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Vino e Made in Italy: la classifica delle aziende italiane

L’indagine curata da Mediobanca evidenzia che il 2018 è stato un anno record per fatturato e profitti del vino Made in Italy – Nella top 10 si segnalano 5 società venete ma primeggiano anche la Toscana, la Sicilia, L’Abruzzo e il Piemonte – La competizione tra spumanti e non spumanti

Vino e Made in Italy: la classifica delle aziende italiane

“Il vino eleva l’anima e i pensieri, e le inquietudini si allontanano dal cuore dell’uomo”, scriveva Pindaro nel 500 a.C.

Forse è per questo motivo che ne produciamo tanto, ne vendiamo tanto e ne beviamo ancora di più. Non a caso il settore vinicolo in Italia gode di ottima salute, facendo invidia agli altri comparti che, nonostante la timida ripresa dell’Italia, continuano a barcamenarsi tra le difficoltà di un’economia che fatica a ripartire.

IL VINO ITALIANO: UN 2018 DA RECORD

I numeri sono eccellenti: rispetto al 2017, il fatturato delle aziende vinicole italiane è cresciuto dal 7,5%, trainato dall’export (+5,3%), ma soprattutto dalle vendite domestiche (+9,9%). Un risultato importante, specialmente se confrontato con quello della manifattura (-7,2%) e dell’industria alimentare (-4,6%).

L’andamento positivo del comparto si ripercuote anche sui livelli occupazioni – dato che sempre nel 2018, il numero dei lavoratori impiegati nel settore vino è salito del 3,7% – e sugli investimenti, aumentati addirittura del 25,9% in confronto all’anno precedente. A distinguersi sono soprattutto i “vini non spumanti (+30,4%), seguiti a distanzia proprio dagli spumanti (+10,8%). Questi i dati più importanti contenuti nel report “Le aziende vinicole italiane brindano a un 2018 da record” dell’Area Studi Mediobanca.

Ma se il 2018 è stato un anno da incorniciare, il 2019 potrebbe non essere da meno. “L’82,6% degli intervistati – si legge nel report di Mediobanca – prevede di non subire un calo delle vendite; il 10,5% crede in un aumento del fatturato in doppia cifra e il 17,4% si aspetta una flessione dei ricavi”.

VINO: LA CLASSIFICA DELLE AZIENDE ITALIANE PER FATTURATO

Volendo stilare una classifica delle aziende italiane attive nel settore del vino in termini di fatturato, non si riscontrano troppe sorprese. Al primo posto troviamo Cantine Riunite-GIV, con un fatturato che nel 2018 è cresciuto del 3,1% rispetto al 2017 a quota 615 milioni di euro. Sul secondo gradino del podio si piazza Caviro, con ricavi pari a 330 milioni, in aumento dell’8,6%. Chiude la top 3 il primo gruppo non cooperativo italiano: Antinori, con un fatturato di 230 milioni di euro (+4,5%). Seguono:

4- Fratelli Martini: 220 milioni, +14,7%;

5- Zonin: 202 milioni, +2,9%;

6- Botter: 195 milioni, +8,3%;

7- Cavit: 190 milioni +4,4%;

8- Mezzacorona: 188 milioni, +1,9%;

9- Enoitalia: 182 milioni, +7,6%;

10- Santa Margherita: 177 milioni, +4,6%.

Interessante la classifica per quota di fatturato realizzato all’estero. Botter realizza oltre confine il 95,4% dei suoi ricavi. Seguono Farnese (94%), Ruffino (93%), Fratelli Martini (90%), Zonin (85,6%), Mondodelvino (82,5%) e La Marca Vini e Spumanti (81,8%). “In generale – spiega Mediobanca – sono solo undici i gruppi che hanno una quota di export inferiore al 50%”.

LE REGIONI DEL VINO

Lo z-score (un indice che misura la bontà dei bilanci) basato sui dati 2017, mostra che le venete Mionetto e Botter offrono le migliori performance, davanti alla toscana Ruffino. A seguire, Vinicola Serena, Frescobaldi, Cantine Ermes e Farnese.

Dal punto di vista della distribuzione geografica, nelle prime 10 posizioni ci sono cinque società venete, due toscane, una siciliana, una abruzzese e una piemontese. A sorpresa però sono le società venete a dominare sotto il profilo reddituale con un roi all’8,6%, a fronte di una media nazionale pari al 6,6%, e un roe al 12,1% contro il 7,2%. Sopra la media nazionale ci sono anche le aziende venete e le trentine, mentre le toscane (roi e roe al 7,3%) sono patrimonialmente più solide (debiti finanziari al 37% dei mezzi propri contro 69,4%), più efficienti (costo del lavoro per unità di prodotto al 46,8% contro 58%) e più vocate all’export (63,6% contro 52,4%).

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