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Visco al Forex: “Il debito pubblico scende oltre le attese: è al 150% del Pil e decisiva è stata la ripresa”

Intervento al Congresso del Forex, il Governatore della Banca d’Italia, Visco, ha evidenziato il forte recupero della nostra economia e la discesa del debito” oltre le previsioni, sostenendo che un contenuto rialzo dei tassi di mercato influirà moderatamente sul costo del debito – “Il successo del PNRR sarà cruciale” –

Visco al Forex: “Il debito pubblico scende oltre le attese: è al 150% del Pil e decisiva è stata la ripresa”

Gli elementi più significativi del post pandemia per l’Italia saranno una buona crescita economica e una riduzione del debito pubblico: è quanto emerge dalla relazione del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco in occasione del 28mo Congresso Assiom Forex che quest’anno si svolge a Parma.
Sull’altro piatto della bilancia, nell’intervento del Governatore, ci sono i temi che gravano anche sugli altri paesi che vanno da una rimodulazione della politica monetaria all’aumento dell’inflazione a causa dei prezzi energetici, alle tensioni geopolitiche.

Debito/Pil scende al 150%, meglio delle attese, grazie a spinta economica

E’ stata la marcata ripresa dell’economia ad essere decisiva nell’interruzione dell’aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo in Italia.
Alla fine del 2021 si potrebbero vedere valori prossimi al 150 per cento (dopo il 156% del 2020), un livello nettamente inferiore a quanto previsto all’inizio dello scorso anno e anche rispetto alle valutazioni ufficiali pubblicate in autunno che lo vedevano al 160%, dice la Banca d’Italia precisando che “la tendenza alla riduzione dovrà proseguire nei prossimi anni” sempre che l’economia continui il suo trend sostenuto. 150%: è questo il numero magico del rapporto debito pubblico-Pil indirettamente evocato ieri dal premier Mario Draghi e oggi ufficializzato da Visco: una percentuale che basta da sola a indicare l’incoraggiante inversione di tendenza del nostro debito pubblico.
In presenza di un saldo primario migliore delle attese ma comunque ampiamente in disavanzo – prosegue la relazione Visco – il calo del peso del debito rispetto al 2020 ha riflesso la forte differenza, negativa per oltre 5 punti percentuali, tra l’onere medio per interessi e la crescita nominale dell’economia.
Questo risultato, pur nell’eccezionalità delle circostanze che lo hanno determinato, con riferimento sia al recupero dei livelli di attività dopo la profonda recessione sia alle condizioni monetarie estremamente espansive, mostra con chiarezza l’importanza della crescita economica per il perseguimento di una graduale riduzione del peso del debito. La manovra di bilancio determina un aumento dell’indebitamento netto, rispetto al quadro a legislazione vigente, di circa l’1,3 per cento del Pil in media all’anno nel triennio 2022-24.

Rialzo dei tassi sotto controllo

Anche un eventuale rialzo dei tassi -pur che sia contenuto- “non avrà effetti rilevanti sul costo del debito”, la cui vita media è di poco inferiore agli 8 anni, dice Visco.
Non dobbiamo dimenticarci comunque che l’Italia deve collocare annualmente titoli per circa 400 miliardi e quindi – dopo gli ingenti programmi di acquisto dell’Euro sistema – sarà ora necessario un progressivo, continuo, riequilibrio strutturale dei conti pubblici, anche per evitare di alimentare tensioni sul mercato dei titoli di Stato”.

La ripresa si mostra forte e chiara: 6,5% nel 2021 e 4,4% nel 2022

Il prodotto interno lordo del 2021 dovrebbe attestarsi al 6,5% recuperando il gap negativo del 2020, mentre quest’anno dovrebbe trovare una media del 4%, per poi attenuarsi nei prossimi due.
A dare una mano sia per la ripresa economica sia per il contenimento dei tassi di interesse sarà “l’attuazione tempestiva, piena ed efficace” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), definiti nell’ambito del programma Next Generation EU (NGEU).
Come già detto a maggio scorso Bankitalia prevede che gli investimenti previsti dal Pnrr potrebbero portare a un aumento del livello del PIL superiore a 3 punti percentuali entro il 2026. Effetti ulteriori, fino a 6 punti in un decennio, potrebbero derivare dalle riforme e dagli incentivi alla ricerca e all’innovazione. Si aggiungerebbe così quasi un punto percentuale al potenziale di crescita dell’economia del Paese.

Dopo i potenti interventi di sostegno che hanno sostenuto sistema produttivo e occupazione, ora si tratta di affrontare il contesto attuale di recupero e se da una parte “interventi limitati” mirati su singoli settori più delicati (turismo, ristorazione, tempo libero), invece interventi generalizzati potrebbero essere controproducenti perché potrebbero “determinare tensioni sui prezzi” oltre a “rischi per l’equilibrio dei conti pubblici”.

Inflazione 2022 sopra il 3% per poi scendere al 2% nel 2023

L’occhio delle banche centrali va ovviamente soprattutto sulle dinamiche inflazionistiche.
Nell’area dell’euro, sui dodici mesi, l’inflazione ha toccato in gennaio il 5,1 per cento, il valore più elevato dall’avvio dell’unione monetaria, e il rincaro dell’energia ha contribuito direttamente per oltre la metà.
Grande attenzione c’è per la trasmissione della crescita dei prezzi delle materie prime energetiche a quelli al dettaglio dell’elettricità e del gas, fattore che sta spingendo i governi dei paesi dell’area dell’euro ad adottare misure volte prevalentemente a mitigare le ricadute sulle famiglie e sulle imprese.
In Italia l’intervento, di oltre 5 miliardi nel 2021, ha consentito di contenere per circa un terzo i rialzi delle tariffe dell’elettricità e del gas. Tuttavia nel primo trimestre le tariffe dell’elettricità e del gas dovrebbero aumentare, rispettivamente, del 55 e del 42 per cento rispetto agli ultimi tre mesi del 2021 e il governo ha già adottato misure aggiuntive e sta valutando nuovi interventi.
“Le proiezioni degli esperti dell’Eurosistema pubblicate lo scorso dicembre indicavano che nella media del 2022 l’inflazione si sarebbe collocata al di sopra del 3 per cento, riflettendo il forte rincaro dell’energia”, per poi ridursi nel corso dell’anno e riportarsi su livelli di poco al di sotto dell’obiettivo del 2 per cento della Banca centrale europea.
Questi ultimi sono in linea con le aspettative di inflazione dei partecipanti alla Survey of Professional Forecasters rilevate in gennaio e con le indicazioni desumibili dalle quotazioni delle attività finanziarie indicizzate ai prezzi al consumo che – pur scontando le più recenti sorprese al rialzo dei prezzi – continuano a segnalare attese di inflazione dell’ordine del 2 per cento dal 2023.

Attenzione al tema lavoro, occorre maggiore razionalizzazione

Anche se è probabile che la prevista riduzione dell’inflazione trovi conferma nei prossimi mesi, occorre monitorare attentamente se dovessero innescarsi rincorse tra prezzi e salari che Bankitalia sottolinea più volte nel corso della relazione.
Proprio in ambito lavorativo Banca d’Italia sottolinea che molti passi sono stati fatti, ma chiede una maggiore razionalizzazione.
Da una parte infatti “il sistema degli ammortizzatori sociali è stato ampiamente riformato nell’ultimo decennio e oggi garantisce criteri di accesso universale. Gli strumenti di sostegno al reddito, pur migliorabili nel loro disegno, appaiono comparabili per struttura e risorse a quelli in vigore nei principali paesi europei”.
Dall’altra “è però ampio il ritardo nelle politiche volte a favorire la formazione e il reimpiego dei lavoratori, e in ultima analisi lo stesso sostenuto sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali”.
Su questo piano “sono necessari rapidi miglioramenti, tenuto anche conto dei processi di ristrutturazione e di riallocazione del lavoro che saranno indotti dalla doppia transizione, verde e digitale. L’Italia spende decisamente meno della Germania e della Francia per la formazione e il sostegno nella ricerca di un impiego, ma non si tratta semplicemente di accrescere le risorse: occorre razionalizzare l’insieme delle politiche e dei servizi per consentire lo sviluppo di un sistema di adeguata qualità sull’intero territorio nazionale”.

Politica monetaria comunque espansiva tra crescita economica e inflazione

La scorsa settimana il Consiglio direttivo della Bce ha confermato la decisione di dicembre di interrompere gli acquisti netti effettuati nell’ambito del programma per l’emergenza pandemica (Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP) alla fine del trimestre in corso proseguendo con una rimodulazione del programma per terminare poco prima del primo rialzo dei tassi di interesse ufficiali, una sequenza volta a garantire una riduzione ordinata e controllata dello stimolo monetario.
L’orientamento della politica monetaria resta comunque espansivo, anche se la graduale normalizzazione proseguirà a un ritmo coerente con la ripresa dell’economia e l’evoluzione delle prospettive sui prezzi” dice il governatore .
In ogni caso, la principale risposta all’aumento del livello dei prezzi dell’energia non dovrebbe provenire dalla politica monetaria o non solo, bensì dalla politica di bilancio, in grado di agire direttamente sugli effetti inflattivi dei costi dell’energia, compensando, almeno in una certa misura, la perdita di reddito disponibile e contenendone gli effetti sull’economia.
“Gli aumenti dei prezzi relativi dell’energia da fonti fossili, necessari nella risposta alla sfida epocale del cambiamento climatico, non devono avvenire in modo incontrollato: possono essere dosati mediante misure adeguate, nell’ambito ad esempio di una appropriata politica tariffaria”.

Banche italiane solide, ma alcune presentano fragilità

Il miglioramento del quadro congiunturale insieme alle misure di sostegno ancora attive, si è riflesso positivamente sulla condizione delle banche italiane, dice Visco.
Alla fine dello scorso settembre la situazione patrimoniale degli intermediari vedeva il rapporto tra il capitale di migliore qualità e gli attivi ponderati per il rischio pari al 15,2 per cento, 1,3 punti percentuali in più rispetto a quello registrato prima dello scoppio della crisi pandemica.
Alla crescita hanno contribuito sia l’aumento del patrimonio sia la riduzione delle attività ponderate per il rischio, anche a seguito dell’erogazione di prestiti con garanzia pubblica.
Nei primi nove mesi del 2021 il rendimento annualizzato del capitale e delle riserve (ROE) è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, attestandosi intorno all’8 per cento.
La qualità del credito ha continuato a migliorare, anche beneficiando delle misure di sostegno.
Sebbene in leggero aumento, il flusso di nuovi prestiti deteriorati si è mantenuto basso nel quarto trimestre, attestandosi all’1,3 per cento dei finanziamenti, ben al di sotto dei picchi raggiunti negli anni delle crisi finanziaria e dei debiti sovrani.
Rimangono però casi di fragilità, principalmente presso banche di dimensione medio-piccola e con un modello di attività tradizionale. Per molte di queste a una bassa qualità del credito si sommano difficoltà nel contenimento dei costi e nel rispondere alle sfide dell’innovazione tecnologica.
Secondo una rilevazione condotta dalla Banca d’Italia presso un ampio campione di banche il quadro risulta variegato.
Per una quota non trascurabile si sono rilevate incertezze sul piano strategico e debolezze riguardo alla capacità di generare adeguati flussi reddituali, talvolta associate a ridotte dotazioni patrimoniali.
“Nella nostra esperienza gli interventi correttivi richiesti dalla Vigilanza sono tanto più efficaci quanto più le banche reagiscono con rapidità. Per alcuni intermediari – meno proattivi e che presentano carenze sul fronte manageriale – gli aspetti di debolezza potrebbero sfociare in situazioni di crisi in assenza di idonei interventi correttivi” dice Visco.

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