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Whirlpool, tutti i numeri di Napoli e il flop firmato Di Maio

L’ultima pagina della Whirpool di Napoli non è ancora scritta, anche se il rischio delocalizzazzione è alto ma una cosa è certa: il fallimento dell’azione del vicepremier Di Maio

Whirlpool, tutti i numeri di Napoli e il flop firmato Di Maio

Venticinque, 250, 40, 80 milioni. Sono i numeri che segnano la vicenda della Whirlpool di Napoli e una strada di delocalizzazione già tracciata. Verso la Polonia? Probabile, ma forse anche verso la Turchia, dove, a Manisa, c’è un modernissimo stabilimento di lavatrici Indesit (capacità 800mila macchine l’anno, uno dei motivi per i quali Whirlpool ha comprato Indesit dai Merloni). C’è da riflettere su un fatto: Whirlpool conta in Europa su ben 5 fabbriche di lavatrici, compresa quella di Napoli. Che, tra l’altro, è stata la prima fabbrica di lavatrici d’Italia, fondata nel 1949 da Giovanni Borghi con il nome di SERIT s.r.l. Smalterie Elettriche Riunite Ignis Tirreniche, con relativo stabilimento. Poi divenne SIRI e quindi Ignis con sede amministrativa a Cassinetta di Biandronno (VA). E per la quale Whirlpool la ha speso da poco decine di milioni trasformandola in un sito super hi tech, IoT, efficientissimo e, importante, da sempre servita da un distretto di componentistica di eccellenza mondiale. Adesso tutti manifestano una sdegnatissima sorpresa perché la multinazionale se ne va e vende un gioiello di fabbrica digitale, la più moderna in Europa. Ma quando nell’ottobre 2018 il Di Maio aveva comunicato con trionfalismo che tutto alla Whirlpool era ok e anzi la multinazionale non solo non si disimpegnava dall’Italia, ma addirittura investiva 250 milioni in tutti i suoi siti, tutti ad applaudire una delle più formidabili mise en place in gran parte formale. Come sono state le altre recentissime mise en place di Bekaert, Ilva, Mercatone Uno… Mancava solo il trionfo dallo storico balcone di Roma.

L’ACCORDO DI OTTOBRE? MERITO DEL SINDACATO E DEL GOVERNO PRECEDENTE

La Cisl aveva invece chiarito subito che si trattava di una conferma di ammortizzatori e provvedimenti di sostegno già avviati in precedenza dal ministro Federica Guidi e dal governo Renzi, e che il merito di uno stop alle delocalizzazioni e anzi ad un rientro (nel 2017!!) in Italia di importanti lavorazioni andava ai lavoratori e ai sindacati. Tutti fatti antecedenti alle trattative di Di Maio. Il cosiddetto accordo dell’ottobre 2018 era infatti sembrato alquanto “labile”, perché a fronte delle offerte di Midea per Whirlpool Emea (tuttora sul tavolo), gli azionisti intendevano renderla più leggera e meno indebitata con inevitabili ristrutturazioni. Le vendite del gruppo in Europa erano andate piuttosto male oltre tutto in un turbinio di manager in entrata e in uscita senza fine… Gli azionisti avevano già messo da parte la presidente di Whirlpool Emea, Ester Berrozpe Galindo (dopo un prolungato malore) e nominato lo svizzero-tedesco Marc Bitzer presidente della Corporation e anche presidente Emea, al posto di Ester. Marc Bitzer – manager di grande livello e grinta – era stato nominato, primo europeo a capo di una multinazionale americana, perché, conoscendo molto bene le realtà di mercato e industriali europee del gruppo, era ed è in grado di dare una “sistemata” ai conti (brutti), ai dipendenti e alle fabbriche (troppi) dell’Europa. Fatto il lavoro, Bitzer si farà da parte e di nuovo al vertice salirà un americano, commentavano di recente i colleghi giornalisti incontrati alla fiera Kitchen&Bath di Las Vegas.

ATTENZIONE A ROMPERE, C’È TUTTO DA PERDERE

Di Maio pretende di trattare direttamente, a muso duro (lui) con gli americani? Impossibile, non è prassi delle multinazionali Usa. L’unico deputato “legalmente” a farlo è Luigi La Morgia, amministratore delegato di Whirlpool Italia, ex direttore della fabbrica di Napoli e di quella di Poprad in Slovacchia. Non solo, nemmeno il presidente europeo di Whirlpool Emea, il francese Gilles Morel, è venuto a trattare con il tandem gialloverde, se ne guarda bene e meno male che non lo ha fatto vista l’incompetenza di ambedue i componenti (al Ministero hanno fatto il vuoto pneumatico dei migliori funzionari abili in queste trattative). A quei cattivoni della multinazionale Di Maio vuol dare una terribile lezione togliendo i 15 milioni di euro promessi? Feste e cotillon – si fa per dire – in casa Whirlpool, che ha sempre tenuto a trattare con grandi agevolazioni, incentivi, riqualificazioni e altri benefit i dipendenti in uscita forzata e che per Napoli sarebbero molto molto più elevati dei 15 milioni persi. Quella dello stabilimento di Trento (ben più piccolo) per esempio è costato 30 milioni di euro alla società e quindi se Di Maio insiste a “bulleggiare” gli americani, lo stile trumpiano in auge negli States trasformerebbe l’addio a Napoli in una tragedia. Niente trattamenti speciali, niente spese, un risparmio -commentano in Whirlpool – di oltre 15 milioni di euro, anzi di più.

A CHE PUNTO È WHIRLPOOL EMEA?

Il built-in è interamente concentrato a Cassinetta di Biandronno grazie a 25 milioni di investimenti, con l’esclusione delle lavastoviglie che vengono prodotte in Polonia e in Slovacchia, e dei piani di cottura tutti prodotti nella Indesit di Fabriano diventato il centro europeo della cottura del gruppo. La produzione delle lavatrici da incasso dalla Polonia è stata portata a Comunanza, sito Indesit delle Marche dove con 40 milioni di investimenti arrivano a produrre 800mila macchine l’anno (nemmeno qui Di Maio ha messo becco e men che meno qualche ministro salviniano). Grave invece il taglio di 80 amministrativi della sede europea di Rho Pero e di altri probabili tagli nelle Marche che il governo tandem non ha saputo evitare. E poi c’è lo stabilimento di congelatori a pozzo di Siena, nettamente inferiore come produzione al livello del break even perché questo tipo di elettrodomestico è una commodity di valore aggiunto molto basso. Ora a rischio chiusura, vista anche la scarsa competenza del tandem governativo in vertenze simili.

E SE NAPOLI NON CHIUDESSE?

Nessuno della Whirlpool vuol fare dichiarazioni. Ma filtrano anche ipotesi diverse dalla chiusura e che seguono un po’ il filone di altre vertenze. E cioè che l’annuncio-bomba di una chiusura e di una vendita che elimina la fabbrica “storica” di lavatrici con un indotto di grande valore, sia destinato a subire, anche rapidamente e nel corso di trattative che si annunciano durissime (ve lo vedete Di Maio impegnato in argomenti molto lontani dai suoi hobbies?), un ridimensionamento. In cambio di sussidi, incentivi, ristrutturazioni, aiuti di vario genere, casse integrazioni di ogni tipo, (tutto a carico dei contribuenti ovvio), la multinazionale potrebbe rimandare una decisione imposta dal vertice americano. È già accaduto a Carinaro (Caserta), ex Indesit, prima fabbrica di lavabiancheria, in chiusura ma ora polo logistico dopo lotte durissime dei lavoratori e interventi decisivi dei governi precedenti. Perché è possibile? Perché il problema non è il costo della manodopera. Nella produzione dei majap, infatti, incide meno di un terzo e le fabbriche italiane sono tutte estremamente avanzate grazie anche ai notevoli investimenti della Whirlpool. Che negli anni passati non ha certo lesinato. Nel frattempo la cinese Midea aspetta che Whirlpool Emea diventi meno ingombrante, con calma però perché per prima cosa come accade per i giganti cinesi, Midea non sembra disporre di manager in grado di gestire i difficili mercati europei e poi perché ha uno scopo anche a lungo termine: brand noti e accreditati, per non essere costretti a vendere i loro apparecchi a prezzi cinesi.

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