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Siderurgia, chi sono i killer dell’Ilva di Taranto? Affondare il più grande stabilimento europeo di acciaio è un delitto imperdonabile

L’incendio dell’altoforno di Taranto rimette in forse non solo il futuro del più importante sito del Mediterraneo ma la sorte della stessa siderurgia italiana. La catena delle responsabilità è infinita e il rosario delle promesse e dei fallimenti lo è altrettanto. Così l’Italia rischia di perdere una fabbrica cruciale per il Paese

Siderurgia, chi sono i killer dell’Ilva di Taranto? Affondare il più grande stabilimento europeo di acciaio è un delitto imperdonabile

L’incendio dell’altoforno di Taranto, fatto del tutto anomalo nella storia siderurgica, rimette in forse non solo il futuro del più importante sito del Mediterraneo ma della stessa siderurgia italiana che rischia di essere confinata totalmente sul fronte del rottame, del forno elettrico e dei prodotti “lunghi” meno strategici dei cosiddetti “piani” e sottoposti costantemente alla concorrenza dei paesi ricchi di energia e strutturati su costi molto più bassi rispetto ai salari e ai servizi europei.

Da qui la grande preoccupazione della politica, almeno della parte più attenta alle prospettive industriali e manifatturiere del Paese e dei settori produttivi che fondano le loro certezze di mercato anche sulle forniture di acciaio di alta qualità, nella sicurezza delle consegne e dei prezzi. La nostra meccanica di alta tecnologia, il settore avanzato delle costruzioni e la cantieristica hanno ragione nel vivere queste giornate con apprensione e (spesso) sconforto.

Da anni la storia gestionale dei grandi siti siderurgici ex pubblici (Taranto e Piombino in prima fila) è stata sottolineata da un rosario infinito di promesse e di fallimenti portati avanti da cordate multicolori pubblico-private di vario genere, promosse da sostanziosi aiuti pubblici e da impegni promessi e mai mantenuti persino dalle realtà politiche locali e dalle stesse organizzazioni sindacali. Prima o poi dopo l’euforia dei primi giorni e dei triti auspici di concordia produttiva riprendevano a tornare a galla antichi interessi, privilegi di varia natura, isterismi ecologici e via dicendo. In testa a tutti la protesta di quartieri confinanti e, immancabili, gli interventi restrittivi della Magistratura penale e di quella civile. In coda i Tar di mezza Italia.

Tralasciamo per carità di Patria i nomi ed i cognomi degli imprenditori italiani, francesi, indiani, inglesi, russi, fino agli ultimi Atzeri della Baku Steel apparsi a Taranto nelle ultime settimane ma non sappiamo con quanta voglia di prendere in mano le redini dello stabilimento oggi dopo il disastro dell’altoforno. Storie e vicende che hanno dato tutte origine a costanti fallimenti dei progetti iniziali e a pesanti perdite per i contribuenti italiani.

Ricordiamo però i Riva. Espropriati ingiustamente da Taranto (come emergerà anni dopo), inseguiti dai mandati di cattura della Magistratura tarantina e dalle ordinanze più fantasiose ed inapplicabili dei Tar di mezza Italia, senza alcun affiancamento da parte dei molteplici e chiassosi sindacati fioriti e sostenuti dentro le mura degli ex stabilimenti dello Stato, anche gli industriali lecchesi hanno dovuto cedere. Oggi i Riva e i loro figli continuano a sfornare acciaio in mezza Europa con successo e con profitto vendicando con i fatti e i risultati la storia di Taranto.

L’Italia vuole e può diventare l’hub energetico dell’Europa, nel cuore del Mediterraneo diventato strategico per tutti. Ha un ruolo sicuramente importante nella ricostruzione ucraina e in quella del Medio Oriente. Ha in programma investimenti strategici nelle proprie infrastrutture logistiche e di servizio. Ha la naturalità geografica di essere la propaggine dell’intera Europa verso il mondo del Sud e dell’Est. Può pensare di vincere questa sfida senza acciaio? Può credere che sia sufficiente affidarsi alle forniture turche o cinesi? A questi interrogativi deve rispondere la nostra classe politica e senza equivoco alcuno anche il mondo che sta oltre i cancelli di Taranto convinto definitivamente che con le sole masserie e gli ulivi non si va lontano.

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