo verso i Paesi di vecchia industrializzazione come quelli europei, ma rispetto alla Cina e agli altri del Sud Est asiatico. Secondo il cosiddetto accordo di Mar A Lago che indicherebbe la strategia americana per porre rimedio a questo inconveniente, bisognerebbe quindi deprezzare il dollaro (e non è un caso che nei primi sei mesi di quest’anno la moneta Usa sia scesa in media del 10%, e di quasi il 13% rispetto all’euro). E questo deprezzamento si dovrebbe ottenere inducendo le banche centrali dei vari Paesi a vendere i titoli a breve denominati in dollari, ma obbligandoli in qualche modo ad acquistare titoli a trent’anni o addirittura permanenti, così da continuare a finanziare il debito federale che è pari a circa il 120% del Pil”.

Insomma una vera e propria operazione di consolidamento del debito a carico dei creditori e cioè di tutti i Paesi che hanno in cassa molti dollari. E come potrebbe convincere questi Paesi a fare una simile operazione?

“Ecco che entra in scena la politica dei dazi, o la minaccia di imporli a livelli elevatissimi. Così si avvia una trattativa che è certo anche economica perché Trump pensa di incassare tramite i dazi molti dollari che andrebbero a coprire i buchi della finanza americana peraltro in aumento a causa del bilancio approvato anche dal Senato e che il suo ex amico Musk giudica una follia. Ma è soprattutto politica tanto che lo stesso Trump ad un certo punto ha messo sul tavolo il controllo dell’immigrazione o il commercio di droghe. E poi c’è anche l’aspetto militare in quanto la nuova amministrazione Usa ha detto chiaro e tondo che la protezione americana non è più gratis e che chi la vuole la deve pagare. Naturalmente questo riguarda l’Europa e in parte il Giappone e la Korea del Sud, oltre a Filippine, Australia… Ma questa argomentazione non tocca la Cina che infatti sui dazi ha trattato a muso duro e per ora ha evitato guai maggiori”.

Il problema di fondo è quindi la sostenibilità del debito Usa destinato ad ulteriore crescita. Secondo Trump esiste una politica che senza intaccare la capacità di spesa dei cittadini americani, cioè il loro benessere ed i loro alti consumi, potrebbe far uscire gli Usa da questa strettoia aprendo la strada ad una nuova età dell’oro basata su un certo isolazionismo nel continente americano, lasciando perdere parte dell’impero, soprattutto in Europa. Magari cercando un accomodamento con gli altri imperi, quello russo e quello cinese.

“Torno adesso dalla Cina dove ho trovato un clima di consapevolezza della necessità di profondi cambiamenti. Si staranno attrezzando per fare del Renminbi una valuta internazionale . Ci sarà da fare un certo cammino per introdurre la convertibilità della moneta cinese, la liberalizzazione dei movimenti di capitali, un sistema bancario con regole chiare e trasparenti. Alcuni economisti cinesi pensano che il loro Paese potrebbe reggere una rivalutazione del Renminbi del 20-25 % per riequilibrare il forte surplus delle loro esportazioni e questo sarebbe un passo per evitare politiche daziarie che distorcono il libero commercio internazionale. Poi ci saranno maggiori investimenti cinesi negli Usa”.

L’Europa ha capito la sfida che viene dagli Usa? E l’euro potrebbe avere una buona opportunità di prendere almeno in parte il ruolo del dollaro?

“La Ue fatica a trovare convergenze sulle strategie da adottare quando si trova di fronte a problemi di lungo termine. Se devo essere sincero, non mi sembra che tutti abbiano ben capito la portata dei cambiamenti che vengono dagli Usa ma anche dalle guerre ai suoi confini, dalla esistenza della Cina che in certi settori detiene le chiavi delle nuove tecnologie. Proprio l’Europa, ricca ma non una grande potenza, potrebbe farsi promotrice di un accordo generale con Usa e Cina per dar vita ad un nuovo sistema monetario ed economico internazionale eliminando gli squilibri che con gli anni si sono accumulati sul sistema di Bretton Woods. Ma ci vorrebbe uno scatto di reni da parte dei capi di Stato europei. Quanto al ruolo dell’euro, certo che nel quadro di un rilancio del protagonismo politico ed economico della Ue, potrebbe espandere il suo peso sul mercato internazionale che invece è fermo al 20% da tanti anni. E perché? Perché manca un mercato finanziario unico, un sistema bancario con regole unificate, un Tesoro europeo che dovrebbe emettere titoli sicuri (safe asset) per invogliare gli investitori a detenere riserve in euro. Insomma di strada ne abbiamo ancora parecchia. Sarebbe un peccato perdere anche questa occasione”.

Ancora una domanda su una questione che trovo un po’ curiosa. Perché Trump ha vietato il dollaro digitale, mentre ha espresso una chiara preferenza verso le cripto valute ed in particolare gli stable coin che sono valute che hanno un sottostante sicuro composto per lo più da titoli in dollari? Solo interessi personali come dicono i maligni?

“Non entro in questioni di affari che non conosco. Quello che posso dire è che in questo modo, secondo Trump, si creerebbe un nuovo canale di finanziamento del debito americano in quanto le grandi corporation potrebbero emettere stable coin e comprare titoli del Tesoro Usa”.

Vedremo se questa scommessa di Trump funzionerà veramente. Sembra un po’ tanto spericolata perché da un lato sottopone l’economia reale americana ad uno stress inflazionistico che potrebbe rallentare la crescita del Pil, dall’altro il mercato finanziario potrebbe voltare le spalle al dollaro ed ai titoli del Tesoro Usa. Già oggi il servizio del debito costa quasi 1000 miliardi di dollari all’anno. E se il ritiro degli investitori internazionali dovesse costringere il capo della Fed, Powell, non solo a non ridurre ma addirittura ad aumentare i tassi d’interesse, che fine farebbero i conti Usa e la tanto strombazzata “Età dell’oro”?

Commenta